Questa immagine se non fosse corredata delle adeguate indicazioni potrebbe risultare difficilmente identificabile.
Si tratta di una vista di corso Plebisciti all’altezza delle vie Giuseppe Compagnoni e Leopoldo Cicognara guardando in direzione di piazzale Susa.
Quella che si intravede sulla sinistra, leggermente ribassata rispetto al piano stradale, è la cascina Acquabella, che occupa lo spazio dove ora è collocato l’edificio che ospita la Standa.
La cascina Acquabella è molto famosa, soprattutto fra gli appassionati della storia di Milano e di coloro che cercano di ricostruire grazie a piantine della città e a ricordi degli anziani, come era strutturato il tessuto urbano nei tempi passati.
La cascina dava il nome alla zona e in particolare al celeberrimo “bivio dell’Acquabella” che tutti i ferrovieri e i macchinisti di locomotive dell’epoca certamente si ricordano. Qualcuno avrà sgranato gli occhi sentendo dire la parola “locomotive”… ma è proprio così: mentre in corso Plebisciti passava il tram, il 38 per la precisione, nella via Giuditta Sidoli (che converge in piazzale Susa e scorre dietro la cascina) passava la ferrovia, su quel famoso terrapieno che dalla vecchia stazione Centrale (posizionata nell’attuale piazza della Repubblica e smantellata nel 1931) percorreva gli attuali viale Tunisia (senza toponimo fino al 1931, poi Regina Elena), viale Regina Giovanna (ex via Ermenegildo Pini), via Giustiniano e via Sidoli.
Il bivio, che iniziava all’altezza di via Gozzi e si affermava in piazzale Susa, smistava i convogli in parte lungo il viale delle Argonne verso Treviglio (passando davanti alla vecchia stazione di Lambrate) e in parte verso la via Francesco dall’Ongaro per raggiungere Rogoredo e da lì verso Bologna… Per chi se lo fosse perso, riporto il link relativo all’articolo proprio su viale Argonne.
Difficile da immaginare oggi, vero? Eppure il passaggio a livello di piazzale Susa è esistito fino a circa 80 anni fa; non dimentichiamo che il bastione su cui scorrevano le rotaie diminuiva la sua altezza man mano che si usciva di città, e viale delle Argonne era molto più in periferia rispetto ad oggi. Basti pensare anche al “verde cittadino” che è stato piantato negli anni successivi per dare “tono” in Plebisciti, Susa, Argonne ma anche Romagna e Campania e che nella prima foto pubblicata certamente non abbonda.
In questa seconda immagine di piazzale Susa si vede ancora benissimo l’area della cascina Acquabella e due vetture Peter Witt (le famose “ventotto”… ricordate?) che si incrociano all’imbocco di corso Plebisciti.
Rispetto all’altra foto saranno passati venti o più anni, a giudicare dalla crescita degli alberi presenti e che nella prima foto erano giovani o addirittura ancora inesistenti.
La cascina, a quanto risulta da alcuni documenti reperibili sul sito del Comune di Milano, fu distrutta “intorno” al 1930.
Ancora una volta l’assenza delle autovetture e del traffico congestionato a cui siamo abituati oggi, dona alle zone della nostra città un fascino tutto particolare, che – ne sono certo – a molti piacerebbe assaporare almeno una volta…
Spero mi perdoniate l’estrema prolissità.
Dedicato a tutti coloro che lavorando fuori Milano, anelano a tornare:
Appassionato lettore, sono alla costante ricerca di libri che possano arricchire le mie conoscenze, soprattutto in questo periodo che, uscito dal mondo del lavoro, mi trovo ad avere più tempo libero da sfruttare per questa mia passione. Frequento le biblioteche comunali, seguo, abbastanza assiduamente, le novità del mondo librario e quando mi trovo a leggere, su un giornale, un trafiletto editoriale che consiglia un certo titolo, al quale, magari, dopo qualche tempo segue un’accattivante recensione televisiva, comincio allora la caccia, di libreria in libreria, finché, tale volume, non passa tra le mie mani. Era così che, da anni, inseguivo un libro di filosofia orientale.
Mentre ancora lo cercavo, accadde che, tornando dal lavoro, entrai nell’“usata” baracca di libri usati di piazzale Dateo, guarda caso, zona d’azione di molte mie avventure giovanili. Per chi non conosce Milano, bisogna sapere che, fino a non molto tempo fa, quasi in ogni piazza, c’era una bancarella di libri usati; ce ne sono ancora, nonostante che, negli ultimi tempi, per le ragioni più disparate, molte siano scomparse, a riprova che il degrado, in una città, non riguarda solo l’aspetto urbanistico-ambientale. Quelle che sono rimaste, per livello culturale, non sono proprio all’altezza, irraggiungibile, dei bouquinistes parigini (sebbene anch’essi, oggi, vendano molta paccottiglia), comunque, ancora, vi si può trovare svariata merce di vari livelli, dai libri d’arte più blasonati, soprattutto in centro città (famosa P.zza Mercanti), ai pocket e al ciarpame vario, talvolta solo quello, verso la periferia. Oggi sono subentrati in questo campo anche i cinesi che, nelle piazze cittadine, con bancarelle volanti, vendono libri e supporti mediali, al minimo prezzo. Il più delle volte si trova solo ciarpame, ma si sa, anche nel letame, si può trovare la perla rara; il valore delle cose è soprattutto una questione personale, vale la pena perdere cinque minuti, per “ravanare” nel mucchio.
Comunque, nella zona intorno a piazzale Dateo, fra viali e piazze, vi sono ancora bancarelle, abbastanza fornite, qualcuna anche di pregio; affiancate da negozi “remainder”. La baracca in questione, però, si staccava, nettamente, dal modello standard del carrettino stracolmo di libri. Si trattava, infatti, di una costruzione di grandi dimensioni che, da anni, occupava un lato del piazzale. Vista la costruzione, forse, spulciando fra le varie leggi cittadine sull’urbanistica, scopriremmo che occupava tale spazio abusivamente ma, apparentemente, senza problemi con le autorità comunali, in quanto il palazzo di fronte, al quale avrebbe potuto dare fastidio per misure e decoro, era in fase di ristrutturazione, circondato da un’eterna palizzata. Fra scandali vari, Tangentopoli, “Milano da bere”, e chi più ne ha più ne metta, questo stabile era rimasto tale per anni e anni, un cantiere semi-abbandonato, fatiscente. Nel frattempo erano stati sfrattati gli ultimi inquilini che lo abitavano, per la maggior parte immigrati eritrei, ed erano stati spostati gli ultimi negozi, parcheggiandoli, in parte, in prefabbricati posti al centro del successivo viale alberato, la cui struttura a giardino, caratteristica unica, in una Milano che tende al grigio, era stata irrimediabilmente deturpata. Naturalmente, è inutile sottolineare che, tali baracche, da provvisorie, sembravano, ormai, essere diventate definitive. Di più, a creare maggior confusione, ci si era messo anche il cantiere per la costruzione della fermata del Passante ferroviario, opera faraonica ma sempiterna, in quanto anch’essa vittima di Tangentopoli.
Recitava un cartello inchiodato sulle strutture dei cantieri: “C’è un idea sotto di voi”, idea che è rimasta tale per circa quindici anni, onorando, inconsciamente, il compianto cantautore milanese Giorgio Gaber che, da buon conoscitore dell’animo umano, e della politica, cantava nel suo famoso recital Paura di essere sani: “Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione”. Ad ogni modo, tralasciando le polemiche, i lavori “in corso d’opera” avevano stravolto il manto stradale, fatto buchi, deviato il traffico, insomma avevano provocato del gran caos. Per la baracca si era creata, quindi, una situazione di manifesta impunità, per cui il vecchio proprietario continuava, imperterrito, la sua benemerita attività di “cultura a basso prezzo” (come indicava, da tempo immemore, un cartello appeso all’entrata).
Bisogna dire che, all’inizio delle varie ristrutturazioni locali, diciamo verso l’89, la paura dell’esproprio fece decadere il livello culturale della costruzione; il proprietario cercava di svendere tutto, non si compravano e non si scambiavano più libri usati, erano scomparse le riviste, quali il ricercato National Geographic Magazine, o la raffinata Cucina Italiana; ma alla fine tutto si era stabilizzato, a tutto vantaggio del vecchio proprietario che, ora, poteva rifiutarsi, a cuor sereno, di prendere merce invendibile, diminuendo lo sconto dall’abituale cinquanta al quaranta/trenta per cento o meno, e soprattutto acquistando un’aria di distacco fatalista, diciamo, millenarista: “Che accada quel che vuole accadere, io ho visto tutto”. La sua fortuna fu, anche, che una libreria ben fornita, specializzata in psicologia, sita nel palazzo di fronte, descritto qui sopra, dovette traslocare più avanti nel viale, lasciando spazio al suo commercio. Magari, dato il diverso indirizzo commerciale, non si facevano molta concorrenza, forse si integravano, ma tant’è.
Nel frattempo altre bancarelle erano sparite (vedi Piazza Fontana), altre librerie avevano chiuso…. Così fu, alla fine, anche per la baracchetta, sostituita da una voragine destinata a diventare, al più presto, l’entrata di un’autorimessa pubblica, collegata, al Passante ferroviario, ora in funzione. Nel momento in cui scrivo, e spero che la situazione migliori, l’opera architettonica mi sembra sovradimensionata, e ancora lontana da un optimum operativo, a parte un bellissimo piano di linee ferroviarie “foresi”, chiamate S1, S2 ecc., eccezionale, come sempre, sulla carta, abbastanza disatteso, è un mio parere) da parte delle Ferrovie statali (Oh mon Dieu la R.E.R. parisienne).
Per farla breve, quel giorno d’estate, entrai nella baracca a curiosare. In verità cercavo un libro di fantascienza e, certamente, non avevo in mente quel libro specifico, ma la figura del Buddha, riprodotta sulla copertina, improvvisamente mi guardò, invitante, da uno scaffale. Quindi lo comprai, soddisfatto.
Mancavo da Milano ormai da dieci anni. Vittima della globalizzazione, allora incombente, oggi oramai imperante, avevo dovuto andare a lavorare in un’altra città, e seguire il destino della ditta, onde contrapporre una migliore difesa alla concorrenza. Non essendo mai stato un tipo brillante, e neanche avendo un’età per la quale poter scegliere mansioni a josa, o essere scelto, sul mercato del lavoro dove un venticinquenne viene, ormai, quasi considerato out, avevo seguito il destino aziendale fino a quando per un caso fortuito mi fu proposto di ritirarmi, in anticipo, in attesa del regolare pensionamento. “Mobilità” la chiamano questa prassi. Perché!? I burocrati sanno essere ben spiritosi. Quella di dover seguire la ditta, allora, come dovremmo chiamarla, Subordinità? Certo che avevo già dato prova di mobilità andando avanti ed indietro da Milano per tutti quegli anni. No questa si chiama Flessibilità!! Certo a doversi chinare agli ordini superiori! Non ero stato, certo, moderno, “americano”; loro sì che girano, si spostano da stato a stato in un zip… Là sì che c’è tanto lavoro! Un bel esempio da esportare! Che retrogrado disfattista!! Ma basta, ora tutto era finito. Adesso, ne ero fuori. Ora stavo recuperando gli spazi che mi erano stati negati per tanti anni. Ero tornato nella mia Milano e, appena potevo, giravo la città, recuperando ricordi. Quel tal palazzo… demolito!, quella via periferica, caratteristica per il verde… cementificata! quel negozio di droghiere, così caratteristico… non c’è più!! Ora c’è una jeanseria, che schifo!!! Quel cinema… ora c’è un garage, che peccato!!! Quella cartoleria tanto fornita… ora c’è una squallida banca e quel vecchio negozio di abiti? Ma è la filiale di un’immobiliare!! Tante cose erano cambiate, in meglio o in peggio, forse più in peggio, ma non importa!! Ora dovevo, comunque, riappropriarmi dei miei spazi.
Un giorno, vagabondando, mi trovai in Piazza Dateo. Fu certo un caso ma, la vista del luogo, riversò una cascata di ricordi nella mia mente. I giardini, i compagni di scuola, gli amici, i primi amorazzi…. Non storie durate lungo tempo, ma avventure che, nonostante il matrimonio successivo, aveva comunque lasciato una traccia nella mia mente (ma non ditelo alle mogli). Guardai dall’altra parte della piazza. Vide che le bancarelle della verdura e il baracchino dei libri usati c’erano ancora. E, guarda che combinazione, il Passante ferroviario, tanto pubblicizzato quanto tardivo, ora passava davvero, finalmente!! Attraversai la strada e mi trovai davanti alla costruzione di legno.. Era uguale a come la ricordavo. Anche il proprietario era lì, davanti all’ingresso, seduto, come solito, quasi a godersi il calore dell’estate. Ma come era cambiato quell’uomo!? Molto più vecchio, incartapecorito, forse malato, sembrava assente. Entrai nella baracchetta. La ragazza al banco era cambiata… certo, dopo tanti anni, chissà dov’era la biondina sorridente!? Questa non mi guardò nemmeno. Mi girai e vidi che, oramai, il luogo dei miei sogni era quasi in disuso, dimezzato nelle sue dimensioni interne, con pochi libri, poca scelta. Ero molto deluso, ma, in effetti, perché mai le cose dovrebbero restare bloccate, fisse all’infinito? La vita è anche questo, io stesso avevo scoperto la baracchetta a causa della mia passione per la Fantascienza, genere a cui, ora, non ero più interessato. Dopo una rapida scorsa agli scaffali, deluso, uscii, quasi scappando. Ora, finalmente, ero a Milano: “Tout passe, tout lasse, tout casse, tout se remplace”. Dovevo accettare la vita in ogni suo aspetto, ma non era un pensiero confortante. D’altronde anche la mia sede di lavoro “coatta”, dopo alcuni anni d’assenza, poteva essere cambiata a sua volta: “ Scusi, la Gelateria Imperiale? Oh! Ha chiuso l’estate scorsa!”- Ma qui non c’era il ristorante Il Cucchiaio d’Oro? Sì, ma ora c’è un albergo!”. Panta rei, dicevano i saggi greci, tutto scorre. Ma che mi importava ora di Marina di C., se mai ci fossi ripassato non sarei certo andato a fare la processione dei ricordi. Adeguamento, questo vogliono la società e la vita attiva. E’ dura per chi vorrebbe vivere di certezze, ma è così. In seguito, Passai altre volte in quel luogo, ma, forse ingrato, non entrai più nella baracchetta…. che dopo qualche tempo scomparve veramente, inghiottita da un enorme buco. La città si muove (talvolta), con brutalità, non si cura dei resti storici importanti, figuriamoci se ha remore o rimorsi per una baracchetta di legno, niente targhe o colonnine rievocative, la storia dei singoli non è certo importante, nessuna guida turistica citerà mai il luogo della “cultura a basso prezzo” che imperò in Piazzale Dateo per almeno trent’anni.
Provenienti da P.iazza Tricolore, in direzione di Piazzale Susa, lungo i due Corsi delle virtù civiche, Concordia e Indipendenza, camminando fra palazzi di chiara impronta Liberty, improvvisamente eccoci imboccare un grande spazio quadrato, Piazza Risorgimento, nel cui centro, sopra un alto pilastro, si erge la statua di San Francesco, posto quasi a protezione di dette virtù; non per niente detto santo è stato eletto a Patrono della nazione. San Francesco è atteggiato in modo che alzate le braccia, mostra le mani a benedizione, con cinque dita a sx., tre a dx., forse rammentandoci le Virtù Teologali e Cardinali. Pur con tutte le polemiche iniziali degli artisti milanesi e lombardi, in quanto, la realizzazione della statua, venne assegnata al siciliano Trentacoste, la statua fu sicuramente subito amata dalla popolazione. A testimonianza di ciò, il soprannome assegnato al monumento. Se una cosa non è amata o rispettata, se non si vuole entrare in confidenza, a che prò dare nomignoli? Sarebbe interessante fare un giro della città e controllare se un monumento ha un nomignolo oppure no. Comunque, per farla breve, il monumento in questione, vista la posizione delle mani venne soprannominato: Cinq e tri: vott – con alcune varianti come: tri lavoren e cinq mangen, oppure, in caso di dilagante malcostume: O Signor se me tocca de vedè!
I bus de Milan
Mi sont de un alter borgh, ma a passi de spess sotta de ti, Francesco, quand me moevi per Milan. Pusse quand a seri giovin che gh’avevi de amis de scoeula e anca on filarin. L’è on quaj mes che te vedi nò, ma incoeu te me set vegnuu in ment. E ben cara el me santo, me dispiass a dittel ma te sbagliet a fa i cunt!
Te se recordet la canzon del po’er Walter Valdi – La busa noeuva? – “In la mia via a gh’è ‘na busa noeuva, ‘na busa noeuva che ier la gh’era no!….” Anca in la mia via, sotta al me balcon, fin a ier a gh’era on tombin rott de almen tri mes, e tutt i macchin e i filobus che a passaven: “Bammm, badabamm…”e anca la cà la tremava. On quajvun, forsi l’ATM, al la fin al s’è lamentaa e incoeu hinn vegnuu a giustal.
A l’improvis on gran frecass, hoo vardaa giò e a gh’era duu ommen che spaccaven i prej intorna al tombin: “Ben!!” – hoo pensaa. Vesin al marciapee a gh’era el camion cont on alter omm ch’el vardava i attrezz…pusse in là a gh’era on ghisa ch’el stava attent al traffic, alora: on per quatter = quatter…mej duu e mezz – Dopo cinqu minut a gh’è rivada n’altra macchina de ghisa, e a la fin a gh’era alter ses ghisa che vardaven e “cicciaraven” arent el mur de la cà, alora: quatter e ses al fa noeuv ommen e ‘na donna= des – Sti duu operari, poeu hann miss al ciment hann nettaa e cont el terz omm hinn andà via, insci hann faa tutt i ghisa. Mi sto nò lì a discutt…po vess che tutta sta gent la fudess util a stoppà el bus…voeri domà dì, Francesco, che i temp hinn cambiaa…duu la’oren e ott mangen….
Errata corrige: ahhh la fretta…….:…..e vott mangen.
Torno sempre a parlare di questa zona… In effetti ci ho vissuto parte della mia adolescenza, vivendo qui, Luciano e Tony, i due compagni di scuola con cui ho diviso i destini scolastici “superiori” fino alla maturità: un bocciato, un rimandato, un promosso: 1-x-2, abbastanza variato!!! Beh Luciano aveva un biliardino e le sedute di studio finivano sempre con un veloce torneo a tre.
Poi i primi amori…non si poteva non andare al cinema al sabato o alla domenica…ahhh il Cinema Ambrosiano…e se la mancia lo permetteva il XXII Marzo e se si era proprio in grano…il Cinema Cielo…e poi a ballare in un localino minuscolo, buio, sottoterra, vicino al Cinema Diana…ma si pomiciava bene….per finire in Corso Indipendenza, prima della costruzione distruttiva del Passante…quante camminate, col sole, la pioggia: “Senti…Ti lascio!!” – “Ma come…..”
Avevo sì notato, nel tempo, lo stile architettonico della zona, prettamente Liberty,ma finché la mia ditta non vi si trasferì, negli anni ’80, non ebbi mai modo, come poi accadde, giorno dopo giorno, di apprezzarne le particolarità, un quartiere Coppedé in piena regola, seppur più sparso e meno valorizzato se non per alcune sue parti….Via Malpighi, Via Melzo, Corso Indipendenza, Corso Plebisciti, Via Fiamma, Via Fratelli Bronzetti, Via Spallanzani, Via Pisacane, per spingersi al limite di Piazza Duse, Via Bellini, un architettura a densità variabile, un solo palazzo, vari casamenti, i balconcini, le lesene, i cortiletti, le decorazioni, i putti alati, le bajadere…le maschere…..
Approfittavo di camminare lungo tali strade, per raggiungere la fermata più lontana del tram, con lo scopo di scoprire il maggior numero di particolari. Non sono mai stato un gran fotografo ma ad un certo punto mi venne anche la voglia di fare un servizio, almeno personale, per immortalare questi particolari, nell’evenienza che qualche palazzinaro alla fine potesse avere strane idee. Purtroppo ritarda…ritarda…tituba e non l’ho mai fatto, confortato anche dall’essere circondato da colleghi e amici che: “Tina Modotti? Cartier Bresson?…Che ne sai tu!?” “Ma lo sai che quando facciamo una fotografia, esponiamo alla luce incidente, che arriva attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica, un materiale fotosensibile. Questo materiale, reagendo successivamente nel bagno di sviluppo con varie sostanze chimiche, si annerisce in proporzione all’intensità della luce che è caduta su di esso…L’immagine risultante…sarà una proiezione bidimensionale negativa” del campo illuminato originario. Possiamo allora proiettare della luce attraverso questa negativa su un foglio di carta sensibile alla luce che ci fornirà, dopo lo sviluppo e il fissaggio dell’immagine, la fotografia finale. Quando guardiamo la fotografia, la luce che colpisce le sue aree chiare verrà in prevalenza riflessa mentre la luce che colpisce le aree più scure, sarà in gran parte assorbita. La visione della luce riflessa dalla fotografia produce quindi sulla nostra retina una configurazione bidimensionale, la quale ci permette di ricostruire un’immagine bidimensionale della scena.”
“Uffh ‘sta fisica!!…Ma a nò l’era assee vardà denter el mirino, fa dì:”Ciiisss!!” a j’amis che stan davanti e schiscià el botton ross? E dopo andà de pressa in d’el fotografo?” – “Ehh sì… magara… a gh’è semper quel che varda la macchina…te guarda ti con suss e superbia… varda el soo… poeu l’esposimetro… e poeu ancamò la macchina… e el te domanda: “Ma quanti ASA? Quanti DIN?” – Poeu a ghe da on gir a la ghiera dell’obbiettivo…E intanta j’osej che becchettaven lì davanti hinn vola via, el battell l’è passaa, el soo l’è tramontaa… ma loo nient… te varda anmò cont la faccia de tolla, e el tira foeura el flash…e finalment al fa la foto. L’è pu quela ch’al voreva, ma al fa el tovaja.
Quand poeu te vet a cà sua cont i tò foto faa cont la Kodak automatica a cartuccia, loo el fa finta de vardaj, con quel oeucc ch’el dis:“Poverett…” Al trà foeura el Proiettore giapones, i sò foto faa cont la Reflex e finiss che te set costrett a vedè tri an di sò viagg e du matrimonij, poeu prima che te se indormentett, el te porta nel sancta sanctorum e el te fa vedè, pien de orgoeui, la camera oscura e l’ingranditore e te parla de sviluppo, di colori primari: giallo, magenta (el par quasi un color tra su de ciocc) e cyan: “Cyan? A mi me par on bel celest…” – “NOOO cyan!!”….. “Coppett!”…Te tornett a cà te tirett foeura la toa veggia Kodak..te se regordet de quel viagg…de quela tosa…de quel alter viagg….e infin te vegn de caragnà……
Esperimento in dialetto:
Me regordi on dì che s’eri adree a tapascià per i giardin de Cors Indipendenza. Me piaseva i alber, gross e vegg, che faseven tanta ombria, i fioeu e i mamm che faseven folla in’t’el vialett central. Me piaseva no i tram, ma per fortunna a gh’era duu sces per tutt el cors che j’a tegneva lontan de la gent. Quand mi a passavi dopo el lavorà, a gh’era semper n’aria de alegria che la me rinfrancava. In fond al vial, a gh’era ‘na fontana cont la statua de Pinocchio: on fioeu el stava in pè in su on pilaster e sotta, ai so pè a gh’era distes e abbandonaa, on burattin. Sotta a gh’eren anca on gatt e ‘na volp che provaven a’rivà al fioeu. Verament el gatt al gh’era pu, l’era staa robaa, chissà quand e l’aveven mai sostituii, a gh’era domaa i bus di ciod: “Che Comun del lella!!” – El monument el pareva abandonnaa ma a quel temp a gh’era in bal la fabbrica del Passante Ferroviario, e quest el vegniva prima: “Ma quale arredo urbano!! (A ghe minga de guadagn cont i monument)”. On gran bus, tanta polver e on bel cartell: “C’è un idea sotto di voi!” – M’el diseva el Gaber? – “Un’idea, un concetto, un’idea, finchè resta un’idea è soltanto un’astrazione…” – El Passante l’è resta n’astrazion per tanti e tanti an… ‘na vintena: “Madonna…che Comun…”… “Eh..ma il budget…” Ma gh’è staa anca Tangentopoli.Sì ma vint an….
Mi, tutt i volte che passavi de lì, a podevi minga pensagh no al Collodi e al so liber, se el fudess vera, quanta gent l’andariss in gir cont el nas long long. Anca quela sira a me son dit: “On dì a voeuri leggel an’mò!”. S’eri lì che passavi vesin a ‘na panchetta in do’è a gh’era settaa giò on omm ‘bastanza grass. Subet gh’avevi faa caso per la soa giachetta, quei che i gagà ghe disen: “Che americanata!” – Ma a l’improvis al s’è tiraa su, che quasi el me trà là e el s’è mis a corr, tutt sfolarmaa, vers la fermada del tram , do’è l’era adree a ‘rivà ‘na vettura. L’era proppi inscì de pressa che l’ha lassaa on liber lì su la panchetta. L’hoo tiraa su e hoo vardà vers el tram, ma l’omm l’era giammò in su el predellin adree a “obliterare” el bigliett e el tram l’era adree a andà via. Gh’hoo pensaa su n’attim: “El ciappi su o el lassi lì?” – De segur l’omm el sariss minga tornaa indree a cercal. Magara l’aveva anca lassaa lì apposta. L’hoo dervii ma, inscì “d’acchitto”, el pareva minga on liber ch’el me interessava… “Cià…el ciappi… sì o el ciappi no?” – Gh’hoo pensa an’mò e poeu me son decis, tant el tram l’era lontan. L’hoo ciappaa su e l’hoo miss in saccoccia…
Pusse innanz al Cors a gh’è la Piazza Dateo. A quel temp in on canton de la piazza a gh’era ‘na barracca di liber usaa, in do’e mi andavi de spess. La do’eva vess tirada giò per i la’or del Passante ma per i lungaggin de la burocrazia l’è restada lì almen quindes an an’mò, cont el so cartell: “Cultura a basso prezzo” e el padron, settaa pacifich, a la cavallerizza, foeura de la baracca, cont i oeugget visp a controllà. Intanta alter negozi de liber, alter baracchett saraven su… “Cont la cultura minga se mangia!!”… Anca la baracchetta a la fin l’han sarada su… ma finalment el Passante el passa davvera.
Apenna sont ‘rivaa a ghe sont andaa dent, gh’hoo saludaa la tosa a la cassa e sont andaa in t’el corridor di liber de fantascienza, gh’hoo scernii on volumett ch’el m’interessava e son tornaa a la cassa in do’e a gh’era anca el padron. Gh’hoo faa vedè el liber de la panchetta, hoo faa el scambi, e Seri adree a andà via quand hoo sentii la tosa, che la ghe diseva al padron: “Ma guarda che bella dedica…doveva amarlo!” Son tornaa indree e gh’hoo domandaa. La tosa la m’ha faa vedè che in su la terza de copertina a gh’era proppi la bela dedica de ‘na tosa innamorada…
8/10/89
Ho sempre avuto quest’idea: che fino a 23 anni si fosse ancora bambini….
Tu ora diventi un uomo: fra poco finirai l’Università e allora inizierà la tua vera vita,nell’ambito del lavoro e della società.
Ma ricorda: se non darai un senso ad essa, un senso più profondo, tutto finirà presto, troppo presto.
Questo è ciò che gli entronauti vogliono evitare.
Scandagliare la propria anima, trovare luci ed ombre, verità arcane, il senso dell’io…
Tutto questo non si può spiegare, ma sembra che questo valga per tutte quelle cose che vale la pena di conoscere veramente…
Tu ora diventi un uomo: è per questo che ti regalo questo libro, per capire meglio ciò che ti sta succedendo…
“Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir Virtute…”
Ti amo, Sarah.
El liber alora el me restaa in ‘t la testa: l’aveva forsi perduu in su la panchetta apositament? O forsi l’aveva lassaa lì per la pressa de ciappà el tram, ma l’era proppi on sò liber o l’era giamò lì? Quasi quasi el m’ha faa dispiasè de avè cattà quel liber per portal a la baracchetta…Me piasariss savè se on quaivun l’ha poeu comprà e a legg la dedica el s’è mis a sogna compagn de mi.