Parlare della Galleria è complesso; certamente non si può essere esaustivi, tante sono le storie, i dettagli, le curiosità che gravitano intorno ad essa. E poi è talmente grande il rispetto per questa “istituzione” che si ha sempre un po’ di timore nell’affrontare il tema per paura di dimenticarsi qualcosa di essenziale.
Questo è il principale motivo per cui si adotterà una strategia in più “parti” parlando della Galleria Vittorio Emanuele II, luogo che sembra esistere da sempre, tanto è “legata” con la nostra città, forse uno dei simboli più conosciuti nel mondo, quando si parla di Milano.
Invece è li da meno di un secolo e mezzo. La “prima pietra” fu posata infatti il 7 marzo 1865 e il completamento avvenne solo nel 1877; il progetto della Galleria è opera dell’architetto Giuseppe Mengoni, accomunato nella sfortuna con Giuseppe Grandi (l’autore del Monumento alle Cinque Giornate) e con Ercole Rosa (l’autore del monumento a Vittorio Emanuele II sito in piazza del Duomo).
Infatti anche lui, come Grandi e Rosa, morì poco prima dell’inaugurazione della sua massima opera. Era il 30 dicembre del 1877. In quella fatidica data Giuseppe Mengoni, bolognese di nascita, salito su un’impalcatura per verificare lo stato delle ultime operazioni, cadde e morì.
A lui è dedicata la breve via che unisce via Santa Margherita a piazza Duomo, che in precedenza era una parte della via Carlo Alberto.
Era nato a Fontanelice, in provincia di Bologna, il 23 novembre del 1829 e a soli trent’anni, nel ’59, vince il concorso indetto dal Comune di Milano per la sistemazione della piazza del Duomo. Nonostante la sua giovane età Mengoni ha seguito – anche contemporaneamente al progetto della Galleria – molte altre realizzazioni degne di rilievo come il palazzo della Cassa di Risparmio a Bologna.
In realtà la Galleria ebbe due inaugurazioni: la prima avvenne solo due anni e mezzo dopo l’inizio del lavori, il 15 settembre del 1867 e la seconda il 24 febbraio del 1878 in occasione della “consegna” ai milanesi dell’Arco Monumentale che orna l’ingresso della Galleria in piazza del Duomo. Questo secondo evento era in realtà previsto per il primo gennaio 1878, ma l’improvvisa morte di Mengoni impose un giusto rinvio.
Purtroppo anche il Re Vittorio Emanuele II, al quale è dedicata l’opera e che doveva presenziare anche alla “seconda” inaugurazione (come fece 11 anni prima), morì in quei giorni, esattamente il 9 gennaio per una polmonite: il Re che aveva costituito l’unità d’Italia moriva all’età di 57 anni (era nato il 14 marzo 1820).
La realizzazione del progetto di Mengoni, richiedeva investimenti notevoli, non solo per la pura costruzione dei palazzi e della, ormai celeberrima in tutto il mondo, copertura; era necessario anche che il Comune acquistasse tutti gli immobili che erano nell’area interessata per poterli demolire e “far spazio” così alla nuova struttura.
Negli stessi anni furono anche abbattuti, senza ricostruirvi sopra, i due isolati che si vedono di fronte al Duomo nella cartina riprodotta qui sopra, il famoso Rebecchino (quello verso sud) e il coperto del Figini, la cui costruzione risaliva al 1467, chiamato così dal nome del suo costruttore, Pietro Figini.
Vennero spesi dal Comune oltre 18 milioni di Lire (una somma enorme) per l’acquisto degli immobili e come spesso accade quando ci sono molti soldi in ballo, qualcuno tenta di approfittarne, ad esempio acquistando “qualche” casa a poche lire poco prima di rivenderle al comune per “molte” lire in più… e così pare che fece il cognato dell’allora sindaco Antonio Beretta, proprio dietro suggerimento di quest’ultimo.
Tant’è che Beretta fu costretto a rassegnare le dimissioni poco tempo dopo. E così il primo sindaco di Milano dall’unità d’Italia lasciò il posto (dopo qualche mese di carica vacante) a Giulio Belinzaghi, probabilmente uno dei sindaci più “importanti” per la storia di Milano, sia perché gestì l’annessione del comune dei Corpi Santi a Milano (fu un’operazione molto complessa e articolata) nel 1873 sia perché risanò il bilancio comunale che aveva risentito pesantemente dell’operazione di sistemazione della piazza del Duomo; rimase in carica per sedici anni consecutivi e fu anche rieletto successivamente per altri tre anni, fino alla data della sua morte, avvenuta nel 1892.
Il progetto e la costruzione di una tale opera, soprattutto all’inizio, vide (ovviamente) i “soliti” due schieramenti di persone, quelli “pro” e quelli “contro”. Ci furono anche pesanti attacchi a Mengoni attraverso la stampa, oltre alle critiche rivolte contro la decisione di demolizione di “parti” storiche della città come lo era il Coperto del Figini.
Ma l’opera era comunuqe monumentale e una volta completata anche gli oppositori, bene o male, ne riconobbero l’imponenza e l’eleganza, tanto che divenne per tutti il “Salotto di Milano“; lo stesso Alessandro Manzoni che la visitò durante la costruzione pare che ebbe a dire parole molto gratificanti all’architetto.
E fu così che anche i primi esercizi commerciali si insediarono sia in Galleria che sotto i portici settentrionali: primo fra tutti fu il Caffè Biffi, presente anche durante la prima inaugurazione del 1867. E subito dopo fu la volta di Ricordi, del caffè Gnocchi e anche della liquoreria Campari, che aveva perso il “suo” posto al già citato Coperto del Figini.
Oggi la Galleria è uno dei simboli della città e possedere un negozio o gestire un’attività al suo interno è certamente molto rappresentativo (oltre ad essere molto costoso…). I suoi oltre 4000 metri quadrati di pavimentazione sono solcati quotidianamente da migliaia di persone che sembra si diano tutte appuntamento all’ottagono, l’incrocio dei quattro “bracci” che si presenta ai nostri occhi sotto l’imponenza della cupola, con i suoi 39 metri di diametro e 49 di altezza.
La morte improvvisa di Mengoni ha interrotto il progetto di sistemazione della piazza del Duomo che prevedeva un forte ridisegno anche della parte meridionale, quella dove oggi si presenta l’arengario voluto da Mussolini. Non possiamo sapere cosa ne sarebbe uscito, ma il solo pensiero che il Palazzo Reale potesse farne in qualche modo le spese (magari peggiori di quelle che ha già subito) può solo far sussurrare un: “meglio così”…
In una prossima occasione parleremo anche di alcune caratteristiche che possedeva la nostra Galleria, come per esempio la 24 statue che ornavano il suo interno e di come siano sparite a seguito di un… raffreddamento o di come l’illuminazione interna della galleria (che inizialmente non era ancora elettrica) venisse assicurata da un… topolino, dal “rattin“.
Ciao.
Come sempre complimenti. Vi leggo puntualmente con passione e sodisfazione. E non vedo l’ora che mi raccontiate le gesta del rattin…
Ma come spesso capita leggendo i vostri articoli la curiosita’ serpeggia e quindi ho un paio di richieste.
A questo punto, dato che si parla spesso nelle vostre pagine dei leggendari quartieri fantasma del Rebecchino e del Coperto del Figini, mi chiedevo se ci fosse del materiale fotografico o delle mappe di questi due quartiri. Ho visto ovviamente la foto che ritrae il Rebecchino pubblicata nell’articolo su piazza Duomo, ma sarebbe fantastico vedere di piu’! Fare una passeggiata virtuale per le viuzze di questi due quartieri fantasma. Soprattutto per cio’ che riguarda il Coperto del Figini, che sento nominare per la prima volta ora. Sapreste indicarmi la sua posizione sulla mappa? Quella sottile striscia subito a nord del Rebecchino? E come mai il nome “coperto”?
Un altra domanda: osservando la cartina d’epoca non ho potuto non notare Corso del palazzo di Giustizia dietro Piazza Fontana. E’ il vecchio toponimo di via Beccaria? Questo significa che il palazzo dove oggi ha sede la polizia municipale e’ il vecchio palazzo di giustizia prima che venisse edificato il fascistissimo palazzone attuale?
Grazie,grazie,grazie.
Ogni cosa a suo tempo… intanto pubblico due link che possono farti “vedere” come era il Coperto del Figini e il Rebecchino. Il primo link porta ad una foto del 1860, poco prima che venissero demoliti per “ristrutturare” la piazza del Duomo, mentre il secondo link è un bellissimo dipinto di Angelo Inganni del 1838, dove si intravede sulla sinistra il famoso portico del coperto.
Sulla cartina è proprio quella piccola “striscia” a nord del Rebecchino, cioè erano proprio uno di fronte all’altro. Il nome coperto deriva dal fatto che a livello stradale c’erano i portici davanti all’ingresso dei negozi, i quali erano rientrati rispetto al profilo stradale, creando così una sorta di passaggio “coperto”.
Questa tipologia di edificio, il coperto, era molto frequente e quello di Pietro Figini (che pare fu eretto in occasione delle nozze di Gian Galeazzo Visconti con Isabella di Francia) era l’ultimo rimasto in città.
Di piazzale Beccaria e piazza Fontana ne riparleremo… 🙂
Velodromo Vigorelli
Nipote di pistard pluricampione italiano, mi ha fatto piacere leggere su Skyscraper-Milano sparita un post dedicato ad una disciplina, oggi, in pieno tramonto, nel nostro paese. In zona Sempione, precisamente, in via Arona, c’è un enorme struttura sportiva ormai praticamente inservibile, periodicamente in predicato di abbattimento: il Velodromo Vigorelli, palcoscenico per tre quarti di secolo di incruenti duelli fra ciclisti arditi o, dipende dal punto di vista, incoscienti. Costoro si lanciavano in indiavolate rincorse sul suo anello ligneo, per arrivare primi a tagliare il traguardo, a costo di impietose cadute, fra cameratismo e trucchi del mestiere. in realtà io frequentato il velodromo negli ultimi anni di carriera di mio zio e quindi ho ben pochi ricordi delle sue varie gare, essendo più interessato ad ottenere un gelato da mia mamma: “No…adess a t’el do no!!” – O a guardare cosa stesse facendo un altro bambino, magari per imitarlo, e magari far inquietare sempre mia madre: “No…t’ho dit di no!!” – Ho presente, però, quando, lui, dal parterre, guardando tra i numerosi spettatori riusciva a mandarci un saluto: “Tehh…varda el zio!” – Ho nelle orecchie l’assordante rombo dei dietro-motori, che mi facevan paura e ho ancora il terrificante ricordo di un’-americana-, durante la quale, i corridori, partiti e arrivati alla seconda curva, caddero in massa. Lamenti, atleti doloranti sulla pista, infermieri e suivors che accorrevano. Fra tutti mi è rimasto impresso un atleta che zoppicando guadagnava il parterre con una mano sulla testa dolorante mentre con l’altra mano stringeva un palmer distorto.
Mi ricordo anche d’aver assistito, nelle notti estive, ad altre attività, fra cui una corsa di cani ed i famosissimi Globetrotters, a sottolineare la versatilità dell’impianto. Negli anni seguenti, rimasto, comunque, mio zio, nell’ambiente ciclistico, continuai a frequentare l’impianto in varie riunioni, avendo l’onore, talvolta di poter calpestare il parterre, e magari curiosare fra i corridori e la troupe televisiva con telecamere e monitor. Tale era l’interesse sportivo di quei tempi. Erano gli anni d’oro di Maspes. “Io ero presente!” quella volta della sfida fra Maspes, campione uscente e Gajardoni atleta emergente…per finale del Campionato italiano. Torrida la serata estiva, esaltante la folla che incitava i due campioni, eccitante il lungo surplace, con il tipico incitamento-dileggio: “Maspes…al telefonooo!!” E lui…fermo… – Tipico il surplace di Maspes… ancora quella volta, ai Campionati del Mondo, se non erro, del 1958: mio padre, partito da Baggio all’inizio del surplace, riuscì tranquillamente ad arrivare, in auto, al Corvetto, per vedere la fine della gara.
Mi ricordo, anche, d’aver assistito ad altre riunioni e altri eventi eclatanti, quali il record dell’ora di Baldini, forse anche quello di Anquetil, tanta era l’importanza di detto velodromo. Gli spalti, anche nei giorni lavorativi erano sempre pieni. Pian pianino, comunque, l’interesse per questa difficile disciplina sportiva andò scemando. Per rinvigorire e rinnovare la piattaforma-atleti, furono organizzate anche scuole di ciclismo (Scuola Coppi) …. ma tutto, fra fallimenti, pochi addetti, ancor meno adepti, ogni cosa svanì… e oggi… assistiamo ad un penoso declino della specialità, lasciando che altre nazioni, già nostre avversarie, nei tempi d’oro, quali Gran Bretagna, Australia, Germania oggi mietano allori nelle varie gare internazionali. Un pensoso declino lo sta subendo anche il glorioso impianto, cui non bastano più le attività collaterali, magari estive, il cambiamento d’uso… magari per una disciplina emergente come il Football americano….E tutto svanirà… come lacrime nella pioggia… E’ ora di… dismettere….
ATTENZIONE: VOLEVO INSERIRE IN MIO TESTO NELLA SEZIONE -EDIFICI E COSTRUZIONI- NON ESSENDOCI UNA SEZIONE -VIGORELLI-, HO CERCATO POI PER ERRORE L’HO INSERITO FRA I POST SULLA GALLERIA….SPERO COMUNQUE CHE POSSA VENIRE LETTO…SE RIUSCISTE MAGARI A CREARE UNA SEZIONE: VELODROMO VIGORELLI…SCUSATE E GRAZIE!!!….