La storia di questo borgo è molto vecchia, infatti inizia verso la metà del IV secolo, e parte anche da molto lontano, da una bellisssima cittadina sulla Loira, Tours…
Da qui giunse infatti il vescovo Martino nel 356 che a seguito di “incomprensioni” nella chiesa cattolica fu costretto a trovare un luogo dove ritirarsi a meditare. E scelse un luogo in mezzo ad un bosco (in latino nemus) dove fondare un monastero; monastero dove lo stesso Ambrogio era solito ritirarsi, quando divenne vescovo di Milano pochi anni dopo (nel 374) a seguito della morte del suo precedessore, l’ariano Aussenzio.
E fu proprio a causa del vescovo Aussenzio che nel 358 Martino (non ancora santo…) dovette abbandonare Milano e il suo convento. Ambrogio fondò anche una chiesa, attigua al monastero dedicata a Santa Maria dell’Annuciazione.
Pare che la posizione privilegiata del convento di Sant’Ambrogio ad nemus e della chiesa fu l’elemento che più di altri li risparmiò dalle distruzioni barbariche di Attila e Uraja nei due secoli successivi; si trovavano infatti all’interno di un bosco, lontano dalle mura (quelle costruite in corrispondenza della cerchia dei navigli, ovviamente, non quelle spagnole…) ed erano inoltre situati a metà fra le due strade di comunicazioni più importanti, la Comacina (Comasina) e la Vercellina (Magenta).
Ci troviamo, nel caso non fosse ancora evidente, in via Francesco Melzi d’Eril all’incrocio con la via Peschiera.
La chiesa e il convento subirono nel corso dei secoli molte disavventure, fino alla sconsacrazione della chiesa avvenuta alla fine del 1700, quando fu istituita la Repubblica Cisalpina (1797).
Il monastero divenne, grazie all’impegno di Giovanna Lomeni e all’interessamento della contessa Ciceri Visconti, la prima sede dell’ospedale Fatebenesorelle, che com’è noto, venne successivamente spostato nel corso di Porta Nuova, dove attualmente è ubicata la sede dell’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico.
La chiesa è ancora visibile in via Peschiera, come pure il chiostro del monastero, da oltre un secolo divenuto proprietà dell’Opera Don Luigi Guanella.
Accedendo a questi indirizzi troverete la prima e la seconda parte di un articolo relativo al complesso monastico.
1^ parte: www.cgfsmp.org/pdf/voce/3_10/pp36.pdf
2^ parte: www.cgfsmp.org/pdf/voce/4_10/pp23.pdf
Come si evince dalla cartina a fianco riportata (cliccare per visualizzarla in alta risoluzione), il Borgo degli Ortolani si sviluppava praticamente lungo tutta l’attuale via Luigi Canonica (architetto svizzero, 1762-1844) e il suo naturale proseguimento, via Piero della Francesca (pittore, 1415-1492), che fino alla seconda metà degli anni ’20 (del XX secolo) manteneva il toponimo di via Canonica.
Le molte risorse idriche della zona, il Nirone insieme a varie rogge e fontanili, furono certamente uno dei motivi principali per cui si sviluppò lungo la strada postale per Varese (via Canonica, appunto) una serie di cascine, i cui prodotti (frutta, ortaggi, verdure) venivano coltivati in abbondanza, raccolti e venduti dando così origine al nome del borgo, che in milanese sarebbe in realtà borgh di scigulatt, cioè il borgo dei produttori di cipolle, ma che per “estensione” del concetto divenne ufficialmente il “borgo degli ortolani”.
L’annessione nel 1873 a Milano del comune dei Corpi Santi, di cui il borgo degli ortolani faceva parte, segnò in qualche modo l’espansione del borgo che grazie anche al quasi contemporaneo piano regolatore Beruto (1884) finì con il perdere la propria fisionomia e identità.
Non dimentichiamo anche che solo pochi anni prima (1866) Carlo Maciachini aveva terminato la realizzazione del nuovo cimitero Monumentale di Milano, che nelle ipotesi avrebbe dovuto far chiudere altri piccoli cimiteri cittadini come quelli di San Gregorio, della Mojazza e di San Giovannino alla Paglia.
In realtà questi cimiteri vennero chiusi nel momento in cui entrò in funzione il Cimitero Monumentale (sebbene gli stessi furono riaperti per qualche anno e poi richiusi definitivamente a seguito di errate valutazioni) e ciò comportò comunque che si dovesse provvedere anche alla realizzazione di nuove vie di comunicazione che solo pochi anni prima non esistevano.
Come si nota infatti dalla cartina precedente, nel 1820 le vie di comunicazione del borgo erano praticamente solo tre: la strada Postale per Varese (via Canonica, come già detto) la strada per la SS.Trinità (via Balestrieri / Niccolini) e il viale di Porta Tenaglia (viale Elvezia).
E’ sufficiente – per rendersi conto della differenza – pensare a quale dedalo di vie oggi si presenta nell’area compresa tra le vie Bramante, Procaccini e Canonica.
Vie tranquille come, per esempio, via Francesco Londonio (pittore, 1723-1786) qui sopra riportata o anche la via Paolo Sarpi (scrittore, 1552-1623), oggi invece al centro di tante discussioni dovute ad un’alta concentrazione multietnica dei residenti; nella fotografia la vediamo ripresa al suo inizio in piazzale Antonio Baiamonti (patriota, 1822-1891).
A tutti coloro che fossero interessati ad approfondire l’argomento, suggerisco di ricercare il volumetto di Tullo Montanari dal titolo “Dal borgo degli Ortolani a Porta Volta” edito dal Consiglio di Zona del Comune di Milano nel 1983.
Si tratta di un testo di difficile reperibilità, ma conviene comunque verificare la disponibilità presso qualche libreria, anche online, attraverso qualche ricerca con Internet.
Buona lettura.
non ho mai capito perché i consigli di zona non ristampino questi libri… credo ci sarebbe molta gente che tirerebbe fuori qualche euro per comprarseli!
Complimenti, lo aspettavo da tanto questo articolo.
Due domande. La prima foto a che anno risale e a che altezza della via è stata scattata?
A me sembra Piazza Morselli in direzione piazza Gramsci (non si vede l’arena sullo sfondo). Mi sembra che siano rimasti degli edifici in piedi ancora adesso, tipo la casa di ringhiera di sinistra ma chiedo conferma agli esperti.
Per quanto concerne il volumettino, lo sto cercando da un bel po’ ma finora non l’ho trovato…riproverò…
In merito al libro, personalmente l’ho recuperato acquistandolo su Internet sul sito di “Bergoglio – Libri d’epoca” di Torino (ma era l’ultima copia disponibile…) 🙂
A questo link si può vedere come la strada sia stata particolarmente colpita dai bombardamenti del ’43. Per cui si è proceduto a costruire ex-novo vari edifici (tra cui quello da cui scrivo ihih). La motivazione dei rientri la ignoro comunque i palazzi nuovi sono quasi tutti rientranti ed è molto singolare come scelta!
Chiudo con un aneddoto
Nel 1848 durante le Cinque Giornate i panettieri del Borgo degli Ortolani fecero pervenire delle pagnotte ai patrioti prigionieri nel Castello Sforzesco, in modo tale che non soffrissero la fame. Agli ufficiali austriaci facevano invece pervenire del pane “trattato” con arsenico ovviamente!
comunque il libro citato (“Dal borgo degli Ortolani a Porta Volta”) è reperibile presso le biblioteche rionali di Milano;
colgo l’occasione per fare i complimenti all’autore del sito, veramente interessante
Mi chiamo Gianfranco Brollo nato in via Canonica al 74 (casa demolita e sostituita con nuova costruzione) nato il 13 .04 .1941.
Ho letto tutto di un fiato i vari articoli di voi ragazzi (di una volta) milanesi. Mi avete fatto rivivere e ritornare indietro di diversi anni leggendo i vari appunti.
Borgh di scigulatt. Ricorda la Vecchia Rosa Bianca al 27 con il campo di bocce e il fotografo in fondo al cortile dove i miei genitori hanno fatto immortalare la nostra famiglia, Il prevosto baritonoso Don Sironi della vecchia ciesa SS Trinità, lo sbrindellato Don Pierangelo che mio padre regalava qual cosa e subito lui la rigirava a qualche bisognoso, il cinema Rosa con tutti i cacciatori di…, il piano regolatore che ha ab-battuto la vecchia chiesa SS Trinità, la drogheria Migliavacca, le larghe macerie in via Canonica dove noi giocavamo di tutto, i chiodo sotto il tram, lo stacciaio Lenzi che comprava dai raccoglitori di stracci della zona per poi spedirli a Prato, le gare con i carelot, la nostra ferramenta al 15, i maniscalchi che difron-te al 74 ferravano i cavalli, i giocatori dell’Inter calcio che avendo venduto una stufa Canada per asciugare i panni e altri mille ricordi venuti a galla nella lettura. Mi piacerebbe contribuire con altri vitaminiche mo-menti la mia vita in Canonica. A presto alla prossima.
Oggi ho letto la posta inviata, sto notando la maggior parte dei ricordi trasmessi da tanto tempo dagli anziani con i loro racconti, io compreso sono uno ancora esistente. La ringrazio di aver scritto qualcosa che da tempo non mi capita di più di leggere. Purtroppo sto perdendo i colpi, e stamattina mi è capitato di trovare qualcuno per condividere i ricordi.
Grazie infinite e spero che sia rimasto nella nostra zona e che la faccia crescere con entusiasmo.
Tantissimi saluti, se riuscissi vorrei poter ancora raccontare qualcosa.
MAURIZIO BRESCIA
ex con vecchio sogno di via Canonica
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Ciao a tutti
Sono Adriano Mazzola, nato in via Carlo Maria Maggi 14 nel 1946.
Mi sono trasferito nel 1960 in quanto il mio palazzo è stato demolito e ricostruito.
Avevo frequentato la scuola elementare G.Giusti, presso la Moscati con i doppi turni, in quanto era stata bombardata.
Un saluto a tutti e in particolare a Maurizio Brescia, che ci vedevamo in oratorio.
Sito fantastico, riferimento culturale di altissimo livello per chi ama foto, aneddoti sulla vecchia milano.
Buondì.
sono Josè Pascal (figlio del fù Mattia Pascal e Ederì Buendìa discendente del grande colonnello Aureliano Buendía) e navigando sul web mi sono felicemente imbatutto nel suo blog.
Volevo segnalarLe la mia iniziativa “culturale e senza scopo di lucro” dal titolo “In Parole Semplici” http://parolesemplici.wordpress.com/mi-presento/ .
Per avere maggiori informazioni sui contenuti trattati clicchi qui: http://parolesemplici.wordpress.com/inserisci-nella-scatola/
Con grande piacere La invito a scrivere ed inviare i suoi preziosi contributi.
Grazie per l’attenzione e buona giornata.
Resto a sua disposizione.
Cordialmente
ho letto con piacere il testo. sono l’autore del libro citato e di “dal borgo delle grazie a porta magenta” purtroppo dopo una seconda edizione a richiesta di un gruppo di cittadini al cdz hanno “smarrito” gli impianti…. la biblioteca del parco aveva messo una copia tra i libri da buttare sono rimasto male, ma l’ho portato a casa. combinazione vuole che io sia nato il 25. 11 data de presente testo. ho scritto altre cose e qualcuna è in attesa di essere stampata (una ricerca etimologica dialettale) ma pare non ci siano soldi in comune, provincia, regione. forse per i libri dei milanesi… vedaremm saluti a tutti e grazie della stima. la mia famiglia abita in zona almeno dal 1850 e adesso mi vogliono fare credere che abito a China Town. Pewr favore quando parlate della zona dite borgo degli ortolani, borgh di scigolatt borgh di ortolan borgh di gòzz borgh di Còzz ma lasciate perdere la cina. garzie
Buongiorno Sig. Montanari. Sto cercando delle foto del vecchio sanatorio di Via Monviso, quello che oggi si vede in parte davanti alla grotta di S.ta Maria di Lourdes… ha per caso idea se esistano? Mi hanno detto che era un vecchio sanatorio, ma potrebbe anche essere stato un vecchio ospedale o convento. Nelle piante di fine ‘800 si vede ancora tutto e non solo l’ala che è rimasta in piedi.
In attesa, saluto e ringrazio.
la casa che si vede a sinistra nella foto di via canonica è protetta dalla “sovraintendenza” come da richiesta del proprietario, l’architetto che abita al primo piano.
due case dopo (37 39) è ancora in piedi quasi miracolosamente. il 27 (dove c’era il “pupurri” trattoria frequentata dagli attori RAI e da giornalisti ha avuto una lunga traversia perchè è stato abbattuto senza i permessi poi, lo sapete. ci si aggiusta. sulla destra, dopo piazza Morselli, c’era la “rosa bianca, con campo di bocce (come al “pupurri”) dove ha aperto il primo locale proprio Franco Nebbia che abitava al 64. poi si trasferirà al 72 (trattoria dell’annunciata)
credo che l’allineamento delle case sia dovuto a un antico piano regolatore (da pochissimo hanno costruito arretrando al 62) ma non ne sono certo anche perchè a volte arretrano per potere alzare la casa di quanto arretrano. saluti dal borgh di ortlan
Mi sento molto onorato nell’aver ricevuto questi due commenti da parte dell’autore del libro che, con molta pazienza, sono riuscito a trovare solo su Internet, presso la libreria citata in un commento precedente; mi auguro che le nuove opere siano di più facile reperibilità 🙂
Volevo semplicemente rinnovare i miei complimenti per il volume dal testo interessante e corredato di fotografie in gran parte (per me, che comunque ne ho viste migliaia) inedite. Sono rimasto anch’io sorpreso dalla coincidenza della data di pubblicazione dell’articolo con quella del suo compleanno: veramente una simpatica coincidenza.
L’articolo mi ha risvegliato moltissimi ricordi familiari. Abitavo, infatti, vicino alla Fiera ma andavo a scuola alla Moscati (doppi turni alternati con la Giusti [bombardata]), vicino al termine della tranvia per Gallarate: “Sta attent al treno!! 8×7? 7×9?” (quante sberlette durante quel tragitto) –
Quindi era abbastanza comune, per mia madre, quando veniva a prendermi, andare nelle vie Canonica e Sarpi, per “shopping”, con sosta obbligatoria al mercato rionale di P.zza Gramsci e dal nostro droghiere di fiducia, che poi mandava, in settimana, il garzone, con quella gerla caratteristica che ho visto, in seguito, usare da altri fondeghee di Milano, con le bretelle ricavate dalle gomme di bicicletta, tormentone classico: “Allora …. un etto di caffé, una candeggina, un Kop, due scatole di piselli, sapone marsiglia…. etc…c’è tutto?”
Di tanto in tanto si andava anche al sabato, insieme a mio padre ….per gli acquisti importanti, scarpe, casalinghi, vestiti… ” ‘Ndemm in Pier de la Francesca…” – Non ho grandi ricordi architettonici, a parte dei primi negozi cinesi di pellami… con quei nomi strani, (avevo anche due compagni di classe cinesi) più che altro ricordo delle belle stanchevoli camminate…. pensando che anche per i cinema si girava in zona… Poliziano, Augusteo, Aurora…al Rosa con mio fratello. Ma una volta tornai con i pattini (schettini per noi) nuovi…
Anche per la salute dell’anima si girava lì intorno: S.Maria di Lourdes, S.Ambrogio al Nemus….soprattutto la prima, con puntate al Corpus Domini (ma così andiamo fuori zona)…
Grazie per i bei ricordi lontani…..
Come ho già avuto modo di spiegarmi in altri interventi non posso che dar ragione al Sig.Montanari…nelle Biblioteche rionali, ancorchè ben fornite, si trovano copie preziose, di libri su Milano, molto vecchie, smanacciate, sfibrate, disrilegate e purtroppo… uniche che infine vengono scartate senza sostituzione….considerando che per la gran parte risalgono alla fine degli anni settanta…che le librerie anche specializzate non aiutano…ci mettiamo a far le f/c in casa? I mezzi oggi non mancherebbero…. ma alla fine, risolta la voglia personale, mancherebbe la pubblica fruizione che è quello che più conta per un libro….Mi ripeto…librai…case editrici….fate un’opera meritoria…ristampate…ristampate…..
vi ringrazio per quanto avete scritto.
volevo dire al signor Ottavio che fino a qualche anno addietro c’era l’associazione dei “pierini” ex allievi della Moscati anche se probabilmente la conosce.
una piccolissima annotazione: quando andava a comperare le scarpe strano che andasse in Piero della Francesca perché in Sarpi c’erano moltissime calzolerie: Rossetti, Balsamo, VAF e molte altre di cui non ricordo il nome e la Sarpi era conosciuta a Milano per i negozi di calzature
appena finita la guerra, nel 1945, in tutti i portoni s’è ballato per festeggiare e la gente era felice di avere superato l’avvenimento anche se in molti casi, dolorosamente ew quelli della mia età erano meravigliati di tanta luce dopo cinque anni di oscuramento.
ho scritto un libretto sui frequentatori del bar Nacka, giocatore dell’Inter, che aveva aperto questo bar in Sarpi al 26. dove prima c’era la drogheria Flaminio Milanesi, qualcuno lo ricorderà certamente. ogni tanto mi trovo con qualche coetaneo del borgo e ce la contiamo sù, magari in strada, perchè posti di “aggregazione” sono rarissimi non solo per i giovani.
mi dispiace un po’ avere tanti ricordi, non per i ricordi, ma perchè voeur dì che son vegg. femm finta de nagòtt e tanti salud a tucc dal borgh di ortolan
Grazie Sig. Tullo, i neuroni ad una certa età (non troppo attempata, comunque) fanno degli scherzi, in effetti per le scarpe si andava da Rossetti, non plus ultra, secondo mia madre (si sa:vox matris plusquam vocem Dei). Ho un ricordo visivo ben nitido del fatto di camminare, come lo stessi facendo ora, fra vetrine e traffico pedonale intenso (vedi – Hubbard:Self Analysis)….ma la via specifica mi sfugge….ragionando oggi con la cartina, venendo, noi, da Procaccini, io ho in mente una curvata a sinistra, ma chissà che giri si facevano prima, per cui….i ricordi si scordano….
Purtroppo vivendo da molti, troppi, anni all’estremo opposto della città, non ho più avuto modo di seguire le attività della Moscati, nonostante i ricordi migliori delle elementari, il maestro Carpanini (pittore e figlio della Lina Carpanini, poetessa) fu veramente una colonna portante della mia vita….un formatore, mi sia permesso dirlo….ma il trasloco ci fece perdere di vista e con lui anche i miei compagni di classe…..Ma la memoria visiva, come sopra, talvolta mi fa rivivere alcuni bei momenti…talvolta anche brutti…ma non sono tanti, fortunatamente….
Nato anni dopo la guerra posso solo raccontare per sentito dire delle feste da ballo organizzate dappertutto fra 45 e 46; sempre mia madre, ne parlava ….quando sollecitata… raccontando di feste a casa di un amico di famiglia, compagno di prigionia di papà, che aveva a disposizione un laboratorio spazioso. Ai suoi ricordi, seguono i ricordi di mio fratello che portato “obtorto collo” a dette feste, finiva sempre per dormire con altri bambini nelle stanze attigue, mentre i grandi si “sfogavano” dopo anni di ristrettezze.
Per “fortuna” loro, genitori e parenti riuscivano a parlare poco di quel brutto periodo, lasciando, però, noi ragazzini all’oscuro…ma deve trattarsi di un moto naturale del cervello che tende a cancellare, velare, all’estremo, edulcorare certi fatti tristi della vita….anche sì abbastanza vicini…
Ma c’era il momento magico…..Era il tramonto, si era in viaggio da alcune ore in auto, si era detto tutto, cantato tutto… ed ecco che mio zio pronunciava la formula fatata: “Quand serom ad Acquaseria (suo luogo di sfollamento)…” A questo punto si aprivano gli scrigni ed ecco: il bombardamento di….l’amico ebreo che…..il viaggio a Berlino quando…..e la Todt e Villa Triste…(mia madre passandoci spesso davanti non mancava mai di mandarci un pensiero)…ed infine Piazzale Loreto….il tutto fra rimembranze più strettamente personali…un ripasso di storia moderna per noi bambini…
Per quanto riguarda il bar Nacka, penso che lei si riferisca a Skoglund….un fatto strano…io sono milanista da embrione, ma la prima foto calcistica che vidi e che, forse, mi portò ad interessarmi di calcio, fu l’immagine della formazione dell’Inter di Skoglund….negli anni a seguire…la sola formazione che imparai a memoria, poi, fu la favolosa formazione: Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Peirò, Mazzola, Suarez, Corso…che memoria neh??? E che belle partite….una delle quattro volte che andai a San Siro fu un Inter-Santos (con Pelè).
Si consoli….nella mia compagnia usuale, pari età, sono considerato un “rompaball d’on andeghee” e non posso accennare a qualche ricordo sociale o personale oltre i vent’anni senza ricevere critiche: “Eh’ bbasta…ma vivi il presente!!!” Hanno anche proposto una multa di 10 Euro ad ogni ricordo antico….ma è tutta invidia….appena possono anche loro tendono a rivangare…. Se sa, i ann passen per tucc…..A riscrivess…..
quando si dice la combinazione….. ahahaha… il negozio di scarpe Rossetti era in Via Sarpi 1, fino al 1946, o ’47, poi si è trasferito in Sarpi 4 dove prima era il Bar Savoia. Non è che so tutto della Sarpi ma l’Enzo Rossetti frequentava il bar Savoia che era gestito dai miei genitori e io pur essendo nato in Via Bramante 2 ( dove abitava don Davide Albertario imprigionato assieme ai socialisti dopo i fatti di quel bastardo di Bava Beccaris) sono venuto grande al Savoia. Chiaro che adess gh’è denter i cines…
dica pure ai suoi amici che vivere il presente non significa dimenticarsi del passato, anzi il presente in tal modo si vive con maggiore chiarezza perchè è confortato (o sconfortato…) da paragoni. cerco di essere esplicito: non è che se uno è pirla a venti anni a ottanta diventa furbo, no, peggiora.
in realtà credo di non amare particolarmente il passato (in particolare gli anni della guerra: fame, freddo e paura).probabilmente amo gli anni quando ero giovane e dovevo scoprire ogni giorno qualcosa. anche adesso avrei da scoprire, ma faccio più fatica e spesso mi annoio.
ho sempre piacere a leggerla a presto
Gent.Sig. Tullo, Milano sembra essere una città piccola…almeno, negli anni ’50, lo era ancora in parte, nonostante da mio zio ascoltassi spesso: “ Stramilano, S-T-R-A-M-I-L-A-N-O…..”
Non ho un ricordo personale nè del proprietario nè degli inservienti della Calzoleria…all’epoca vivevo quei momenti come una gran noia….più che seguire il loro passo ero quasi portato, tenuto saldamente per mano, in mezzo ad una folla di passanti…. se poi mi toccava pure provar delle scarpe…umphhh ….tanto dovevano piacere a mia mamma (cose d’altri tempi)… a consolazione speravo che magari ci scappasse l’omaggio finale…fosse anche un palloncino…
In realtà ero molto più attirato da un negozio di giocattoli non troppo lontano….che bei soldatini che aveva in vetrina…..peccato che in quel momento venissi strattonato: “A gh’emm no temp!!!” Ma non erano poi così cattivi, un paio di soldatini di quel negozio li ho avuti in regalo per un compleanno. Così belli che solo pochi anni fa li ho regalati ad un nipotino.
Ma perchè si andava da Rossetti: “Ah el Rossetti!!” come commentava mia madre…si andava lì perché il proprietario era stato commilitone di papà, nel Savoia Cavalleria, non so se in guerra o quando; quindi per buona politica di “pater familias”, si supponeva che se proprio non si riusciva ad ottenere un minimo sconto, almeno si sperava di essere ben serviti…Non eravamo certo nelle condizioni del “Rino bersaglier” di Jannacci, a gh’era no di “tratt de quattà”: “Ma se sa maj!” – Perfezionato l’acquisto, due chiacchiere e, magari, essendo conoscenti, ci sarà anche scappato un caffé….magari nel bar che lei cita…..ma non ricordo.
Adess basta altrimenti a venn foeura che semm parent….
Quello che mi preme dire è che solo da poco sono “patito” della storia sociale e architettonica di Milano, nonostante che essendo in possesso, da anni, di una copia anastatica della mappa del Barateri, per anni mi sono divertito a sovrapporre mappe di varie epoche e a indovinare le corrispondenze fra antico e moderno. Subito restai colpito da quel piccolo Borgo a nord oltre le Porte, sapendo di averlo frequentato, sovente, da bambino, coi vari tormentoni: “Adess andemm a S.Ambroueus Alnemus (tutto unito per me)”… Tante domande con mio fratello: “A che altezza sarà il Poliziano? E l’Augusteo? E Piazza Baracca? E Piazzale Corvetto?” – “Qui!!!” Indicando un punto lontano sulla tovaglia, oltre il bordo della mappa.
Infatti come già ho detto un’altra volta il Borgo degli Ortolani era la zona acquisti preferita di mia mamma che preferiva andar lontano: “Putost che discutt cont i negoziant sota cà! Che poeu t’i vedet tutt i dì!”. Mai saputo però che alla fine della Ferruccio ci fosse stata la ferrovia, a me già facevano meraviglia i ruderi dello Scalo Sempione e trasalivo al passaggio in trincea dei treni delle Nord verso Bullona. Poi ecco la Procaccini, ma come strada non mi fece mai tanta impressione, forse solo per gli alberi… si sa un bambino… però aspettando il tram all’incrocio, di solito il 33, con in mano il “Nembo Kid” nuovo, restavo meravigliato del Palazzo “moderno” all’angolo, la famosa casa Terragni, avevo buon gusto…. ehh? Più che altro invidiavo quei grandi balconi ad un ipotetico bambino…. Una fissa la mia per le case “moderne” …ce n’era una verso Piazza Repubblica… sempre per i balconi… Feci a tempo, strabiliato, a vedere crescere quel palazzone alto e piatto all’incrocio della Ferruccio… Palazzo Bottoni… e purtroppo a veder sparire dietro un palazzone, il Duomo e l’Arco della Pace, dei quali avevo avuto per anni una buona visuale. Comunque stravedevo per il mercato coperto di Piazza Gramsci, dove potevo gironzolare “quasi” libero: “No!! Ti sta chi!!” – E quindi il ritorno… e con la mentalità da bambino mi ricordo un negozio di televisori…novità dell’epoca.
Una mia curiosità: Ma i cinesi di allora erano quelli scappati dai comunisti o c’era già una colonia precedente? Ero troppo piccolo per chiederlo ai miei compagni di classe cinesi, la politica era una cosa lontana, anche se, in classe, trepidammo tutti per la rivolta d’Ungheria e fu in quel periodo che mi capitò per le mani un libro sui campi di concentramento. Cominciai ad aprire gli occhi…e a spaziare, così tanto che cambiammo casa e quartiere.
Legge della sincronicità di Jung: Pensi una cosa e appena dopo ti accade o la vedi.
Cinesi in Canonica e Sarpi: I primi arrivarono negli anni venti e cominciarono con le lavanderie (Cooltour – Rai5 24.2.11).
Saluti
Salve Tullo, sono Renato dell’Associazione Amici Cascina Linterno. Non so se ti ricordi ma ci siamo visti diverse volte nella vostra sede allorchè ci si scambiava le visite per assistere alle reciproche conferenze. Essendo fotografo ricordo che insieme abbiamo scambiato dei pareri sulle immagini di Milano.
Sono nato in Canonica nel 1949 e precisamente al numero civico 32 angolo piazza Morselli nel palazzo che si vede sulla destra nella foto, dove c’è un negozio dalla tenda bianca. Devo ringraziarla per la fotografia pubblicata in quanto era da parecchio tempo che ricercavo un’immagine del palazzo della mia infanzia; io la parte frontale non l’avevo mai vista intera, causa il bombardamento. In quella parte del palazzo che si vede in foto ci abitavano i miei nonni fin dalla seconda metà dell’Ottocento e successivamente ci hanno abitato da sposati i miei genitori, fino al giorno che è stato bombardato. quando sono nato i miei abitavano insieme ai nonni nella portineria interna del palazzo, che mia nonna gestiva dopo che aveva lasciato l’appartamento ai miei. Abitavamo nella portineria in 5 in due locali, la latrina e la “pumpa” dell’acqua erano nel cortile “visin a la ruera”. Come vedi sebbene nato nel dopoguerra anch’io purtroppo, ero un “sinistrato. Ricordo che del palazzo che si vede nella fotografia era rimasto in piedi solo il portone (l’andrun) e i due edifici di ringhiera interni. Questi edifici, seppure inglobati nel nuovo palazzo,. sono stati restaurati con un’intervento conservativo e sono ancora visibili all’interno del complesso. Ho abitato al 32 fino al 1954 fino a quando ci hanno dato una casa popolare fino Crescenzago (pensa te).Oggi finalmente rivedo un pezzo della mia infanzia che per me è un caro ricordo. Renato
gira e rigira car el mè Bosoni (tra l’alter l’era el cognòmm de la mia suòcera) semm semper quei. mi vegnaria ‘na quai vòlta a la Linterno, ma dato che gh’hoo minga l’automòbil l’è on poo on casin. l’Eraldo, quell de visin a Cremòna el m’ha cuntaa sù on quaicòss. e poeu ricevi i notizi dal vòster sit. Anca la mia nòna la faseva la portinara in Carlo Maria Maggi quindi podaria dass che se conosessen. Per i cinesi ho aiutato una ragazza a preparare la tesi di laurea, così ho dovuto studiarli. nel mio libro “dal borgo degli ortolani…” c’è una parte scritta dal Pierino Ling ( suò papà era l’unico che sapesse scrivere in cinese tra gli immigrati) che spiega abbastanza bene quanto è avvenuto nella colonia cinese. Successivamente alla pubblicazione del libro ho trovato foto e notizie ( su internet) del loro invio durante la guerra ’39-45 in un campo di concentramento che ancora oggi si conserva. (senza aver dentro i cinesi….) a meno di quelli che si spacciavano per giapponesi aderendo al fascismo.
se non sbaglio al 32 c’era la “Stella” O Rosa bianca? non è la stessa cosa ma faccio confusione perchè una TRattoria Stealla (dove hanno girato “miracolo a MIlano” c’era anche in Paolo Sarpi) trattoria, osteria, con gioco di bocce, dove aprì il primo cabaret Franco Nebbia ( poi andrà al 72 alla ex trattoria dell’Annunciata)
per ottavio vorrei dire che forse il negozio di giocattoli era all’inizio della Sarpi. avrebbe dovuto essere in numero 2 ma in Sarpi il 2 non c’è mai stato perché l”edificio d’angolo aveva il numero civico sulla Piazza Baiamonti dove c’era il Bar Gino. Se era quello il negozio forse potrebbe ricordare che non aveva un pavimento in piastrelle ma un parquet che produceva un bel po’ di polvere e scricchiolava al minimo passo. del Terragni, se non faccio confusione anche l’attuale sede della Polizia vicino alla RAI di corso Sempione è del Terragni e c’era una sede del pnf. Avere ricordi non è male, il problema è che li abbiamo divisi col tempo che passa. Ciao a tutti e sù alegher…
Gentile Sig. Montanari ho molto apprezzato il suo libro sul Borgo degli Ortolani e i sui post a questo blog davvero interessante. Vorrei poterla contattare per raccogliere una sua testimonianza sulla figura di Piero Ling e della sua famiglia, che cita in questo post. Sto lavorando a una ricerca storica approfondita sui primissimi cinesi di Milano e cerco di mettere insieme frammenti di memorie di famiglia, di amicizie (e di amori!) tra italiani e cinesi che rischiano di andare perduti. Tengo d’occhio questo blog, ma se volesse rispondermi direttamente può anche fare riferimento alla mia mail daniele.cologna@codiciricerche.it
Probabilmente ai fini della sua ricerca, queste righe risulteranno inutili; comunque a parte qualche uomo cinese che girava per il quartiere in bicicletta con una cassetta sul portapacchi posteriore con delle cravatte, ricordo che in Via Canonica, 25 dove la mia famiglia abitava al terzo piano, sopra di noi, al quarto, viveva una famiglia con marito cinese, moglie italiana e una figlia di una bellezza tale da far scomparire tutte le altre che abitavano nel fabbricato.
Io non ricordo altro, anche ero bambino se non che quel signore aveva un aspetto molto distinto ed era sempre in ordine al contrario di quelli che giravano con la bicicletta che si presentavano maluccio.
Maurizio
Gent. Scior Tullo lu el me derva la ment… a vorevi proppi dil che anca la cà de la RAI l’è del Terragni…ma ho avuto problemi col computer e mi è passato… dalla tastiera….
Riguardo al pnf in quel palazzo, infatti, c’era un ricordo molto sfumato in famiglia che mio padre aveva dovuto presentarsi perché convocato, forse solo per burocrazia, ma pare che ne fosse preoccupato: ” Cont quela gent lì a se sa maj!!”
Ma tutta la guerra era sfumata in casa…si voleva certo dimenticare al più presto per una vita normale….
Il giocattolaio…mi chiede troppo…troppe sedute di autocoscienza….viaggi astrali…..meditazione….può darsi che ci fosse il parquet…mi vengono in mente dei pelouches…ma io avevo in mente i soldatini…..
Ho controllato negli schedari delle Biblioteche rionali….e, almeno… da chip….risulta che i suoi due libri non sono proprio scomparsi…di sicuro io ho letto, a suo tempo, “dal Borgo degli Ortolani a Porta Volta”, l’altro, adesso che ho avuto l’onore di conoscerLa, mi pregierò di cercarlo, al più presto…certo che come ho già avuto da dire, nonostante lo scaffale “dedicato”, Milano è un argomento un po’ trascurato…libri vecchi e malconci, qualche trionfalismo: “Ah el dumilaquindes!!”, nessuna sostituzione…magari fare le copie anastatiche?
A riscrivess
Caro Montanari, ho domandato a mia sorella, che essendo la più anziana è rimasta l’unica memoria storica della famiglia. Ebbene la “Rosa bianca” era al 36 o al 38 di via Canonica, si ricorda che nel cortile ‘interno dello stabile c’era il gioco delle boccie dove la portava mio nonno, e dice anche, ma non è sicura, che nelle feste si ballava.
cari saluti.
Anch’io sono andato a scuola alla Moscati con i doppi turni, sarei dovuto andare alla Giusti, ma era bombardata. Ricordo che in terza elementare ho avuto ben tre maestri, all’inizio la Signora Maj che era anche pittrice, il secondo non me lo ricordo e ho terminato l’anno col maestro Roscena prossimo alla pensione. Abitavo in Via Canonica al 25 e ci sono rimasto fino al 1957 quando la mia famiglia si è trasferita in Piazza Sempione. All’Opera don Guanella ho frequentato l’asilo mentre mia sorella è andata dalle Suore Canossiane in Via Bramante. Con mia mamma andavamo spesso al mercato rionale di P.zza Gramsci però per le scarpe andavamo in Via Anfiteatro perchè costavano meno.
Ho notato che nei vari commenti nessuno parla della Chiesa della SS. Trinità, vi ho fatto tutta la carriera da chierichetto come ho frequentato il suo oratorio prima in via Niccolini in quello che era rimasto, dopo i bombardamenti, dell’Istituto degli Artigianelli, poi in Via Balestrieri e poi in Via Verga quando è stato costruito quello nuovo. Ho veramente sofferto quando è stata demolita la vecchia chiesa, secondo me solo per la gloria personale del parroco Don Sironi.
Ho giocato tanto sulle macerie di Via Cesariano, Canonica, Melzi e ho passato ore e ore sui tram parcheggiati in C.so Sempione di fianco alla scuola. Buona parte della mia adolescenza l’ho passata avanti e indrè in P.Sarpi, i miei due amici abitavano uno al 22 e l’altro al 44, accompagnavamo uno, poi ripartivamo per accompagnare l’altro e così via per un bel pezzo.
Quando passava in Via Canonica il 36, quanti chiodi abbiamo fatto schiacciare e petardi scoppiare sotto le ruote. Ci si divertiva con molto poco ache se a pensarci adesso erano giochi abbastanza cretini.
Scusate, ma ho aperto uno sportello e faccio fatica a richiuderlo.
Maurizio, anca mi sunt vecc, ve saludi.
ADRIANO
Anch’io sono andato a scuola alla Moscati facendo i doppi turni, ache se la mia scuola era la Giusti, come dicevi tu.
Ricordo che la mia prima maestra (1 e 2 elementare) era Clotilde Besana e abitava in Via Cassiodoro 10 vicino alla Fiera.
Pesa che nel 1970 passando da via Cassiodoro mi ero ricordato della mia maestra, e chedendo alla portinaia o potuto ritrovarla, era ormai molto vecchia, ma è stata molto contenta di rivedere un suo alunno.
Ringrazio ancora tutti per i ricordi che mi fate rivivere.
Grazie!!!
Gentile Maurizio, è questione di longitudine, “mi a seri da la part di sciori” di là da Corso Sempione, come dice Tullo Montanari, senza essere di famiglia ricca però. Non so niente della SS.Trinità (si sa è un gran mistero:-)). Battezzato in San Pietro in Sala e frequentatore del Corpus Domini, non so perché mia madre frequentasse, devotamente, la Madonna di Lourdes, lasciandomi però, sempre, nel cortile davanti alla grotta.
Io mi ricordo anche di una cancellata e una stanza con delle suore che ricamavano….m non so che chiesa fosse.
Di certo, commercialmente, però mia madre considerava più fruibile la zona fra Canonica-Gramsci-Pier della Francesca e spesso, come detto in precedenza, si passava soprattutto per il mercato rionale, aveva anche il parrucchiere dalle parti di Melzi d’Eril…insomma l’altra parte del Corso era la nostra zona shopping…
No, io ho cambiato almeno sei maestre fra prima e seconda, poi in terza ci fu il Carpanini che portò stabilmente la classe fino in quinta, ma io non c’ero già più. Mi ricordo, in seconda elementare, di turno al pomeriggio, arrivammo alla classe ma sulla porta c’era un’enorme scritta rossa “SCARLATTINA” per cui, quel giorno, si andò a far lezione nella “sala cinema”: “A l’è vun della Giusti!!!”…. Sempre colpa degli assenti.
Col trasloco ci guadagnai in quanto a prati e libertà dal traffico, senza più quei continui rimproveri: “Sta attent!!!…
guarda el tram!!!…Traversa no!!!!….Spettommm!!!….”
Però tanta fu la perdita di storia secolare cittadina che al Corvetto stava “appena” iniziando, fra palazzi in costruzione e vie appena abbozzate……
A riscriverci….
In Via Canonica 25 abitavamo al 3° piano, il gabinetto con la turca e le “virgole” sul muro era piazzato sul pianerottolo tra i due piani. Le biciclette alla sera si portavano sulla ringhiera davanti alla porta e ci fu anche il Ragioniere che abitava a fianco a noi che tutte le sere portava su anche la moto (una Puch 125 o 250, non ricordo bene) fino a quando riuscì ad avere l’uso di un sottoscala dove parcheggiarla.
Ogni padre di famiglia aveva un suo fischio particolare che in assenza di citofono serviva a chiamare qualcuno della famiglia per comunicazioni varie senza fare le scale.
Io sono venuto via dalla zona causa matrimonio e mi sono trasferito a Cusano Milanino. E’ stato un trauma durato diversi mesi, lavoravo in Via Messina e alla sera, prima di andare a casa, facevo un giro in P.Sarpi passavo dentro alla Standa a lumare le commesse e poi salivo a casa del mio amico e futuro cognato per fare una partita a carte con suo papà.
Mi è mancato molto questo cerimoniale, ma adesso credo che non tornerei più indietro. Tutte le volte che vado a casa in Piazza Sempione, sudo freddo per il parcheggio, in P. Sarpi non si può nemmeno più passare, in P.zza Morselli, ho preso la multa, in P.Sarpi pure anche se pensavo che con il motorino si potesse. in P.zza Gramsci se po pù andà.
Asess vo via perchè go pressa. Se sentum ammò.
Anch’io abitavo in Canonica 25 al primo piano e ho frequentato la Moscati. Poi sono andato al 91 e mio padre aveva negozio oreficeria sotto l’appartamento. Giocavo sempre alla stazione in Corso Sempione davanti al bar che chiamavamo ” il marocchino” non so perché. Ho fatto Comunione e Cresima alla SS Trinità è stata demolita perché campanile pericolante, la Chiesa non c’è più, il campanile è ancora visibile all’interno del nuovo palazzo della piazza. Volevo sapere se qualcuno ha foto del mercato di piazza Gramsci , quando c’era il Palazzo della Ramazzotti. Ciao a tutti.
Conoscevo bene la tua famiglia, mio papà è stato per anni cliente del tuo.
Voi andavate in vacanza in Valtellina e tramite voi anche noi abbiamo iniziato ad andare là, voi a Serone (S.Rocco) e noi a Naguarido.
In mancanza di citofono ogni genitore aveva un fischio particolare che usava per chiamare qualcuno in casa, noi bambini conoscevamo bene i vari fischi per evitare di uscire di casa per niente.
Se ricordo bene eravate due maschi più o meno della nostra età, ma tranne un paio di volte in montagna non eravamo abituati a frequentarci.
La chiesa è stata demolita per l’ambizione del Prevosto, il campanile rimasto è molto più antico della chiesa abbattuta.
Tu hai un fratello Mario e una sorella Cristina?
Sì ne ho anche uno che si chiama Fiore (Fioravante)
Tuo fratello Mario era amico delle mie sorelle
Pierclaudia Pierangela e Giancarla. E erano del gruppo Rododendro di don Romeo.
Abitavano in via Carlo Maria Maggi 14.
Io mi ricordo di te e di tuo fratello Fiore in oratorio con don Elio.
Tua sorella Cristina era a scuola con mia moglie.
Cristina abita vicino all’ospedale San Carlo e suo figlio era a scuola con mio figlio.
Il gruppo di Don Romeo a un certo punto si era trasformato in agenzia matrimoniale, io non ne ho mai fatto part perché ero ancora troppo giovane, ho partecipato con loro a qualche gita. Da quello che raccontava Mario, don Romeo, tentava di fare gli abbinamenti, ma almeno con mio fratello non ha indovinato. In Carlo Maria Maggi, Mario ha trovato la morosa, poi sua moglie. Lui è morto nel 2014.
Ho riletto i tuoi racconti, e mi sono commosso molto, quando parlavi del Fedele perché anch”io l’ho aiutato molto.
I miei nonni abitavano nella casa parrocchiale vicino al Fedele. Al terzo piano e le finestre davano sulla piazza della chiesa.
Nella casa parrocchiale di Via Balestrieri ho fatto catechismo e nel cortile ho giocato tanto, allora l’assistente era Don Pierangelo sostituito poi da Don Elio,
Don Pierangelo aveva come perpetua un ragazzo, un certo Crippa e ricordo che appena dentro in casa aveva la macchina per tappare le bottigliette di gassosa con la pallina.
L’oratorio in Via Balestrieri è stato trasferito da quello che restava della casa degli Artigianelli in Via Giusti/Niccolini, quando hanno messo mano alla ricostruzione dello stesso. In quel cortile i ragazzi erano affidati a Padre Ferloni dei Pavoniani, che quando si trattava di giocare a pallone, infilava la veste nella cintura per avere le gambe libere e alè.
Anche mio padre andava a lavorare in bicicletta, e alla sera la portava al quarto piano, per fortuna sul cancello del portone non c’era la famigerata scritta: “VIETATO INTRODURRE BICICLETTE” come da mia nonna, palazzo signorile (ma lei abitava dalla parte della scala di servizio, negli abbaini al sesto piano-senza ascensore) o da alcune amiche di mia madre. Oggi sarebbe anacronistico, visto il rilancio del cavallo d’acciaio.
Comunque, la bicicletta passava e poi era gioco forza usare l’ascensore, caricandola all’impiedi…discussione tipo fra la “portinara” e mia madre:
Portinara: A se pòd no…..s’el vedi anmò mi ghe tiri giò el cortell!!!!….
Madre: Che la ghe proeva!!!!
Magari aveva anche ragione ma quattro piani non sono pochi…….
La macchina venne molto più in là nel tempo, ma già allora, anni 50, la zona intorno alla Fiera, durante i periodi espositivi era tremendo…capitava anche che il fortunato possessore di un auto (el dottor, el piazzista, el cervellee) non potesse parcheggiare sotto casa che c’era subito un ragazzino ( di solito uno scout) che pretendeva il pagamento del pedaggio…ed allora erano discussioni a non finire…ogni giorno……
Per questo che dico che il Corvett fu una manna….alle 9,30
le poche macchine parcheggiate erano sparite e allora erano interminabili partite a lippa o al pallone fino alle cinque di sera……
son staa via on quai dì a venessia e ho leggiuu con piasè tutt. che avii scrivuu, bell. se podaria trà insemma i ricòrd e fann on librett… pensemigh..
ss trinità. ho la foto apparsa sul corriere mentre la stavano abbattendo dando ascolto a un piano regolatore (mai realizzato) che avrebbe dovuto collegare corso sempione con viale zara facendo quattro o sei corsie: ona ròba de scemi…
la ss trinità fu sede degli umiliati ( lavoravano la lana e la facevano tingere nella zona paolo sarpi all’angolo col streccioeu di mòrt”. attuale braccio da montone) ma la storia della chiesa è molto lunga e complessa.
Vero che alla Rosa Bianca si ballava addirittura e c’era il campo per le bocce.
me ricordi che in quinta gh’avevi il maestro Piatti grande studioso d’ esperanto che aveva insegnato anche a noi una poesiola con un “pastosteto”=”pastorello” che non ricordo più. qualcuno si ricorda che sulle macerie dell’attuale 59 in Canonica (casa della cicogna…) giocavano a softball i leprotti? e che un paio di loro sono finiti in nazionale? troppe cose mi vengono in mente, meno male anche se questo fenomeno si dice ecmnesia, solo se è patologico… se è “normale” vuol dire che non sono ancora andato del tutto state bene ragazzi ciao
Carissimo Tullio ,
la segnalazione di un amico mi ha fatto andare su questo sito ed ho letto con estremo interesse i vari interventi e specialmente questo tuo di ormai tra anni fa .
Io ero uno dei Leprotti , da te citati , che ha cominciato a giocare a Softball prima ,e a Baseball poi , proprio sulle macerie del numero 59 di via Canonica . Abitavo , come altri 4 Leprotti , in via Morazzone , quasi all’angolo della Canonica . La voglia di giocare a questo sport nacque dalla visione al Cinema Rosa , sull’angolo della Cagnola proprio di fronte al 59 . del film ‘ Quando torna Primavera ‘ con Ray Milland che interpretava la parte di un chimico che , avendo inventato un liquido repellente alle mazze di legno , era diventato un grande lanciatore appunto di Baseball .
Come dicevo abitavo al numero 3 di Via Morazzone dove , guarda guarda , al piano rialzato c’era l’abitazione di Pierino Ling che fu anche un mio compagno di giochi . Oggi leggo che Piero ha collaborato all’edizione del tuo libro , bellissimo !
A proposito di giocare, mio fratello maggiore giocava nella Virtus che era nata e cresciuta nell’Oratorio, i campionati venivano portati a termine senza lode e senza infamia, però ci ciocava anche il Gian Pieretti che ha avuto una certa notorietà come cantante.
Per la cronaca il libro di cui si parla sopra io ce l’ho.
Oltre alle scarpe in via Anfiteatro, per questioni economiche, per i materiali di pulizia che allora erano molto pochi come numero, andavamo in un magazzino in Via C.M.Maggi.
In Via Canonica c’era di tutto al 27 Foto Della Casa, 25 Drogheria Migliavacca dove durante le vacanze facevo le consegne a domicilio, 21 Biciclette Legnano, 15 Ferramenta Brollo che aveva in vetrina un cono tronco (mi pare girevole) con appesi gli attrezzi in mostra, prima di trasferirsi in Via Rosmini, poi in P.zza Diocleziano. All’angolo tra Canonica e Balestrieri c’era la bottega del Bottaio ecc.
Durante la ricostruzione tanti erano i muratori che a mezzogiorno si sedevano sul bordo delmarciapiede a consumare i loro panini dopo, magari, aver scaricato un paio di camion di mattoni tutti a mano facendo la catena.
E il cinema Rosa? Due film, poca spesa tanta resa, bastava che non restassi troppo in fondo o se proprio ci dovevi stare, conveniva rimanere appoggiati al muro.
Me par che sun adré a diventà vecc e ve saluti.
Una domanda per la sua favolosa memoria.
Di che anno sono i suoi ricordi circa i negozi di via Canonica?
Io ho conosciuto il padrone della drogheria Migliavacca ma sto parlando degli anni attorno al 67-68. Era dunque il figlio?
Ricorda forse il Fotografo Tollini di via Paolo Sarpi?
Grazie
La drogheria Migliavacca era al numero 25 di Via Canonica, dove abitava la mia famiglia. Noi abbiamo abitato lì dal 49/50 al 56 circa. Per il Migliavacca ho fatto per qualche tempo i servizi a domicilio, litigando tutte le volte col portinaio di Via Cesariano, 6 o 8 che non mi lasciava usare l’ascensore e per un ragazzino appena all’inizio dell’adolescenza, portare ai piani alti quella grossa sporta, magari con dei bottiglioni di vino, era proprio una faticaccia.
l’Antonio Migliavacca viveva allora con la madre e la sorella, più tardi si è sposato con una bella signorina dalla voce angelica che cantava in chiesa,
Erano tutti e due forse oltre i trent’anni e, a quanto mi risulta non ebbero figli.
Il fotografo Tollini me lo ricordo di nome, ma non saprei dove collocarlo.
Successivamente presi a frequentare la Via P. Sarpi, ma non mi ricordo.
Tutto chiaro adesso e col suo prezioso aiuto.
Aggiungo io qualche tessera del mosaico.
L’Antonio Migliavacca è colui che ho conosciuto e frequentato anch’io non per la drogheria, ma tramite la parrocchia.
Lui leggeva le letture delle Messe e LIna, la moglie carina e dalla bella voce, continua a cantare anche adesso.
L’ho incontrata due – tre anni fa che stava andando con delle amiche a fare le prove di un coro presso la chiesa di San Protaso in P.le Brescia.
Hanno avuto due figli, entrambi maschi, che gli hanno dato soddisfazione negli studi.
ITollini erano famosi in zona e avevano un vecchissimo atelier dove tutto sapeva di antica muffa.
Gli arredi, le tende per regolare la luce e i fondali erano corrosi dal tempo e dalle tarme.
Avevano un archivio fotografico immenso con lastre su vetro (se i ricordi mi sostengono) che spero non sia andato distrutto; sopravvissuto ai bombardamenti per poi finire in qualche discarica, sarebbe il colmo!
I nonni di mia moglie andavano da loro e ci mandarono figli e nipoti a fare le foto ricordo formato “da visita” e cartolina.
Io ci sono andato per le foto della mia prima carta d’identità.
Roba ormai del secolo scorso, ma non di cent’anni fa!
Grazie Maurizio!
tutti hanno giocato nella virtus…. anch’io. le magliette più belle le aveva regalate l’inter ed erano quelle con la croce rossa in campo bianco altrimenti erano quelle verdi con il motto “i sorci verdi” il campionato era il CSI e non si poteva più giocare all’oratorio ( c’erano piante in campo….) e si andava al leone XIII. un portiere della virtus ha fatto la riserva nel Bologna. se non si andava a dottrina la domenica pomeriggio niente partita se ti beccava il don pierangelo. l’allenatore era il tognoni che allenava tutti pulcini, ragazzi, juniores el tognon era una istituzione. celibe aveva dedicato la sua vita alla virtus. noi eravamo riusciti ad andare nelle finali regionali poi abbiamo preso una tostata e siamo stati eliminati.
Me lo ricordo il Tognoni, io facevo l’accompagnatore, le partenze per le partite erano sempre un’avventura.
Mon mi ricordo in che epoca la squadra è diventata Virtus Giannini e ticordo che il manager-allenatore era un certo Pagelli, ma oramai giravo un po’ più alla larga.
L’unica mia esperienza calcistica si è svolta all’oratorio nuovo con un torneo pomeridiano di calcio a sei. Io ero l’allenatore di una delle squadre (Non mi ricordo nemmeno il nome) e dovevo anche giocare perchè su sei ne mancavano sempre tre o quattro. Perdevamo mediamente 20 a 3, 22 a 2 robe di questo genere.
Adesso provo a caricare un raccontino che ho scritto sulla SS: Trinità, speri de minga da fastidi a nissun.
SS. TRINITA’
La chiesa della SS. Trinità (quella vecchia) posta in Piazza SS. Trinità all’ incrocio tra le vie Cesariano, Niccolini, Balestrieri, Alfieri e Giannone, era la Parrocchia della mia famiglia, infatti allora abitavamo in Via Canonica nel bel mezzo di quello che anticamente era il quartiere degli ortolani. Era una costruzione medievale a tre navate separate da colonne, con gli altari laterali; mi pare fossero tre per lato, a destra non mi ricordo chi fosse il titolare del primo, poi c’era l’altare della Madonna e quello di S. Purissima. Quelli di sinistra mi sfuggono. Oltre ad essere antica, infatti venne fondata nel 1258, la chiesa era anche storica, in quanto fu in quella chiesa che avvenne l’attentato a S.Carlo Borromeo (gli tirarono un’ archibugiata) e tra i suoi parroci ci fu anche Bonvesin della Riva.
Terminò la sua gloriosa carriera nel 1968 quando venne demolita per fare posto a inesistenti variazioni della viabilità, che tuttora non sono stati attuati, ma più che altro (secondo me) per l’ambizione del Prevosto che probabilmente voleva lasciare un segno imperituro del suo passaggio.
Appena entrati, sulla destra, si apriva una porta attraverso la quale si accedeva alla Cappella dei Morti. Allora il culto dei defunti, dal funerale alla commemorazione a qualsiasi altra cerimonia si svolgeva rigorosamente in nero. La cappella oltre ad essere nera era ravvivata da figure del Purgatorio che danzavano fra le fiamme e, per noi bambini, era abbastanza spaventevole.
Sul lato destro della piazza si trovava la casa parrocchiale, nel fabbricato prospiciente la chiesa, al piano terreno si trovava il Circolo Acli e ai piani superiori dei locali che per un certo periodo vennero utilizzati come aule per il catechismo. Va tenuto presente che all’ epoca di cui parlando (1950 circa) il quartiere attorno alla chiesa, essendo stato bombardato, era un cumulo di macerie e quindi ci si arrangiava alla meno peggio. Quando si frequentava “la Dottrina” ai piani superiori dell’ edificio già citato, le condizioni di stabilità e di sicurezza erano molto precarie, tanto che un giorno, in cui ero particolarmente attento alle spiegazioni, giocando con due fili elettrici scoperti, riuscii a provocare un corto-circuito e a ustionarmi un dito, fortunatamente senza altre conseguenze. Del complesso parrocchiale a cui si accedeva da un portone sulla Via Balestrieri, faceva parte un grande cortile, le abitazioni dei sacerdoti e dei sacristi, e un salone che poi quando l’Oratorio si trasferì in quel fabbricato, divenne il cinema-teatro. Una volta in particolare, per fare festa al parroco in occasione di un anniversario importante, organizzarono una scenetta in cui, sull’ aria di:” Milan l’è un gran Milan………..” magnificavano ciò che di bello c’era in parrocchia e le virtù del prevosto. Il cinema funzionava con un proiettore 16 mm. posto su un cavalletto in mezzo alla sala, tra il rumore prodotto dalla macchina, la qualità delle pellicole, naturalmente in bianco e nero, e il chiasso che facevano gli spettatori, era un’ avventura completa.
Siamo attorno agli anni tra il 1952 e il 1956, il cinema costava 25 lire, io ne prendevo più o meno 50 di “mancia” (allora si chiamava così e non paghetta come adesso), in modo che con qualche caramella, o d’estate un ghiaccioloe il cinema e fino alla domenica successiva ero a bolletta.
Quando ho cominciato a frequentare l’oratorio, questo era ospitato in quello che rimaneva dell’ Istituto Pavoniano degli Artigianelli, all’angolo fra via Giusti e Niccolini. Noi bambini, alla domenica eravamo affidati a Padre Ferloni, non me lo ricordo molto, ricordo solo che, visto che allora i sacerdoti indossavano sempre la tonaca, per avere le gambe libere, infilava i lembi della stessa nella fascia che portava in vita e alé a giocare al calcio. Nei giorni feriali quando dovevamo arrangiarci da soli, facevamo i giochi dell’ epoca: corse – cavallina – bilie – lippa – calcio poco perché i palloni di plastica non esistevano ancora e un pallone di cuoio era un lusso che solamente pochi potevano permettersi, e che non tutti erano disposti a condividere con altri. Il massimo della vita, quando c’era qualcuno più grandicello, era far saltare i barattoli con il carburo allora abbastanza diffuso perché lumi e fanali funzionanti ad acetilene ce n’ erano in giro ancora parecchi..
Fino a non mi ricordo quale riforma, dietro l’ altare si trovava appeso alla volta il velo che avvolgeva l’altare. Un particolare che mi viene in mente è che sulle colonne poste dove finivano le panche e iniziavano le sedie erano appesi dei cartelli ben visibili con scritto:” L’OBOLO PER L’USO DELLA SEDIA DEVE ESSERE VERSATO INSIEME ALLE OFFERTE.”
Con mia mamma, quando si passava davanti alla chiesa (qualsiasi chiesa) si entrava a fare una visitina. Tra visite, dottrina, forse predisposizione, ero molto assiduo nel frequentare la chiesa.
Appena potevo, correvo là e il sacrestano un certo Fedele, mi aveva preso a ben volere; un po’ perché non aveva figli e quindi era forse più portato verso quelli degli altri, poi perché andava in vacanza vicino a dove andavamo noi e quindi capitava di vederci anche durante l’ estate, poi perché per piccolo che fossi quando iniziai la mia “collaborazione” in chiesa, una mano gli era utile. Avrei voluto fare il chierichetto e mia mamma lo chiese a Don Pierangelo, allora assistente dell’ Oratorio, il quale rispose che era necessario fare un corso e poi si poteva accedere all’ altare. Non so se fosse solo tradizione o superstizione, ma allora salire sull’ altare non era una roba da poco. Io ci salivo tutti i giorni aiutando il sacrestano, perché si cambiavano i fiori (mi è rimasta impressa la puzza dell’ acqua contenuta nei vasi quando si vuotavano dopo qualche giorno), si sostituivano i paramenti dell’ altare a seconda del tempo liturgico, si sostituiva il tappeto quando era festa e secondo l’importanza della festa. C’era da preparare per il matrimonio e allora i mastelli con le piante di martelletto che normalmente abitavano nella cappella dei morti andavano portati lungo la navata centrale, quando, invece, c’era da preparare per un funerale, andava montato, verso il fondo della chiesa, il catafalco con tutti i drappi neri. Fedele era un tipo buono come il pane, ma con un modo di fare rustico che dava, a chi non lo conosceva, l’impressione di essere scorbutico. Essendo in servizio da tanto tempo aveva ormai una grande pratica e a me piaceva osservarlo quando “serviva” le cerimonie; le risposte uscivano in modo automatico, e anche i gesti erano un po’ da robot, in una mano, turibolo e navicella, nell’ altra l’ aspersorio.
Quando Don Pierangelo che abitava al piano terreno nel cortile della chiesa, che aveva come perpetua un ragazzo orfano che si chiamava Crippa che era un bell’ elemento, e ……..meraviglia delle meraviglie aveva nell’ ingresso la macchina per imbottigliare le gazzose che venivano chiuse con la pallina di vetro; venne trasferito a fare il parroco a Vermezzo, venne rimpiazzato da Don Elio accudito dalla sorella. La domanda di poter fare il chierichetto, avevo 7 anni, venne quindi rivolta a lui che semplicemente rispose: “Domattina alle sette, vieni in chiesa che cominci”. Nei giorni feriali, di solito si era sempre in due, ci si metteva d’accordo prima su chi faceva da primo e da secondo e via. Quello che faceva da primo aveva da lavorare di più, però era più importante. Naturalmente allora la Messa veniva celebrata in latino e quindi bisognava imparare tutte le risposte in quella lingua. Ogni sacerdote aveva le sue abitudini e c’era da stare attenti. All’ epoca nella Parrocchia della SS:Trinità c’erano 5 sacerdoti: il Parroco don Giuseppe Sironi, che quando nelle feste importanti indossava la cappa magna, sembrava poco meno del papa, aveva una voce baritonale che entrava in servizio quando il canto in chiesa era un po’ fiacco e aveva bisogno di una spinta. Era accudito dall’ Ambrogina, una signorina molto fine e carina, che a detta delle signore della parrocchia con le doti che si ritrovava avrebbe fatto molto meglio a trovare marito, e non avrebbe fatto fatica, che non restare zitella per fare la perpetua. Per giunta aveva anche una voce angelica. Poi c’era Don Domenico successivamente promosso parroco a S.Ildefonso in Piazza Damiano Chiesa. Don Mario che fumava, ti gratificava con qualche epiteto e qualche scappellotto, se sbagliavi. Don Pierangelo sostituito poi da don Elio. Poi faccio un po’ di confusione, perché c’è stato Don Enrico (credo al posto di don Domenico), Don Romeo e Don Gianmario che ha preso il posto di Don Elio all’ oratorio maschile (quello nuovo) quando Don Elio non ce l’ha fatta più.
Don Romeo e Don Elio suonavano l’organo e successivamente Don Romeo mise in piedi una cantoria con aspirazioni ad agenzia matrimoniale, anche perché i cantori erano tutti nell’ età in cui allora si pensava di mettere su famiglia.
Tornando al servizio di chierichetto, all’ inizio il capo era un certo Bianchi, mi pare che poi sia diventato sacerdote. Successivamente venne sostituito da Goglio come cerimoniere. Tutte le domeniche e le feste di precetto alle 11 c’era la Messa cantata con Celebrante, Diacono e Suddiacono, sette chierichetti, i più grandi da primo, poi quelli da secondo e alla fine quelli più giovani da terzo. Il segno distintivo che eri diventato grande era quando alla Messa cantata anziché la veste rossa, indossavi quella nera, sia per la misura, sia per l’importanza. Ogni tanto qualche goccino di vino ci scappava, e quando c’era Bianchi, prelevava un po’ di ostie, naturalmente non consacrate, e ce le distribuiva.
A Natale e Pasqua, il Prevosto ci dava la mancia, ho in mente una moneta da 500 lire.
Ogni tanto capitava che venisse un Vescovo e allora celebravano il pontificale, ed era abbastanza tragica perché il Vescovo portava con sé il suo cerimoniere che non conoscevamo e al quale non eravamo abituati. Altra occasione importante era la processione cittadina del Corpus Domini. Tutti i partecipanti delle parrocchie si radunavano nella chiesa di S.Lorenzo, ognuno col il fagotto dei paramenti da indossare sotto braccio, là quelli più grandi, come ero quando ho partecipato anch’io, indossavano il piviale (infatti venivamo chiamati Pivialini) e non mi ricordo se portavamo qualcosa in mano o meno. La processione si snodava dalle colonne di S. Lorenzo, lungo la Via Torino, fino a giungere in Duomo, dove si teneva la cerimonia presieduta dall’ Arcivescovo che alla fine impartiva la benedizione; finita quella, ognuno faceva su il suo fagotto e col tram si tornava a casa.
La frequentazione assidua alla preparazione della chiesa e al servizio liturgico svilupparono in me l’ idea di andare in seminario per diventare sacerdote, anche perché Bianchi c’era andato, Agostino, mio compagno di classe e di chierichetto pure. A casa giocavo a dire Messa, in particolare ricordo che mia mamma aveva un portauovo d’argento che usavo come calice, le formule e le preghiere le sapevo a memoria e quindi, via! A dire la verità alternavo il gioco della Messa a quello del dottore con l’Adriana, ma questa è un’altra storia.
La mia carriera di chierichetto ebbe una sospensione quando, per motivi famigliari venni mandato in collegio, prima a Chiavenna, poi ad Anzano al Parco dove si trovava il Seminario dell’ Opera Don Guanella. Se all’inizio ero entusiasta di esservi arrivato, a metà anno non me la sentivo più e andai a parlare col Prefetto il quale uomo gretto, bigotto e pirla, l’unico discorso che fece fu di telefonare a mio padre di venirmi a prendere, ma anche questa è un’ altra storia.
Tornato a casa ripresi le mie attività all’ Oratorio e in chiesa. L’ Oratorio dopo aver girato un po’ tra un fabbricato diroccato e l’altro, finalmente aveva una sede tutta sua e tutta nuova. Conservo ancora la fotografia accanto al Cardinal Montini quando venne a benedire la prima pietra.
Nel frattempo era andato in pensione il sacrista Fedele e a parte il Gianni che già da un po’ lo affiancava, venne assunto un certo Leone che venne ad abitare nei locali dell’ oratorio in modo che lui faceva il sacrista e la moglie faceva la custode. Si trattava di una signora abbastanza messa bene che non facendo assolutamente nulla di strano causava qualche turbamento a quelli più grandicelli in un’ epoca in cui maschi e femmine stavano rigorosamente separati. Man mano che si cresceva, quelli che continuavano a frequentare l’ oratorio erano sempre meno, meno ancora quelli che frequentavano l’ Azione Cattolica, per cui quelli più grandi che restavano assumevano piano piano funzioni di responsabilità. Non dimentichiamo che la maggior parte di noi a 14/15 anni andava a lavorare e magari anche a scuola serale. Io ho fatto per un certo periodo il barista, collaborando anche all’ allestimento del bar; l’operatore del cinema, anzi per un periodo breve, fui l’unico operatore in quanto essendo stato presente alla consegna e alla messa in opera del nuovo proiettore a carboncini collocato nell’ apposita cabina, ero l’unico a saperlo usare. Spodestato dalla n mi avevacabina di proiezione, divenni uno dei “guardiani” del salone del cinema con l’ingrato compito di tenere a freno i più piccoli; fu così che oltre al resto assistetti alla proiezione de “I Dieci Comandamenti” per ben cinque volte. Per fare un po’ di animazione divenni anche allenatore di calcio. Col calcio avevo sempre avuto un rapporto strano, mi piaceva calciare, giocare ai passaggi, elaborare i tiri da fermo, ma giocare in partita, non era il mio pane; comunque la tecnica la conoscevo, come adesso, quando gioca la nazionale, svariati milioni di spettatori, sarebbero in grado di fare meglio di quelli che sono là. Cosa abbiano appreso dai miei insegnamenti quei bambini, non lo so, so solo che abbiamo formato delle squadre e messo in piedi un torneo. La mia capacità di selezionatore, la si vide subito, infatti la squadra in cui giocavo io, dei sei elementi di cui era composta, quattro non si sono mai presentati, per cui tutte le partite a cui abbiamo partecipato, le abbiamo giocate in due con il prevedibile risultato di 12 a 2 – 21 a 2 ecc., naturalmente per gli avversari. Modestamente i gol della nostra squadra li ho segnati tutti io, infatti visto che era sempre palla al centro, chiedevo al mio compagno di alzarla un po’ e mettendoci tutto il mio impegno, la tiravo direttamente nella porta avversaria dove il portiere fiducioso della sua difesa, andava per margherite, facendosi, qualche volta sorprendere.
Durante il “governo” di Don Gianmario, non si è mai capito se era perché piaceva a lui o se era perché era l’ unico disco che aveva, spesso e volentieri dalla finestra della sua abitazione usciva un altoparlante a tromba e a ripetizione si sentiva “Una marcia in fa”, gradevole marcetta, ma dopo un po’ di volte, stufava anche lei.
Le regole erano piuttosto rigide, si poteva entrare più o meno senza orario, ma una volta dentro, fino (mi pare) alle 18,30 non si poteva uscire. Man mano che si diventava grandi, in particolare questa regola, dava piuttosto fastidio, d’altra parte considerati i tempi in cui regole ce n’ erano tante (dal nostro punto di vista forse troppe) era anche giusto che fosse così, almeno i genitori sapevano che eravamo più o meno al sicuro, o quanto meno sapevano dove eravamo. Per i genitori c’era anche un altro vantaggio: le abitazioni erano piuttosto anguste, anche perché le condizioni economiche erano quelle che erano, l’abitazione tipo era composta da una cucina (come si usa adesso, con angolo cottura) e da una camera in cui di dormiva tutti. I genitori, in particolare i papà lavoravano anche al sabato e quindi alla domenica pomeriggio, senza figli fra i piedi, potevano godere quel minimo di relax e intimità, altrimenti impossibile.
La frequentazione assidua dell’ Oratorio, almeno per me, è terminata attorno ai sedici anni, età che ha coinciso con il lavoro e la scuola serale, i miei amici altrettanto, per cui ci sentivamo grandi e dopo aver bigiato qualche volta, man mano le apparizioni si sono rarefatte fino a cessare del tutto.
Poi si facevano le cose da grandi: si frequentava il cineforum, si andava al cinema alla sera ecc.
Mi sono commosso leggendo questo racconto perché anch’io ho abitato in quella parrocchia in quegli anni e conoscevo bene il Fedele, Don Pierangelo e Don Elio Bestetti, che purtroppo è deceduto la primavera di quest’anno.
Io sono nato in Via Carlo Maria Maggi 14 l’aprile del 46 e ho vissuto li fino il 1960, perché purtroppo dovevano demolire la casa.
Grazie
Adriano
Carissimo Maurizio,
anch’io ho fatto il chierichetto nello stesso suo periodo e ricordo benissimo tutto quello che ha raccontato e le persone che ha citato..
Infatti conoscevo benissimo i due fratelli Goglio, se ricordo bene il più grande era Edoardo e il minore Giorgio che ha fatto le scuole elementari con me.
Io abitavo in via C.M.Maggi 14.
Se desidera contattarmi, la mia e-mail è:
adriano.mazzola46@gmail.com
La ringrazio moltissimo per tutto quanto mi ha fatto rivivere.
A presto
Adriano
ho scovato casualmente e recentemente questo sito e mi ha fatto piacere leggere vecchi ricordi del Borgo e della parrocchia dove sono cresciuto dal ’60, quando sono arrivato a Milano dalla bassa bergamasca.
Mi permetto di aggiungere anche i miei.
Ho conosciuto la vecchia e la nuova Trinità e vissuto le vicende e le polemiche legate alla demolizione della vecchia chiesa e della costruzione della nuova. Ci si arrivò per ambizione personale del parroco don Sironi? Un po’ tanto per una persona sia pure col carattere del “vapour”, soprannome con cui era conosciuto proprio per la sua irrefrenabile energia. Fu lui che mi sposò assieme a don Riccardo del Forno (della S. Vincenzo). Don Enrico era andato al santuario di Treviglio e don Elio, ad altra parrocchia. Idem don Sante Ambrosi (oratorio maschile) che era stato sostituito da don Ruggero Bellin morto prematuramente. Come sacrista in quegli anni imperava il Gianni. Del Fedele ho un pallido ricordo anche se la sua fama perdurò a lungo in parrocchia. Stesso pallido ricordo per don Gianmario di cui ricordo bene solo gli scappellotti quando al cinema buttava fuori intere file di ragazzini se uno di loro disturbava la proiezione.
Al cinema si andava con pochi spiccioli che bastavano anche per la gassosa e la stringa di liquirizia che fungeva da cannuccia.
Da qualche parte ho letto, divertito, i commenti sul cinema Rosa di via Canonica dove ci si andava spendendo poco e dove però bisognava stare attenti e, se in piedi, stare sempre appoggiato al muro. Queste cose non le capivo all’ora e comunque mi fu sempre severamente vietato frequentare l’ambiente.
All’oratorio si giocava a pallone, quelle partite dai risultati “esagerati” ma dove ci si divertiva, anche se il campo sconfinava ancora su delle macerie di una casa bombardata dove poi venne costruita la chiesa nuova.
Di macerie della guerra ce n’erano rimaste ancora anche all’angolo proprio di fronte al sagrato della nuova chiesa; hanno costruito di nuovo solo recentemente a tanti anni dalla guerra.
Era un quartiere dove da ragazzini si potevano ancora fidare a lasciarci andare in giro da soli anche verso sera e con i nebbioni di una volta.
China Town non era ancora un problema. Avevo amici cinesi che frequentavano la parrocchia e c’era anche un prete cinese.
Dagli anni 80 in poi la musica è cambiata …
A proposito del borgo di scigulatt, alla Raccolta Bertarelli del Castello, scovai una stampa che raffigurava un’edicola con l’immagine della Madonna, un altarino e lampade votive e recava inequivocabilmente una scritta che la attribuiva al borgo. Non ho mai visto quell’immagine per quelle strade o in quei cortili, ma con le distruzioni dei bombardamento .., Qualcuno la ricorda?
Se la ritrovo ve la mando. Sicuramente non era l’immagine che si trovava in via Canonica che poi fu sostituita da un nuovo affresco del Maggi, la cui famiglia aveva la famosa pasticceria proprio di fronte a quell’edicola.
Ho conosciuto ma non frequentato il bar Stella (ora scomparso) all’angolo di P. Sarpi con l’Aleardi e idem per il bar Isola (che ancora c’è) quando ancora era un’osteria e non un posto da aperitivi com’è adesso.
Abitavo in v. Messina e casa mia confinava col “rutamatt”. C’era una salumeria che era il “ristorante” di muratori, tranvieri e pompieri, dove facevi la tessera a punti e poi, a Natale mattina, ti davano ogni ben di Dio.
C’era un ortolana taccagna che fu la mia prima datrice di lavoro; dovevo procurarle vecchi giornali per farne cartocci per frutta e verdura ed in cambio mi dava qualche frutto mal messo o qualche monetina.
Un baretto “da Bianca” dove feci colazione il primo giorno del mio arrivo a milano e poi basta; una tenda separava il bar dal retro.
Il mio mondo finiva col tabacchino all’angolo della Procaccini.
A scuola sono andato alla Giusti nuova, di fronte agli Artigianelli, ai tempi in cui le classi aumentavano di allievi in corso d’anno per via dell’immigrazione.
Ero in seconda ed il primo giorno mi accompagnò mio papà che mi diceva; stai attento che domani vieni da solo; per me che venivo dalla campagna ed il mio paese poteva starci dentro a piazza Monumentale, era un’impresa.
La mia maestra era una certa Iride Piacentini e nelle foto venivo più alto di lei.
In classe il più bravo era il figlio di un tramviere. Io avevo un astuccio miserino con pochi pastelli e mi sfottevano perché, non avendo il celeste, usavo sempre il blu anche se stavo leggero …
Vicino a scuola c’era una latteria dove si poteva acquistare la merenda o la cerbottana di plastica per i bussolotti di carta.
Era l’epoca in cui le cartelle e gli astucci erano in cuoio e ancora ricordo quel profumo che avevano.
Alla Giusti si passò alla biro mentre al paese si andava ancora con penna di bachelite, pennini ed inchiostro.
Alle medie andavo alla Panzini sui bastioni (doppi turni); era l’inizio delle medie obbligatorie e bisognava andarci con la giacca non solo il giorno della foto di gruppo.
Mi fermo perché la piena dei ricordi mi confonde nello scrivere.
Complimenti per il sito
Chissà perché ogni volta che leggo qualche cosa inerente al quartiere e a quell’epoca, mi viene il magone; che sia diventato vecchio? Io sono del ’45 quindi nel ’60 ero già grandicello e non posso riferire in merito alle osterie o bar, in quanto nella mia famiglia non si usava frequentarle. La scuola Giusti l’hanno costruita dopo che avevo finito le elementari. L’unica latteria che conoscevo era in Via Cesariano e me la ricordo bene in quanto un pomeriggio tornando a casa in Via Canonica, 25 con la bottiglia del latte nella borsa di fustagno cucita da mia mamma, sono caduto e un coccio di vetro lungo circa 3 centimetri mi si è piantato in una coscia. Sangue a fontanella che in un attimo ha sporcato tutto in giro facendo impressionare la Rosina che era la portinaia che si è messa a urlare a squarciagola per chiamare mia mamma che era al terzo piano.
Naturalmente la cicatrice me la porto a spasso ancora.
Chissà se qualcun altro aggiungerà altre notizie e ricordi, per noi “maturi” sono importanti.
Per Maurizio
Sono Adriano
Come ho già scritto anche io ho fatto il chierichetto nel tuo periodo, e ho ritrovato delle fotografie fatte in una gita con I chierichetti e nelle foto si vede Don Elio, il Fedele, Bianchi e molti altri.
Se vuoi posso mandartele via e-mail.
A presto
MI FAREBBE PIACERE. GRAZIE. – darmax@libero.it
sono ancora io; si vede che non ho gran che da fare ( una caduta mi ha immobilizzato per cui sono sospese tutte le attività esterne ).
Lei scrive che l’oratorio maschile ha avuto sede tra un fabbricato diroccato e l’altro.
Giusto, ho appurato che dopo la distruzione (bombardamento ) della vecchia casa Pio X e la demolizione per danni bellici della vecchia casa degli Artigianelli l’oratorio ebbe come sede … nel cortile della canonica su via Balestrieri.
Già don Brunella accarezzò il progetto di una Casa della Gioventù, ma fu don Sironi a realizzarlo ( posa prima pietra 5 nov 1955 con Mons. G.B. Montini e inaugurazione il 5 ott 1958 ).
Se conserva ancora la fotografia accanto al Cardinal Montini quando venne a benedire la prima pietra, ora può aggiungervi una data a futura memoria.
Per la nuova chiesa della Trinità invece si doveva ancora aspettare: prima pietra il 24 magg. 1964 col Card. Colombo e prima messa il 24 dic. 1967.
Alla cerimonia della posa della prima pietra c’ero perchè mi sono riconosciuto in una foto pubblicata su “il Segno” l’informatore parrocchiale di allora.
Alla messa di Natale del ’67 eravamo quasi al buio perché l’impianto elettrico non era del tutto finito.
Sì, ma prima di trasferire l’oratorio maschile nel cortile della canonica in Via Balestrieri, per qualche anno è stato nello spiazzo formatosi dal bombardamento dell’Istituto degli Artigianelli in Via Niccolini angolo Giusti.
Era uno spazio ampio dove si poteva giocare agevolmente a pallone e alla domenica dirigeva il gioco Padre Ferloni che infilava la soca nella fascia in vita e alé. Il catechismo si teneva in quello che era rimasto della palazzina che dava sulla Via Giusti. Poi quando hanno iniziato la ricostruzione dell’ Istituto, l’oratorio si è trasferito in Via Balestrieri.
grazie per avermi rinfrescata la memoria. non ero un gran frequentatore dell’oratorio tanto che quando mi sono iscritto alla Cattolica e si doveva presentare il “benestare” del parroco mi ricordo che don Sironi non si ricordava di avermi mai visto. fortunatamente a scuola avevo un insegnante di religione ( mi pare don Mario) che ho chiamato a testimone anche se don Sironi mi ha creduto sulla parola. mi è un poco oscura la archibugiata a san Carlo a me risulta che gli venne tirata nella cappella di famiglia una sera mentre stavano cantando inni religiosi da un frate Umiliato che venne poi giustiziato.
Devo fare ammenda, avevo letto il libro “Dal Borgo degli Ortolani a Porta Volta” appena uscito e nella mia memoria avevo associato Trinità-Umiliati-attentato. Giustissima l’osservazione.
Ho ricevuto un commento, da parte della signora Xitong Chenpong, che non ho approvato per la pubblicazione per vari motivi che ora vado a spiegare.
1) Nel mio blog non si parla di razzismo verso chiunque, pertanto ritengo infondati i contenuti del messagio (che non riporto volutamente).
2) Via Paolo Sarpi e vie limitrofe non si chiamano China Town, ma hanno il loro nome ufficiale e unico.
3) Non si fa pubblicità ai propri negozi di abbigliamento, nè si offrono sconti…
Invito la signora Xitong a riformulare il suo commento facendosi aiutare da chi potrebbe supportarla durante la stesura, affinché le frasi non siano male interpretate.
Grazie per la comprensione.
A parte come giustamente asserito qui sopra, non è questo il luogo per farsi pubblicità, non mi sembra che in nessuno degli interventi venga fatto accenno a razzismo di nessun genere.
Se non ricordo male tutti gli interventi sono stati fatti da persone “mature” che parlano, con un pizzico di nostalgia, di tanti anni fa quando il problema cui fa cenno la signora cinese non esisteva. Credo che nei suoi confronti, allora, nessuno abbia dato segni di insofferenza. Oltretutto se è nata a Milano dovrebbe anche aver frequentato le scuole in cui, più di adesso, si insegnava l’italiano.
Grazie della tua precisazione. In effetti è proprio come dici tu, Maurizio, c’è solo voglia di “rivivere” la città che – in parte – è sparita. Punto.
Sebbene un blog sia un luogo “aperto” si devono comunque rispettare alcune regole etiche: credo che sia il primo commento che non viene autorizzato, ma ribadisco che se formulato correttamente anche la signora Xitong (che dice di essere nata a Milano) troverà il suo spazio. Senza pubblicità, però 🙂
il commento era comunque arrivato via mail a chi è iscritto ai commenti, quindi l’ho letto.
La mia impressione per`
Il commento l’ho letto, perché era comunque stato spedito agli iscritti ai commenti su questo post.
La mia impressione è che fosse un falso, però 🙂
Potrebbe anche esserlo, se come dice abitava nella casa bombardata e si è salvata grazie alle confezioni di biancheria, aveva negozio quando era in fasce. Comunque è roba di settantanni fa, e un po’ di Italiano avrebbe potuto impararlo.
Rob de matt.
Ottavio mi deve scusare. Diventi vegg e rimbambissi semper de pù. La mia miee me la dis minga, ma second mi la pensa. Rileggendo le conversazioni sul sito mi sono accorto di aver scritto una stupidaggine riguardo alle case di Corso Sempione. Poi spiego come è nato l’errore nella mia mente debole e contorta.
Al numero civico 27 c’è la RAI, un tempo EIAR, opera di Gio Ponti.
Al 25 c’è la sede della Guardia di Finanza, ex sede del gruppo rionale fascista E. Crespi (nome dell’attuale Piazza Gramsci, fino al 25 aprile 1945)
Tale edificio è stato progettato dagli architetti Giovanni Angelini, Giuseppe Calderara, e in particolare, Tito Varisco Bassanesi.
Mi pare che per un certo periodo siano stati entrambi sede della RAI. Mi pare…
Come mai ho pensato al Terragni? Perché son s’cioppaa… Anche la casa del fascio di Como, in piazza del Popolo, ex piazza dell’Impero, opera celebre del Terragni è stata assegnata alla Guardia di Finanza. Il mio encefalo acquoso ha mischiato tutto, pensando alla casa Terragni di Via Procaccini ed ha partorito l’imbecillità. Mi dispiace perché andando avanti di questo passo diventerò uno di quelli che immaginano di sapere tutto su un determinato argomento e invece sono in pieno marasma. L’unica scusa decente (che mi fa rabbia ugualmente) è che il cervello, quand passen i ann, el migliora minga e quand vun l’è minga tròpp scròcch de gioin, figuremess de vegg…… Faccio pubblica ammenda.
El staga minga lì a ciapasela, sel savess i rob che fu mi el se sentaria come el Leonardo.
Vun che el riconoss de sbaglià, l’è in gamba.
Saludi
Gent. Sig. Tullo, a part che anca mi quand parli de Milan me inventi i robb (la fontana in front alla Centrale – el filobus 96-97 su la circonvallanzion interna) l’è vera che a sont staa des an a Marina di Carrara ma la veggia Milan l’è semper quella…ma anca mi gh’avevi giamò sentii da un altra part che la RAI l’era del Terragni. Ma incoeu a gh’è Internet-Wikipedia e gran part de quel che gh’è scritt (minga semper) a l’è vera.
E’ vero, più vado avanti più mi rendo conto che la città me la sono in parte inventata…chi lo sa….un colpo d’occhio dato male, un discorso o una spiegazione raffazzonata o un rapido passaggio semidistratto da bambini, la scarsa frequentazione di alcune parti della città…e uno si costruisce la città ideale…e magari davanti alla reale realtà, documentata, si resta prima perplessi e poi delusi: “Ma come…ma se ghe passavi cont la me mama…..”
Diventa quasi una questione estetica…quel palazzo … quella via…pur incolpevolmente, diventano brutti e invedibili…poi rassegnati chiudiamo l’argomento: “Eppure….”
Nota: A conferma…quando racconto di mio papà che era stato convocato alla sede rionale del PNF…io l’ho sempre visto (nella mente) entrare al 27 (dove una volta avevo visto uscire Mike Buongiorno) ora lei mi dice che era al 25… ok abbiamo dato realtà storica all’evento….ma io ho ben in mente il palazzo RAI al 27 con una specie di porticato e invece non mi figuro per niente l’aspetto del 25, pensare che andando al Corpus Domini passando per via Canova, ci sarò passato davanti millanta volte (!)
(!) Errore: Ora che mi ha fatto strizzare la mente…vedo un palazzo grigio che allora, passandoci davanti, mi dava una sensazione di austero…con transenne con cui giochicchiavo al passaggio….
Va ben basta pensà adess…a l’è semper on piasè legg i so articol…a leggess a prest……
Da qualche tempo, leggo i commenti sul Borgo degli Ortolani…simpatici e tutto vero, quello che ho trovato scritto. Sono nato in via C.M. Maggi al 7 e fino all’ottobre ’55 lo abitavo. Ho frequentato da bambino la parrocchia, ricordo il cinema . l’entrata all’oratorio, le macerie, e la costruzione delle fogne in via Cesariano, la trattoria del Risveglio, gli artigianelli. la tartina col salame, il giro con gli “schettini”,(C.M.Maggi.Canonica;Viale Elvezia.Piazzetta.e ritorno) e la curva sotto al monte Corvo alla Triennale. Il 23/04/1955 mi comunicavo e cresimavo nella vecchia SS. Trinità. Alcune cose però non ho trovato fra i ricordi: ad esempio “il torchio di via Bramante”dove le famiglie,con qualche spicciolo, potevano. preasciugare i panni. Le corse intorno all’Arena in bicicletta dei ragazzotti. il 36 che sferragliava sulla curva di via Canonica;il tabaccaio di via Canonica al 2. dove i giocatori dell’Inter dopo gli allenamenti. si fermavano a giocare a boccette…e la “quadrata”, il negozio di articoli sportivi Sala in via C. Cesariano; sull’angolo della piazzetta L. Lombarda il negozio Gilera …in via Canonica chi non può ricordare l’Amilcare (el rutamat ?). Ho ricostruito via C.M. Maggi 7. in un disegno aquerellato con i nomi di tutte le famiglie che vi abitavano, certo è fatto a memoria per cui non è perfetto…ma é pubblicabile? (Goglio, citato da Maurizio, abitava in via Bramante, 3 o 5 ed era mio compagno di classe alla Moscati con la maestra Besana)
Il modo più veloce per pubblicare contributi sul blog – sempre che siano pertinenti con il tema del post e più in generale con la “Vecchia Milano” – è quello di crearsi un account su un qualsiasi sito di photo sharing (photobucket, tinypic, flickr solo per citarne alcuni) e indicare il link della fotografia nei commenti.
Gli account di questi servizi di photo-sharing sono di norma gratuiti e decisamente capienti. Verificatene le caratteristiche prima di creare l’account.
Un’avvertenza: verificate di non violare esplicitamente diritti d’autore in essere e/o la legittima privacy delle persone (specie se sono soggetti delle foto…). Ciao e grazie.
A Roman Luigi
Io sono nato in via C.M Maggi 14.
Anch’io ho fatto la cresima e la comunione il 23/04/1955 e ho frequentato loratorio fino il 1960, poi mi sono trasferito.
Grazie dei vostri racconti.
ADRIANO
Da buon curioso, ho cercato il libro del Sig Tullo Montanari, l’ho trovato nella biblioteca di zona e divorato in mezza giornata. Leggevo ed i ricordi spaziavano. Venerdi’ scorso son sceso a Moscova con la linea due ed ho rifatto a piedi il percorso: Bramante , Giannone, Balestrieri, C.M. Maggi, Canonica, Cagnola. D. Cirillo, Peschiera, Londonio. Moscati, C. Sempione e ritorno da via Bertani. Ogni angolo era un ricordo. Grazie Sig. Montanari e complimenti per la descrizione dell’Arco della Pace che mi riprometto(libro alla mano) di tornare a vedere. Sarei voluto risalire dopo tanti anni sulla torre (che mio papà chiamava ancora Littoria), ma purtroppo era chiuso, sarà per un’altra volta. Gironzolando ho scoperto un’altra chicca che non sapevo: C.M. Maggi e Balestrieri sono sepolti in S. Nazaro. nella cripta della Cappella Trivulzio. Di nuovo grazie…e alla prossima. Dimenticavo, la volta scorsa ho scritto “monte Corvo”…giustamente è “Monte Tordo”
sono stato via qualche tempo e come al solito ho letto con felicità quanto è stato scritto. scior Luis la mia nòna la faseva la portinara in Carlo Maria Maggi dove l’è nassuu el me papà. el numer m’el ricòrdi minga, (l’era on niumer pari) ma era la porta dove adesso c’è un supermarket e un graffito con un carro e cavalli. al 7 c’era il fumista?mi pare di ricordare che si chiamasse Diego. Era un amico di mio papà. mi ricordo che le “corse” in bicicletta appena passata la guerra, le improvvisavano attorno alla Triennale e l’arrivo era all’altezza del Monte Tordo che si trasformava in tribuna gratuita e non all’Arena. la quadrata c’è ancora: è il parco giochi che si trova al Parco Sempione lato acqua potabile. guardi che per la descrizione dell’arco della Pace ho grattato vergognosamente a quelli che se ne intendono davvero. se le capita dia anche un’occhiata al “borgo delle Grazie….” (non è pubblicità non essendo in vendita) e troverà anche lei qualche bel ricordo di sicuro in fondo anca quei de là del Sempion eren fioeu come num, domà che de regola eren pussee sciori ahahaha
Gentile sig Tullo, purtroppo varie vicissitudini…e ferie, mi hanno allontanato da Milano e solo ora ho letto la sua risposta; confermo il fumista di via C. M. Maggi 7 si chiama/va Diego. Ricordo ancora la “calandra” con cui piegava le lamiere. Di fronte all’osteria “il Risveglio” (ai numeri pari, credo fosse il 10) ricordo una latteria, una rivendita di vini e subito dopo un bar, forse un circolo (ma forse era già il civico 6 o 8). Per entrarvi bisognava salire qualche gradino. Al n° 7 la portinaia era la “Sciura Bice”. Vi era poi la tintoria e una galvanica, trasferitasi successivamente in via Bramante (ancora conservo un crocefisso regalatomi per la prima comunione). Al civico 5 un cesellatore, sempre chino a martellare sulla sua piastra di piombo,sotto una fioca lampadina(Gibelli) e un ciclista; al n° 3 Stabilini riparava le radio a valvole. Sono venuto via che avevo 10 anni, ma come vede “le radici” rimangono dove si è nati e… fa piacere ricordare.
un saluto a tutti. In futuro proverò a scrivere in dialetto; visto che con i milanesi lo parlo, mi cimenterò…chissà mai !
Buondì scior Tullo….el me fà semper sentì insci important…mi che stavi de là del Cors Sempion…mej…el me pà…ma a l’era tutta on impression…sì c’è stato un periodo in cui il ceto impiegatizio era considerato….un buon traguardo civile: “Ti te gh’et de studia de ragionatt!!!” … Per un po’ ci ho creduto …. ma rispetto a mio padre, i miei già sono stati altri tempi…ma non stiamo facendo uno studio sociologico…è un fatto che…come ho letto da qualche parte…allontanando il popolino dal centro…la zona intorno alla fiera era proprio destinata al ceto medio…con affitti acconci…e come tampone-filtro al ceto operaio destinato ad abitare zone più periferiche….Spero di aver capito bene quella lettura….E’ un fatto che, comunque, mio padre andava a lavorare in bicicletta…rimasi esterefatto quel giorno che entrai nel “deposito velicipedi” della sua ditta…altro che i cinesi…una fila compatta di biciclette appese….poi, però, se si andava in visita….via “pedibus calcantibus”…. tranquillamente fino a Piazzale Lotto…talvolta dallo zio a Baggio….spesso in Piazza Baracca e abitualmente, come già dissi, per “shopping” in Via Paolo Sarpi e zone limitrofe….se me lo meritavo si andava al Parco…con gli schettini….e un paio di volte riuscii anche ad andare sulle macchinine a pedali…doveva proprio essere in buona mia mamma….
Aprofittando della presenza contemporanea di due nipotine le ho portate al Parco: “Che belle le rocce dai….” e via col free-climbing (per noi: rampeghass) e io: “Quella è la Triennale!” e loro: “Ah…..” e via di corsa verso il laghetto.. e io:”Venite all’acqua marcia!!” – reazioni, una: “Bleahhh!!”, l’altra: “Buona!” e allora la prima: “Ma vahhh!!”….Approfittando che le giostrine sono contigue all’arco, ho approfittato di una sosta per portarle proprio sotto sotto…Nonostante cercassi di tradurre le spiegazioni, da Lei così ben illustrate sul libro, ad “usum delphini”…la reazione generale fu: “Ahh……” …anzi una nemmeno guardava su….e non sono stato per niente pedante…..Ma al ritorno verso il centro il Castello piacque molto…la potenza della Barbie-principessa….
A riscrivess…..
Ogni volta che arriva un nuovo scritto, mi viene un po’ di magone. Il parco giochi dalla parte dell’acqua potabile l’hanno costruito quando io avevo 8 o 9 anni e l’ho frequentato parecchio. A furia di dai avevamo costituito un gruppetto di amici fra i quali una bambina in particolare aveva attirato la mia attenzione.
Il parco giochi era riservato ai bambini inferiori ai 10 anni, col passare del tempo
io avevo superato questa età mentre la mia “morosa” essendo più giovane,
aveva libero accesso. Ricordo perfettamente le litigate con il custode che non mi lasciava entrare, chiedevo, imploravo promettevo di portare la pagella, unico documento che possedevo, a riprova della mia età, ma non riuscivo a muovere a pietà il Cerbero. (Naturalmente per la storia della pagella mentivo sapendo di mentire.)
A proposito di parchi, adesso c’è libero accesso a tutti i prati, non so se allora era capitato ad altri che arrivasse il Vigile del verde, in divisa verde e minacciando multe e torture sequestrava il pallone che allora rappresentava un capitale per il fortunato possessore.
Ve saludi
A costo di essere off off topic …. ieri distrattamente camminando sono entrato nel Book Remainder di Corso XXII Marzo e ho trovato un libro meneghino, ristampa di un libro del 1889 di Carlo Romussi direttore de “Il Secolo” e vittima fra i tanti della repressione “del Bava”
Carlo Romussi
MILANO CHE SFUGGE
Libreria Meravigli Editrice
Milano 2003
Ho scoperto che, a parte l’italiano attempato, non è cambiato niente. Lo stesso modo di pensare e di ricordare che ritrovo su me stesso oggi: I ricordi tramandati ma già scomparsi, quelli tramandati di cui si ha una minima testimonianza, quelli di cui si ha una personale testimonianza il tutto descritto con spirito un po’ d’ andeghee, un po’ di rimpianto ma con realismo e speranza nel futuro, comunque…..
Molto interessante per i patiti della milanesità……
saluti
amis andeghee leggev l’è semper on piasè. dove ottavio, lassi perd el scior, l’ha portaa i novoditt l’era la “quadrada” l’alternativa all’oratorio della santissima Trinità per giocare al pallone. i tempi erano lunghi : andemm ai des? ovvero vinceva la squadra che realizzava per prima 10 goal. ricordate l’inutilità del corner? tri còrner on rigore ( rigore se dieeva, chissà perché, in italian) una magnifica discesa per i carelòtt , con ruote di preziosissimi cuscinetti a sfere, partiva dal monumento a Napoleone IIi, discesa corta ma di soddisfazione e senza pericoli, come raccomandavano le mamme. i più noti commentaori politici erano all’acqua marscia e tra loro c’era un tizio che aveva sempre un tirasassi con relati vi piombini per prendere i passeri che evidentemente poi mangiava con la polenta. ciao ciao
@Tullo Montanari
El carelott l’hem provaa anca nunc al Corvett, ma a gh’era no di bei disces, a part i monton de tera al Porto di Mare, ma in gir a gh’era un bel asfalto luster e coi schettini a l’era propi un bel andà…ah le Via Mincio e Pomposa! Gh’era anca el coraman de marmo de la scala d’entrada a la cà abandonada de la G.I.L., in Via Cinqcent, largh e bel luster…quanti genoeucc a gh’oo lassà.
Nunc gh’avevum di bei strad senza traffic….e d’estaa per i 10.00 a gh’era pu nanca ‘na macchina ferma e pocc ne passava. Alora se podeva giugà a la lippa dedree cà, e via cont el gess a segnà per terra…e poeu… “Lippa!!” – “Lappa!!” – “Tenzion a la crappa!!!”….Toc…col baston e la lippa, preso il volo, cadeva lontano o quasi: “Quanto mi dai???” – “Cinquanta!!” – “No!!! Misuro!!!” Se erano 48 il basista gridava: “T’hee vist!!! Cinquanta a me!!” Ma se era di più: “Gna..gna..gna..gna..100 a me!!!” urlava felice il lanciatore….e così per tutta la mattina…poi la moda finì. Poeu a gh’era i tollitt, pien de stucch, cont el nom del corridor…chi gh’aveva la Faema (VanLoy), chi la Ignis (Poblet – Maspes[tollerato]), chi la Carpano (De Filippis)…e via cont el gess sul marciapè; quela che l’era maj contenta a l’era la portinara: “E adess chi netta!! Via tucc a cà!!”- e sotta cont la pompa…..
Per el calcio, dedree a la GIL a gh’era un campett abandonaa cont un bel spazi quadraa, on bel 15 m. x 4 m., ma a l’era assee per giugà 4 contra 4, ma ai 6 gol (no ai 10). Gh’era no el fuorigioco (Ofsai) e l’era permissa la carica al portiere (me fan i ingles!!) – Ma dopo che l’Adolfino al se rott el brasc, hemm fa pussee attenzion. A gh’era no spazi per el “corner” e se vun al faseva “Hens!!!” (Hands: fallo di mano) a l’era: “Rigore!! Rigore..t’hoo vist!!!” – “Ma nooo!!!”- “Sì!!” – “Ecco, allora vado via e mi porto via il “mio” pallone!!!”. A quel punto si mediava …… Poi scoprimmo l’Oratorio di San Michele e Santa Rita, campo sassoso e polveroso, ma più ordine in campo… Il Don Celeste se sentiva baccano, come minimo sbirciava…e se uno poi litigava…poteva sempre ripiegare sul ping-pong o sul calcio-balilla….
spetti i vòster stòri, fòrza fioeu cuntèmi sù inscì son content… mi sont in brianza a olgiaa molgora e gh’è minga tròpp cald ma la mia miee la me dis che a milan se bui. l’è vera? ciao a tucc tullo
SIg. Tullo Montanari, per puro caso sono incappato nel sito Veccia Milano nella parte che tratta del Borgo degli Ortolani; qui mi sono dilungato a leggere ciò che i “vecchi” narrano della Milano dei loro tempi. Sono anch’io un vecchio milanese (quasi 86enne) ed abito anch’io a Olgiate Molgora da più di vent’anni. Il leggere che un milanese abita qui e ai tempi abitava a Milano in una zona presso la mia… mi ha rimescolato il sangue. Io abitavo – in del Guast -, le dice niente questa definizione della mia via? Le sarei sinceramente grato se mi volesse telefonare (0399910375), mi piacerebbe rispolverare i miei ricordi legati a via Canonica.
ditemi come passerete questa strana estate
savii perché incoeu l’è la festa di òmen?
Cara el me scior Tullo
A ghe centra nient con Milano ma l’è per scriv in milanes…on bell esercizi…..
A gh’è poc de cunta su di ferii…..andaremm cont la tosa e la nevoda a Riva Trigoso…avant e indree per i ses’cent meter de paes a fa i bagn de soo e d’aqua cont on oeucc a la piscinina, a fagh i caa cont i prei, i castell de sabbia, i rebus cont la mia miee…el sorbetto a la sera….ma nient de lamentass…. al dì d’incoeu….
Nunc se’ndava a Sestri de dree de la ferrovia dai Bru… ‘Na storia ‘sti chi…bella de cuntà: I nonni, contadin, hinn andaa in America per la Corsa all’Oro…in dove lor a faseva i coeugh…Un dì, in California, ghe ‘riva ‘na lettera che el pà de lee l’è dree a morì… alora a lassen tutt lì…(anca di fioeu che poeu andarann in Argentina e in Texas) e vegnen in Italia de pressa per tornà pu indree…lassen là i fioeu cont i parent e compren di pertigh de terren vesin a la collina….e fann alter fieou…..
Cont i primm esperiment de lettricità… la nass la Ferrovia… che poeu la ghe sequestra tri quart del terren… cont quei pocc danee alora scominsien l’attività de albergador….in dove i mee poeu hinn andaa in del ’35 fina al ’52 (a part i ann de la guerra)…
In del ’47 i mee de Sestri tornen a Milan…cont la corriera fin a Genova…a gh’era giò i pont….alora vann su e spetten… spetten… spetten… quaivun a la fin a ghe dis che quela la dopreven per “sala d’aspetto”e l’altra l’era giamò partida…
Quand a seri piscinin me regordi che a sont andaa a Riva a vedè el varo de una nav…frecass…odor de grass depertut…la gent….poeu nel ’63 a me regordi d’avè vist ‘na nav da guerra….poeu a semm andaa pu….a tornà lì adess par de vess ancamò a Sestri in del ’50…
Ma a mi adess me pias la montagna…..l’ann che venn andaremm in Alto Adige….la mia miee a l’è d’acord…
Se semm cognosuu lì…..
@ Tullo – i ferii de la mia cà-
Sì perché mi a sont staa abbastanza fortunaa d’estaa, de piscinin al mar cont i mee, e a quel temp i marì che a podeva lassaven i miee per un almen mes “in riviera”, cont i fioeu (e mi seri de l’altra part del Cors Sempion:-))), e lor a faseva avanti e indree al sabet e la domenega… El me zio diseva n’altra storia ma l’è mej dì nient……
Poeu, per almen ses ann, a sont andaa in colonia, quela de una volta, cont le vigilatrici sever e tristi: “Cantiamo!!!…Monte Nero…Ponte Perati… Valsugana” … al mar. A parevom di soldaritt…sveglia, alzabandiera, momento ginnico… colazion e poeu in spiaggia a fà el bagn se l’acqua l’era almen 28° se no: “Giughi, giughi.. e poeu a mangià” e a la fin el “saggio” cont i maggiorenti de la società, nojaa ma sorridenti…che a guardava sempre l’orelogg per andà via. El dì dopo se partiva anca numm…finalment a cà…
A gh’era cald in città, se guardava se gh’era ancamò tutt i belee, se cercava i amis che però eren quasi tucc via, e se te vedeva giò la portinara: “No xe ancora ora a casa via!!!”…”Umpfhh…” L’oratori a l’era saraa…uffhh….De per mi cont i schettin a l’era minga bell…ma almen ‘na volta se riessiva a andà in piscina, quela de la ditta del me pà…in dove un dì a me mancà on basell e quasi sont finii negà…me regordi ancamò adess l’acqua verda sora de mi… e el me fradel che l’è vegnuu a tiramm su….A seri nanca tropp stremii…ma l’acqua verdina…..
Cuntavi quel ch’avevi faa in colonia a la mia mama…e alora lee: “Già che te ghe set fa el tema per la schoeula!!” – “Umphhh!!” – A ghe cuntavi pu nient….
Se gh’era l’amis del me pà a la domenega se andava a Comabbio in sul lagh,se partiva con la 1100 de l’amis…se rivava e gh’era la soa veggia zia che la vegniva incontra…tipico: “. Lu…te sentii chi gh’è moort?” – Poeu se andava a pescà in sul lagh e a la sera se faseva na frittura…me la regordi ancamò adess … secca… salada (ghe piaseva insci)…numm fieou se giugava in di praa…e in difoss…a la sera i genoeucc era pien de boll per via de ortigh…a l’era pien
Numm fieou se giugava cont el can…avanti e indree de corsa…Mi hoo pesca domà na volta…el pess al m’è scappaa…..ma mi a sont fini in’t l’acqua… per l’emozion….
‘Na sera de quei se tornava in su l’Autostrada…A serom quasi a Rho (dove gh’era la spussa de la Condor), lontan davanti a gh’era di lus de na macchina… all’improvvis i lus se birlen, traversen la corsia…rivava nissun..quaivun l’ha guardaa giò…. poeu se fermen inversaa in sul praa..rivom davanti…A l’è ‘na Giardinetta (de legn) se derva el sportell e ven foeura on omm cont on taj in testa ma almen el stà in pee… tucc a domandagh se gh’è success…alora luu el guarda denter…anca i alter…in fond a gh’è on can tutt stremii ch’el se guarda e el sguagniss: ” Sont andaa a caccia col can…seri a dree a tornà e me seri desmentegaa del can ch’el dormiva de dree…el s’è dessedaa e l’è salta davanti a famm la festa!!”…Tutt l’è ben se el finiss ben….
N’emm faa di bej robb…de cunta in on liber….
son content de legg on quaicòss de l’ottavio. anca a mi me pias la montagna, ma vist che a mia miee ghe pias el mar, hinn domà cinquanta ann che voo al mar. quest ann son staa a levanto, sit pien de lombard e in particolar de milanes. depertutt se sent la nòstra cadenza in del parlà e spess anca i vari dialett oltre naturalment al dialett del pòst. mi che son fissaa con i dialett son attent a ‘sti ròbb. se semm portaa adree anca la gatta e disaria che l’è stada contenta (… ghe mancaria alter…) perché la gh’aveva on giardinett a disposizion.tra on poo de dì andaroo in val de fassa a trovà ona mia amisa e el sò can ona bella golden retriver che l’è on ciccin anca mia che sont andaa a cattalla foeura in de l’allevament dove l’è nassuda.adess sont in brianza, a olgiaa, inscì pòdi andà a spass in la vall del curon e montaveggia che i milanes conossen pòcch e quindi gh’è minga tròppa gent meno de quand vegnen per castegn. ho finii de tradù in milanes “de senectute” de ciceron e se on quaighedun el voeur leggel pòdi spedighel con la mail. ciao a tucc
Buondì Tullo, el gh’haa reson…quej paes de la Liguria hinn pien de milanes…a me regordi on vint ann faa…cont la mia miee…a gh’era on pittor…a gh’emm compraaa due “marine” e in quell che se pagava emm parlaa on poo con luu, e… sorpresa… al se dis…”Ah sì…mi sont de Milan ma des ann faa a sont vegnuu al mar a me piasuu e sont restaa!!”…. Mi sarissi legàà a Sestri Levante, ma me regordi che quand a seri piscininn l’era proppi ‘na noia e alora se me venn voeuja, ghe pensi semper milla volt….Poeu quand la mia mamma la ‘rivava in sul molo la gh’aveva ‘na fissa: “Respirate lo jodio!!!” Mi gh’hoo semper sentii l’odor de acqua marscia de port…ma a ghe l’hoo maj ditt. Poeu la mia miee la gh’haa di parent a Rapallo…quand ghe vemm quej du volt a l’ann, fra smog, traffic, parchegg che gh’hinn no…me vegn semper de dì: “Se Milano avesse il mare sarebbe una grande Rapallo” –
L’è vera Monteveggia l’è pocch cognossuu…ma per quajvun l’è anca difficil ‘rivagh..a pee in salida….e l’ultim tocch vers la gesa…poeu a l’è proppi dura….per vedè Milan…”Sì… giò de là…te vedett no?” – Porca baletta…du volt su tri a gh’è foschia……
Buon Trentino…anch’io amo quelle terre….anche se la mia Shangri La resta Cancano e le sorgenti dell’Adda…
Per finì…a gh’hoo de ringrazial perchè pianin pianott el ma fa vegnì voeja de scriv in milanes e a part i error (opinabili viste le numerose versioni grafiche esistenti ) che ghe metti denter a me venn sempre pussee facil…..a riscrivess
ben ottavio, ben. son content ch’el scriva in milanes. mi, per minga sbagliamm tròpp, voo adree a quell che el m’ha insegnaa el gran professor Beretta che el gh’aveva on bon motiv, ona spiegazion per ògni dubbi. ghe disi on secret: la vall del Curon e de Montaveggia la var davvera ona quai fadiga e quand gh’è pòca gent l’è ona meraviglia. adess hann dervii anca ona vendita de gelati biologich faa con i erb del pòst. (almen inscì disen…) sorbett a l’usmarin, al basilich e alter erb. mi purtròpp per via del diabete pòdi minga mangiai per el zucher. hann rimiss in ordin on paesin bandonaa e venden di apartament bei, senza dubbi, che costen come in san Babila…. ier hann faa la festa di associazion de Olgiaa e m’è vegnuda on poo de invidia a vedè quanta gent partecipa. alter che a Milan… anca se se dev dì che a Milan gh’hinn tanti che se impegnen per i alter. ma in ‘sto paesòtt che l’è Olgiaa gh’hinn du grupp musicai che sonen i firlinfoeu: volontari per la cruz rossa; volontari per i incendi, per la protezion civila, l’auser, la caritas, el grupp sportiv, quell di giugador de cart, ona compagnia teatral, la banca del temp, on grupp de “acquisti solidai”; on grupp de amator del blues; on grupp che organizza i fest per i gioin; la pro loco; la polisportiva; ogni frazion del paes la gh’ha el sò grupp de inconter per minga parlà di oratòri che al sò interno gh’hann different organizzazion; del comitaa de gemellag cont on paes ingles, la sezion del CAI; on para de circoi culturai; on grupp per la salud di dònn; la scòla de ball; de tennis, de ballon; de ginnastica e alter ròbb che me scappen. Gh’è ona biblioteca che la fonziòna benissim e che procuren tucc i liber che se voeur e saren sù domà ona settimana a l’ann. (Se ved che per esempi la biblioteca del Monte Tordo al parch sempion, la gh’ha ò alter problema ò altra gestion. almen per quell che riguarda i ferii…). Minga mal, per on paesòtt, vera? se scrivom…
Ma cume mai nisun, a proposit de Muntavegia, ha tirà in ball i furmagitt.
L’era vuna dei robb tradisiunai come andà a Com a pisà in del lac, salvo scarligà sui sass bagnaa. Partì alla sera per andà a mangià i furmagitt e la galina a less, l’era abastansa comun.
El me milanes el farà un pu rit, ma in di me paraggi sunt restà in de per mi a parlal un pù.
Ve saludi
Non capisco nulla di quello che state scrivendo, a parte il Monte Tordo al Parco…e dire che sono un abitante del Borgo degli Ortolani…comunque ho avuto di modo di leggere il suo libro sulla storia del Borgo, Tullo. Interessantissimo!
Egregio Giorgio, cosa non è comprensibile,gli scritti in dialetto, a volte non propriamente tale o i luoghi, i riferimenti topografici e storici oppure il fatto che ultimamente abbiamo sconfinato in Brianza?
Mi sembra di aver notato che la maggior parte dei partecipanti ha una certa età e quindi ricordi in comune di quando Milano e il Borgo degli Ortolani in particolare erano molto, ma molto diversi da adesso.
Se avesse voglia e tempo di chiarire il suo commento, farebbe piacere.
Grazie
domenica 25 settember ai quatter del dòpodisnaa leggiaroo on para de ròbb che ho tradòtt in milanes de Cechov ( pian a dì tradòtt .. mi i a hoo tradòtt dall’italian e minga dal russo) “Del dagn del tabacch” e “tragich nonostante lu”
al Sunset Blvd Cafè de olgiaa in ona manifestazion organizzada de le region lombardia e de la provincia de lecch. a propòsit di formagitt de montaveggia vardii che el latt el fann rivaa de Lòd… gh’hinn on para de sit che fann formagg artiginai ma quei che conossi mi a hinn a olgiaa e pianezz. me dispiase che el Giorgio el faga fadiga a capì quell che scrivom ma el staga sicur che l’è minga l’unich. varda Maurizio che tanti gh’avarann oma “certa età” ma mi, pòrca gibolla, son vegg… me par che se mangiass el pollaster rostii e minga la gaina lessada e insemaam gh’era on cicorin tajaa fin, fin…ciao a tucc
a minga rilegg se lassen denter i refus… me sta ben…
A dì la verità sont andà pocch volt a Montaveggia, massim tri o quatter….e me sont interessaa pocch de gastronomia…anca se me par ch’hoo sentii parlà di formagg….Senza che sto a vardà su Wikipedia l’è minga el paes de la Agnesi “matematica insigne”? A vo a memoria…Va ben vedaro de passagh pussee prest che podi…anca se i basej per arrivà a la gesa me fan pensà…El me disarà Tullo, e alora la Madonna del Bosc? Sì ma hoo mai faa quej basej, ma me n’hann semper parlaa. L’è on quaj temp che vegni puu in Brianza… magara a l’è el moment…adess che venn l’autunno e i color di alber, di foeuj diventen on spettacol….
Me pias el fatt che “Il Borgo degli Ortolani” la sia passada da “pagina geografica storica” a “forum de dialett” -vecchiamilano- permettendo e pazientando….sì perché l’è proppi on pecca che pocch al dì d’incoeu a parlen e scriven in dialett….mi per prim…che hoo scominsià adess, doppo sessant’an, che sont nassuu e dopo quaranta ch’hinn mort i me, lour sì che parlaven… magara nò scriveven…ma l’era puu l’usanza fra la gent fina…On suggeriment… inveci de doprà la “pagina storica” sariss minga mej veggh ‘na pagina “dialetto” insci che i matt me nunc “milanesi ad oltranza” se poda scriv e sbragià senza dà fastidi ai alter che voren domà parla e discutt de toponomastica, monument, cà e borgh?
A l’è domà n’idea…a riscrivess se’l permettaran an’mò….
Ho la vecchiamilanite acuta…ogni volta che accendo il computer…prima cosa guardo la posta e subito vecchiamilano per vedere se ci sono articoli nuovi…su cose vecchie…..Ho patito molto ad Agosto!!!…(non è vero ero via)…
Voeuri minga vess polemic, ma i formagitt (caprini) de Montavegia eren e in ancamò fà cunt el lat de cavra. Se mangiaven all’osteria sura un taul de legn senza tuvaja.
Ve saludi.
al de foera de mi l’idea de ona qualsiasi polemica su ‘sti ròbb… scusemm se ho daa questa impression. donca: i cavrett hinn domà a la Bagaggera , on sit sòtta montaveggia e lor i a fann e i a venden insemma al pan e alter specialità del sit. l’è minga tanto lontan de Montaveggia ma l’è la Bagaggera. la gaina lessa inveci l’era la specialità de on sit, anca tabacchee, che gh’è ancamo a La Fornas. Invece a Montaveggia la specialità l’era el pollaster a la piastra.(sont andaa a controllà sul pòst stamattina e a domandà…) La gran dònna Agnesi che tant ben l’ha faa per i milanes la gh’aveva ona villa al culmin de la salida, circa sulla piazza, alla bas de la scala per la gesa. La gh’è ancamò. A mi me va ben tusscòss e se decidii de fà ona sezion per scriv in milanes me va ben. D’altronde mi spiace che alcuni amici siano tagliati fuori da questo turbinetto di notiziole e capisco che non è bello. Oggi ho trovato una signora che sosteneva essere i dialetti inutili perchè “dividono” mentre le “lingue” uniscono. quindi odia i dialetti e li vorrebbe abolire. Come el caudillo e el s’ciòssa… le ho chiesto se vuole abolire le canzoni napoletane, le commedie di Goldoni, le poesie del Tessa (misconosciuto, misconosciuto…) il modo di scrivere di Camilleri o quello ben più importante di Gadda cancellare Creuza de mà del De Andrè, buttare le poesie in romanesco assieme a quelle del Porta, chiudere la bocca ai ladini o ai pugliesi che parlano l’albanese, i mocheni poi sono tanto poche che non vale nemmeo lapena di sapere se esistono, cancellare i valdostani o almeno la loro lingua, mettere nella spazzatura le commedie genovesi.. e… si è accorta, la signora, che forse non si era informata bene sui dialetti, sulle loro grammatiche, le sintassi, i vocabolari le opere letterarie… è convinta che sia un parlar volgare non sapendo di dire la verità…
“On suggeriment… inveci de doprà la “pagina storica” sariss minga mej veggh ‘na pagina “dialetto” insci che i matt me nunc “milanesi ad oltranza” se poda scriv e sbragià senza dà fastidi ai alter che voren domà parla e discutt de toponomastica, monument, cà e borgh?”
Eheh si potrebbe fare…caldeggio la proposta del sig.Tullo. Sig.Maurizio, la questione è che ho 27 anni, son nato e cresciuto a Milano ma non ho nessun parente veramente milanese, per cui faccio un po’ di acrobazie nel capire il dialetto. Però dopo un primo impatto ostico sto iniziando a capire…sono d’accordo sul fatto che il dialetto e la poesia non debbano scomparire. Preservare le diversità è d’obbligo e questo discorso vale ovviamente per dialetti di altre regioni o zone d’Italia.
Sarebbe bello se questo sito diventasse una comunità vera e propria
Indipendentemente da formaggini e galline/polli, complimenti per il trattato sui dialetti, di fronte ad una illustrazione così sentita e colta, mi
è ventuto un attacco di umiltà, concordo in pieno con l’idea di sviluppare l’idea dei dialetti, con il miscuglio di idiomi che ha invaso tutta l’Italia,
ripristinare l’uso del nostro vernacolo nelle comuni conversazioni penso sia impossibile. Certo è che quando capita di sentire due persone (l’ultima occasione l’ho avuta a Bollate in un panificio) che scambiano frasi in dialetto, il nostro dialetto, si allarga il cuore.
Se scrivum.
sono una milanese doc del 1948, sono nata e abito alla periferia del borgo (via Bullona e piazza damiano chiesa) purtroppo parlo pochissimo il milanese ma lo capisco; ma se ho faticato a leggere i
primi libri di Camilleri in dialetto siciliano, non dovrei farlo con il milanese ? è un piacere leggervi, anche se non è facile. sono una nostalgica, amo la mia città e vorrei poter vedere tante vecchie foto di luoghi che non esistono più . saluti
Forse sono il meno qualificato a pronunciarmi, comunque:
Vicino a Piazza D.Chiesa, nella Clinica Salus è nata mia sorella, e alla stazione Bullona andavamo spesso per prendere il treno per Affori.
Una volta se faseva inscì, adess se ghe minga la macchina………
Un saluto
xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx un modesto commento a un piccolo avvenimento. domenica scorsa ho tenuto una lettura a Olgiate Calco di due atti unici de Cechov “Del dagn de tabacch” e “Tragich nonostant lu” che ho tradotto in milanese. Nonostante il mio milanese sia piuttosto stretto e talvolta obsoleto mi hanno detto che hanno capito benissimo i due testi. addirittura vorrebbero che ripetessi la lettura per assaporare meglio lo spirito cechoviano. sono comvinto che a Milano avrei faticato a trovare cinquanta persone (esclusi parenti ed amici) disposte ad ascoltarmi. come mai? a milano sappiamo già tutto e snobbiamo il nostro dialetto? abbiamo paura che Cechov sia barboso e incomprensibile? abbiamo cose ben più importanti da fare e non possiamo perdere il tempo in stupidaggini? datemi una risposta e ve ne sarò grato. ciao
Ma a Milano si riescono a trovare, al di fuori dei parenti ecc. cinquanta persone che comprendono il milanese?
Le ultime rappresenzazioni di Mazzarella a cui ho assistito, tra l’altro relegato nel teatro dell’Oratorio della Parrocchia di S.Pio V, erano ben poco popolate, e molti, quasi a ogni battuta davano gomitate alla persona vicina perchè non aveva capito.
Io ho avuto la fortuna di lavorare per tanti anni in un ambiente formato prevalentemente da milanesi (doc e un po’ ariosi) per cui il dialetto era di uso comune. I figli di costoro, come del resto i miei, capiscono qualcosa, ma parlarlo non si sognano nemmeno. Il mio pensiero è che a Milano una lettura del genere rappresenta un’occasione per un Club di appassionati, non certo per tanti.
Buongiorno a tutti,
Mi chiamo Andrea, ho 33 anni e non sono Milanese.. Tuttavia da pochi mesi sono diventato un abitante del Borgo essendomi trasferito al 2 di Via Rosmini, il palazzo ad angolo su Piazza Morselli.
Il civico in realta e’ attualmente denominato 2a, e gia’ appena arrivato mi domandai la ragione di questa “a”, non esistendo curiosamente un civico 2 normale, senza lettere in appendice..
Ho intuito poi che la ragione poteva trovarsi nel fatto che di fianco al 2a oggi si trova la singolare e controversa nuova chiesa della SS Trinita’.. Il palazzo risulta “mozzato” in maniera evidente sul lato dove si trova il campo da calcetto dell’oratorio della chiesa.
Mi sono detto che forse erano state le bombe della guerra.. Alcuni condomini mi hanno confermato che anche l’attuale 2a, dove abito, era stato danneggiato durante la guerra, e dalla mappa condivisa in questo blog da Giorgio sembra confermato che lo stabile che si trovava al posto della chiesa sia stato distrutto..
Ecco la mia domanda: qualcuno fra voi si ricorda cosa si trovava al posto della chiesa prima di essa? Qualcuno e’ in grado di stabilire con piu’ o meno precisione la data del bombardamento? Ci furono vittime?
Con tutta probabilita’ l’ala dello stabile 2a dove si trova il mio appartamento fu fortemente danneggiata nella stessa occasione.. Le lastre dei balconi della ringhiera non sono in pietra come quelle originali che si trovano ai primi piani verso piazza Morselli; sembra che i solai siano stati rifatti insieme a molti muri, piu’ sottili e meno isolanti di come dovrebbero essere nelle case di quell’epoca..
Il fatto che l’esatto appartamento dove abito, 60 anni fa sia stato colpito da una bomba sganciata da un aereo durante una guerra mi fa riflettere in modo insolito, forse piu’ intimo. Un evento inconcepibile, che ancora oggi accade a Tripoli, a Gaza o a Kabul, e’ accado nel mio salotto a Milano, 60 anni fa..
Ogni tanto ci penso e mi immagino quei momenti, quei giorni, nello stesso quartiere, ma cosi’ diverso da oggi. Un tempo che sembra lontano ed una guerra lontanissima, come lontane ci sembrano oggi quelle di cui parlano i notiziari..
Grazie a tutti per il blog e soprattutto a Tullo Montanari per il libro. L’ho trovato alla biblioteca di Parco Sempione e letto con grande interesse.
Andrea
Per il Sig. Andrea !
Voglio rispondere, anche se in ritardo ,alle domande che si pone nel suo intervento
del 7.12.2011. ( ritardo dovuto al fatto che è da poco che mi sono iscritto a
VECCHIA MILANO)
L’attuale Chiesa della SS.Trinità si trova dove allora c’era una casa distrutta
dal bombardamento avvenuto verso le ore 22-23 del 14 Fabbraio 1943.
Purtroppo anch’io sono rimasto nella stessa notte senza casa distrutta dal bombardamento :
abitavo in via Vittorio Alfieri al nr. 3. Non mi posso sbagliare!!
Era una domenica e son sicuro di quel che dico perchè il giorno 15, lunedì,
dovevo iniziare a lavorare alla Cassa di Risparmio delle PP.LL. in via Verdi.
Invece ci sono andato per chiedere un rinvio : infatti ho iniziato a lavorare
il lunedì successivo 22 Febbraio 1943.
Non so se ci sono state vittime ma ricordo che della casa che faceva angolo
Rosmini-Giusti erano rimasti solo i muri perimetrali.
Non mi ricordo se l’ingresso a questa casa era da Via Rosmini o da Via Giusti !
Propendo però per Via Giusti. Un particolare: sulla Via Rosmini c’era un negozio
di borse e valige !!
Se ha altre domande sarò lieto di rispondere……….se avrò risposte !!
Ho qualche ricordo !!!! Sono nato ini Via Canonica 35 nel 1928.
Saluti Alfredo
alfredo.coquio@libero.it
Io ho abitato in Via Canonica 25 dal 1948 al 1956 nella casa in cui si trovava la drogheria dell’ Antonio Migliavacca per conto del quale per qualche tempo ho anche fatto il servizio a domicilio.
La casa confinante all’angolo tra Canonica e Cesariano era stata demolita dai bombardamenti, come molte altre costruzioni lì intorno. Le macerie erano i nostri campi di gioco e di battaglia e qualche “gnola” o qualche abito strappato lo rimediavamo sempre.
Nel presente blog ho avuto modo di raccontare alcune delle mie avventure, se ha pazienza di guardare un po’ più in sù, potrebbe trovarle.
Saludi.
Maurizio
Tra la sua nuova abitazione alla chiesa c’era un cibi cotti toscano e una macelleria una casa mezza abbattuta durante la guerra con un unico negozio c’era la valigeria del signor Cavallotti che con sua moglie e un aiutante rifaceva o vendeva principalmente i bauli che quasi tutte le compagnie teatrali (Dapporto, Macario, Valter Chiari e tanti altri) si appoggiavano. La mia famiglia trasferita da via Canonica 15 negozio/abitazione di ferramenta (casa abbattuta per edificio nuovo) in via Rosmini n.3 negozio di pseudo elettrodomestici/ferramenta situato difronte, parecchie volte ho visto questi famosi attori. Nel suo portone c’era un ottimo panettiere e delle belle famiglie.
Buongiorno Signor Alfredo, leggo solo dopo molti anni la sua risposta..
La ringrazio molto, provo solo ad immaginare cosa possa aver significato per Lei rimanere senza casa..
Grazie ancora, le auguro una buiona giornata, Andrea
Grazie Gianfranco Brollo, con i suoi commenti mi ha riportato su questo blog dopo molti anni.. non abito piu’ al 2a da molti anni..
La ringrazio per i dettagli sull’edificio dove abitavo.. chi sa chi ci sta ora..
buona giornata, Andrea
Caro Andrea, mi fa molto piacere che uno giovane sia venuto ad abitare da quelle parti e soprattutto si interessi alla storia del quartiere.
Per quanto riguarda la tua curiosità ti posso dire questo: qualche anno prima che venisse costruita la nuova chiesa, sull’area tra Via Alfieri, Via Verga e Via Giusti venne costruito l’Oratorio S. Pio X per avere più spazio e più aule di quello che poteva offrire il cortile della vecchia chiesa.
Alla posa della prima pietra benedetta dal Card. Montini – poi Papa Paolo VI – c’ero anch’io vestito da chierichetto. L’area tra Via Rosmini e Via Giusti dove poi sarebbe stata costruita la nuova chiesa era occupata da case di ringhiera piuttosto malmesse, a fianco del 2A di Via Rosmini non c’era più il fabbricato ma solamente delle tettoie e sinceramente non mi ricordo cosa riparassero/ospitassero. Il Piano Regolatore di Milano prevedeva che venisse creata una strada diretta che da Via M.Pagano, passando per via Cesariano si collegasse direttamente con Viale Zara, portando via un angolo della Chiesa sventrando le case di Via Bramante, Via Montello, parte di P.zza Baiamonti, unico manufatto costruito all’uopo è rimasto quel ponte ++++obbrobrioso di Via M. Quadrio. Siccome a MIlan disen : il progetto venne accantonato e poi abbandonato.
Il Prevosto della SS:Trinità Don Giuseppe Sironi
stavo dicendo (mi si è inceppato lo scritto) probabilmente voleva lasciare imperitura memoria del suo passaggio e approfittando della prevista modifica della facciata della chiesa, ha iniziato a battere cassa fino a che non è riuscito a realizzare il suo sogno. Ci sono voluti tantissimi quattrini si è dovuto espropriare le case e le aree, buttar fuori gli inquilini, eseguire la nuova costruzione, una buona mano gliel’ha data l’impresa che poi ha costruito il condominio al posto della vecchia chiesa, probabilmente in modo del tutto disinteressato.
Immagini della vecchia chiesa si trovano su Internet (Milano Scomparsa ecc). non so se ti sei già preso la briga di leggere tutto il blog, se non l’hai fatto, fallo; troverai preziose informazioni per conoscere il tuo nuovo quartiere.
A proposito da dove vieni?
Te saludi.
Grazie Maurizio,
Ho visto un po’ di immagini della vecchia chiesa e non riesco a trovare un solo motivo che ne giustifichi l’abbattimento per la costruzione dell’altra.. Eventi ordinari purtroppo, in Italia in quegli anni.
Io sono genovese, e negli anni 60 fecero fuori un intero quartiere (Via Madre di Dio http://www.silingardi.it/adriano/pagine/madredidio1.htm) di vecchie case per fare posto al nulla di palazzi delle amministrazioni pubbliche e squallidi giardini di plastica e cemento..
In Via Rosmini pero’ una cosa che mi fa piacere e’ sentire dalla mia finestra i ragazzi che giocano nell’oratorio.. molto meglio del rombo dei motori..
se viemmu.. (arrivederci in genovese)
Grazie di tutto a tutti quelli che partecipano a questo blog, sono veramente contento di leggere storie di vita vissuta ed esperienze di gente milanese.E’ la prima volta che mi azzardo a chiedere una cosa che mi stà a cuore e che non riesco ad ottenere,questa:da nessuna parte riesco a trovare fotografie di Corso Garibaldi, o ricordi del “corso” medesimo; ai miei tempi (anni ’30) Corso Garibaldi, via Paolo Sarpi, Corso di Porta Ticinese, erano i Corso Buenos Aires di oggi. E’ possibile che sia tutto dimenticato?
Sarei molto lieto di potere contribuire con le mie memorie, ed esperienze milanesi come ho scritto in precedenza. La casa dove sono nato esiste ancora come quella di mio nonno, (via Delle Erbe), quella di mio papà è stata distrutta dai bombardamenti.
A presto!
Giulio32
una specie di Enciclopedia fotografica la trovi qui:
http://www.flickr.com/photos/milan_lera_insc/sets/
migliaia di fotografie, divise per argomenti
raccolte dall’utente Skymino di Skyscrapercity.
Porta Garibaldi
Corso Garibaldi
Borgo degli Ortolani
Con l’occasione auguro un Felice Anno Nuovo a tutti gli autori e lettori del blog.
Rinnovo Auguri e ringraziamenti per gli idirizzi che non conoscevo e che sono per me ,milanese,di un interesse eccezzionale.
Le fotografie che compaiono in questi “siti” sono copiabil liberamente oppure occorre chiedere autorizzazioni?
Ne ho già copiate due, ma non vorrei essere incorso in qualche trasgressione!
Alla prossima,e grazie!
Giulio32
Per Giulio 32, mi piacerebbe poter raccontare di più, ma quello che posso mandare è solamente uno stralcio tratto da un mio racconto in cui si accenna a Corso Garibaldi, è pochino, ma in compenso auguro a lei e a tutti un anno nuovo da favola e senza inciampi di nessun genere.
“……….andare a guardare fuori dalla finestra che permetteva di osservare l’andirivieni dei personaggi strani che entravano e uscivano dalla Casa degli Artisti al numero 89/A di Corso Garibaldi. Fatta costruire dai Fratelli Bogani, gente che aveva soldi, appositamente per dare spazio agli artisti privi della possibilità di sistemarsi in uno studio proprio; un edificio con grandi finestre rivolte a mattina per non avere luce diretta. Sul marciapiedi si incontravano spesso i rappresentanti di arti diverse; scultori e pittori che frequentavano la Casa e artisti veri o fasulli di teatro che usavano trovarsi nel Caffè dello stesso corso al numero 1……..”
Innanzitutto tanti Auguri per il Nuovo Anno e, un grazie di cuore, grosso come una casa, ai due “magnifici” Gabriele e Maurizio che inaspettatamente hanno preso in considerazione il mio “ingresso” e mi hanno indicato quattro indirizzi
di fotografie di Milano che oramai non speravo più di rivedere.
Maurizio mi piacerebbe che scrivesse altri suoi ricordi di Corso Garibaldi
mentre io cerco di ricordargliene altri come per esempio:
-Il Colorificio dei fratelli Calcaterra che era più o meno davanti al N°89 dove si rifornivano Pittori e Imbianchini.
-Il negozio di “cibi cotti” (quello della “gnaccia”) ,poco prima della via Laura Mantegazza,che era luogo di ritrovo con gli amici dopo avere visto il “film” al Cinema Garibaldi vicino al negozio del “Motta” all’angolo di corso Garbaldi con via Moscova.
-Il negozio di giocattoli del Monti,poco prima del negozio di cui sopra, dove ci si fermava a guardare all’uscita dalla scuola elementare di viaPalermo,”Castellino da Castello” (divisa in Maschille e Femminile).
La prossima volta parleremo del “passett” e del distributore “automatico” di caramelle e merendine.
Di nuovo Auguri e Saluti , a presto!!
Giulio32
Grazie per gli auguri che ricambio di cuore.
Io veramente con Corso Garibaldi non sono mai stato molto parente, l’ho percorso centinaia di volte, in bici, in moto, in macchina, mai con il tram. Da bambino andavo avvastanza spesso con mia mamma in Largo La Foppa per comperare dei tessuti (il magazzino si è poi trasferito in Via Moscova al 2), da adolescente ero un frequentatore del Rossignoli
“ECCEZZIONALE” con due Z non si scrive, ma ero talmente emozionato che volevo rafforzare l’eccezione dell’avvenimento. Non lo faccio più scusate! Giulio32
le foto di Milan l’era inscì provengono quasi tutte dal thread “Milano Sparita” di skyscrapercity e sono state postate da vari utenti.
Skymino ha avuto l’idea di raccoglierle e catalogarle.
Dovrebbero essere di pubblico dominio.
Io in genere se riposto foto pubblicate da altri, ritengo comunque corretto postare anche la fonte.
PER MAURIZIO
Caro Maurizio, visto che cerchi qualcuno che capisca e parli il milanese: eccomi! Ho 46 anni, quindi faccio gia’ parte di quella generazione che non lo parla più….Però, avendo avuto una nonna che a me si rivolgeva quasi completamente in dialetto e un padre che ancora oggi si rivolge a me nella stessa lingua….quantomeno lo comprendo perfettamente. Riesco anche a scriverlo quasi perfettamete…anche se qualcosina, a livello grammaticale mi lascia lì interdetto….Per ciò che riguarda il parlarlo….diciamo innanzitutto che PENSO in milanese, e questo è già tantissimo. Lo parlo in casa molto spesso, anche con i miei figli, che si abituano, così, a sentirlo…con qualche collega per lo più brianzolo ( loro hanno conservato maggiormente l’uso del dialetto..) . purtroppo, sempre più raramente con amici e conoscenti. Se cucco in giro qualche sciur anziano che lo parla, gli rispondo IMMEDIATAMENTE in dialetto: li vedo, poi, un po’ sorpresi…ma anche felici di trovare un gioinòtt che parla ancora el milanès!…Perchè non fondare una sorta di club?? perchè non mi piace chiudermi ancor più in una specie di riserva indiana, piuttosto vorrei aprirmi a chi non lo capisce magari solo perchè non ne ha mai avuto occasione, non perchè lo osteggia…Certo, Milano essendo sempre stata particolarmente aperta e ricettiva agli altri, a chi è arrivato da fuori , paga lo scotto di vedere più velocemente disperse le proprie tradizioni e soprattutto la propria lingua, non parliamo della propria musica, ormai letteralmente scomparsa ( eppure il coro in cui canta mio figlio, i Piccoli Cantori di Milano, hanno un discreto repertorio in dialetto…ancora oggi, nel 2012!! ).
Ciò che credo sia giusto fare, è quello di raccontare, tramandare, informare, proporre, ma senza forzature, nè settarismi, nè snobismo ( caratteristica che il Milanese non ha proprio mai avuto!! ), nè ostracismo verso “gli altri”. ” Gli altri”, quelli venuti da fuori o da lontano, così oggi come da sempre, sono sempre stati la ricchezza di questa città, capace di dare un’opportunità a tutti, capace di insegnare a tutti un senso civico ( …oggi sempre meno, a dire il vero..) e a milanesizzare che è arrivato a cercare una vita migliore. Se poi questi ultimi saranno lieti di apprendere “anche” le tradizioni, la storia, i costumi, la lingua di Milano, tanto meglio….in caso contrario continuerò a farlo per me stesso e per altri, che , come dimostra il blog, proprio pochissimi non sono! un saluto!
stefano pozzoni
a metà strada del commento si incricca qualcosa e somo costretto a scrivere a rate. Dicevo del Rossignoli che vendeva accessori per le biciclette, infatti io avevo due trombe sul manubrio, le frange sulle manopole e mi sembrava di essere signore anche perchè il termine tamarro credo che non l’avessero ancora inventato.
Una mia cugina faceva la commessa in un negozio di scarpe dalle parti del Rossignoli. Altre incursioni in Corso Garibaldi le compivamo per andare all’Onestà. Con gli amici ci riproponevamo un giorno si e uno no di andare allo Sferisterio a vedere o a giocare alla pelota in Via Palermo.
Altre visite da quelle parti in Via Statuto e Palermo per l’Ufficio d’Igiene, vaccinazioni
chiedo scusa ma non ho capito se sun mi propri stupid o se l’è el computer. Qualche visita alle meravigliose chiese; fra l’altro a S.Simpliciano è andato come Parroco Don Elio Bestetti che era stato Assistente dell’Oratorio della SS: Trinità.
Ma quello che mi fa dorridere ancora tutte le volte che ci penso è quando con gli amici andavamo al cinema Garibaldi. Di cinema ne abbiamo paciato tanto, Anteo che non era ancora d’Essai, Farini, Vox, Rosa, Aurora, Augusteo, Eolo, Poliziano ecc.
Il Garibaldi non lo frequentavamo molto, ma era divertente perchè i sedili di legno, ogni volta che passava il tram, avevano un certo movimento sussultorio/ondulatorio, che aggiunto alla qualità delle pellicole e al locale stesso, ti facevano promettere di non tornarci più (fino alla volta dopo).
Corso Garibaldi dalle parti di Via Pontaccio e Via Mercato era la zona di stazionamento delle “Candele”; le impiegate di Via Fiori Chiari ecc. che una volta chiusi dalla Sciura Merlin i loro uffici, non avendo altra occupazione, mettevano in mostra le loro grazie sempre più sfiorite, fino a concumarsi sul marciapiede come appunto candele. Il termine è stato coniato da un giornalista del Giorno all’epoca.
Per Potsy,
nel tuo commento hai descritto la Milano che c’era e di cui è forse rimasto qualche rimasuglio.
A me fa molto piacere quando trovo qualcuno che parla o scrive in milanese, sono sempre meno quelli che hanno queste cognizioni.
Io quel poco che so lo devo al fatto di aver lavorato tanti anni a contatto con persone di Milano e dintorni.
La mia ricerca era parte integrante del blog, dove si disquisiva su quanta gente fosse ancora in grado di esprimersi in dialetto.
A un certo punto accenni alla Brianza, lì come in tutta la provincia italiana è facile sentire parlare il dialetto locale, quando vai in piazza, in chiesa, a fare la spesa, trovi i tuoi coscritti, gente nata e cresciuta in paese anche se pure lì sono arrivati i forestieri. A Milano e nelle grandi città in genere adesso se vai in piazza senti tutte le lingue e gli accenti del mondo e vedi anche tutti i colori del mondo. Anche nelle fabbriche, luogo perfetto una volta per la sopravvivenza degli idiomi locali, con chi parli in dialetto se il tuo collega ha dei guai a capire l’italiano? Comunque se hai letto i vari interventi del blog, avrai scoperto che i milanesi più doc degli altri, almeno come dialetto, sono Tullo e Ottavio,Tullo in particolare.
Me sa che u fa un po’ de confusiun.
Per Maurizio,
è da poche settimane che conosco questo magnifico blog ( se dis insci?) e ho passato ore a leggere gli interventi,specialmente quelli di Maurizio.
Non c’è parola milanese che non conosca tuttavia l’ortografia milanese non mi è sulle dita, cercherò di rimediare (se el fudess chi el me nonu el me masaria!) mi avrebbe detto il mio papà..
La mia parlata è buona, salvo la dizione di alcune vocali che ritengo non allineata al vernacolo originale.
Quando sono nato,(1930 corso Garibaldi 32), mio papà,(nato in Corso Garibaldi 18, classe 1898 con circa 2 anni di I^ Guerra Mondiale), in casa parlava milanese, mio nonno(classe18??,nato in via Delle Erbe),sicuramente parlava milanese.
Io ora cercherò di adeguarmi, per non sfigurare con Voi, almeno raccontandovi le mie esperienze mia Milano. Alla prossima!!!
Giulio32
Potsy,Giulio32,Maurizio…Vialter del Borgo …’na bella tradizion…foeura di mur da semper…ma part importanta de la grand città…un Corpo Santo ante-litteram…mi gh’hoo mettuu doma el nas perché quand seri piscinin stavi in di quei part lì, vers la Fera Campionaria e a legg dai liber del Tullo a me parì de vess an’mò lì…ma a seri proppi piscinin e me regordi pocch…domà quand ghe vegnivi cont la mia mama che in del 1954 l’andava al merca rional de piazza Gramsci e a la Madonna de Lourdes, a so no a fa cosè, ma la me lassava in del cortil a varda la grotta e le l’entrava….poeu de tant in tant l’andava in ‘na gesa cont i suor e la me lassava foeura anca lì…a me vedi cont la memoria…che sont adree a parlà cont vun de la mia scola ma a so no la via…e a vedè i foto la podaria vess quela tal gesa ma al so no … e i cinema….andavi cont el me fradel al Rosa e cont i me a la sira al Poliziano …poeu semm andà via fra nebbia, ran e scighera al Corvett foeura ma propii foeura… vesin al Porto di Mare…ma proppi vesin…a gh’era an’mò l’acqua e i monton de terra e la Vettabia verta…spusenta …proppi bel per el verd e i pocch auto ma on alter pianetta…a se giugava in strada tutt el dì. Cert se podeva no giugà a la lippa in Cors Sempion…al massim coi pattin in front al Palazzo dello Sport o al Parco, ma gh’hoo lassa di amis in Via Prati e in Piazza VI Febbraio e in mezz a l’ex Scalo Sempion…e i compagn de scola alla Moscati….on bel dispiasè….ma poeu a gh’hoo trovaa alter amis e quand a passa i an se desmentega tusscos…A sont tornaa pu..a part a passà de pressa per andà in da quai altra part…l’è bell fa girà la memoria….Se scrivomm…..
Ottavio….leggendo i Tuoi ricordi mi è venuta in mente la canzone ” El mè indiriss” di E. Jannacci. Dichiarando l’indirizzo di residenza all’impiegato del Comune, rivive e rivede in colpo solo i luoghi e le situazioni della sua infanzia…toccante e commovente!!! Succede anche a me, quando ripasso dalle strade della mia gioventù: Rembrandt, Velasquez, Siena, Aretusa, Martinetti, Gulli….Ma soprattutto le vie delle mie nonne, che erano molto più storiche: De Angeli, Trivulzio, Parmigianino, Marghera, Ravizza, Correggio……ogni via è un ricordo struggente…tra l’altro alcune di loro hanno un aspetto, un’atmosfera, un profumo, ancora oggi, inconfondibile…..sarà anche sempre più nevrotica e decadente questa città….ma mi ghe voeri ben….e ” ..me basta vess a Monza per ‘veggh el coeur che el piang de nòstalgìa del me Milàn !!! …” Te saludi, sacrament d’onn Ottavio!!
stefano
Che bel…che bel…sentì parlà insci in de chi mument chì, te se slarga el coer e van via per un mument tutti i penser, Grasie
Giulio32
Come mi piace Jannacci.. Quella canzone, ” El mè indiriss”, non la conoscevo.. Sono andato a sentirmela; e’ davvero molto bella..
Ne conosco un’altra, sempre di Jannacci, che si intitola “Veronica” e nel testo viene citata la Via Canonica come luogo di provenienza della popolare ragazza protagonista del brano (che pero’ “lavorava” al Teatro Carcano..).
Qualcuno sa se Jannacci si sia ispirato a una persona realmente esistita nel quartiere o era solo per fare rima?
Saluti a tutti, Andrea
Tant per cambià sun adrè a tacà lit con el computer, vurevi mandà una roba che avevi scrivù un pù de temp fa, ma riesi minga a caregala in sul blog. Quand riesi ve la mandi.
Ve saludi
NON E’ VERO
Non è vero che Milano è brutta, sporca, disordinata, è senz’altro anche così, ma per fortuna, a volte aiutata dall’uomo, la natura fa in modo che nel cuore alberghi sempre un po’ di speranza.
Percorrere la Tangenziale Est sulla corsia di sorpasso, ti costringe, oltre a fissare la parte posteriore del veicolo che ti precede, a vedere la sporcizia accumulata contro la barriera divisoria, ad ammirare la savana piena di erbacce, cartacce e parti di veicoli nei tratti dove la distanza fra le due corsie è grande. Adesso poi con il cantiere per il nuovo svincolo per Linate, la poca manutenzione che veniva eseguita, rimane sospesa, ma se si è abbastanza umili e non si ha troppa paura dei camion da percorrere la corsia di destra, oltre sempre alla debita attenzione verso chi ci precede, si può ammirare, un po’ distante, una fattoria con tutte le sue cosine a posto: campi, silos, mucche, piccioni trattori, ecc. Più avanti troviamo i prati e gli alberi che fanno da contorno all’Abbazia di Monluè, bellissima nella sua semplicità. Poi si percorre il tratto prospiciente il Parco Lambro, grande, bello che, a seconda della stagione, cambia di colore, facendoti trovare sempre uno spettacolo diverso.
Mai provato in una di quelle rarissime mattine d’inverno, in cui l’aria è limpida, percorrere un cavalcavia nella zona nord di Milano in direzione est? Attraversi una zona non entusiasmante, prima il cimitero, poi dei campi, che sono sempre belli, e infine qualche autodemolizione che ti mette addosso un po’ di tristezza come tutte le volte che osservi qualcosa divenuto inutile, qualcosa di rotto, qualcosa di distrutto, ma ecco che arrivato in cima al cavalcavia, lo spettacolo ti ripaga di queste brutte sensazioni, lontano, ma sembra molto meno, ti appare il Monte Rosa illuminato dai primi raggi del sole e sulla destra poco più alta, la luna piena splendente come non mai che sembra disegnata lì apposta per darti il buon giorno.
Sempre la luna prepara un’altra scenografia, questa volta a favore di chi torna a casa dopo aver trascorso la giornata a Milano. Per chi torna a nord dalle parti di Bresso, quando arriva all’aeroporto dopo il traffico della città all’ora di punta, non ne può più, è stanco, affamato, magari arrabbiato, ma se fa tanto di costeggiare tutto l’aeroporto e in fondo gira a destra, lo spettacolo che trova lo ripaga di qualsiasi cosa. La luna, questa volta sul giallo, tanto luminosa da abbagliare, illumina il parco, la strada e ti fa passare la malinconia, sembra che dica: “Vai a casa tranquillo a riposare, ci penso io a tenere d’occhio la situazione”.
Provate a passare in primavera dalle parti di Città Studi; schivando una filovia, dopo aver evitato quelli che seguono la stessa che, accortisi all’ultimo momento della fermata, ti montano sul cofano pur di non attendere un attimo, completata la rotonda di P.le Piola, dove sei troppo impegnato a sopravvivere per prestare attenzione agli alberi che fanno bella mostra di se, finalmente imbocchi V.le Gran Sasso e vieni colpito dallo splendore e dalla magnificenza della pianta di glicine che si arrampica e ricopre tutta la balconata di una casa, in un tripudio di fiori; sarebbe bello potersi fermare e sentirne il profumo, ma quello dietro spinge, quello di fianco cerca di entrarti nella portiera e sei costretto a procedere a tutti i costi.
Ti capita di assistere, verso l’ora di cena, alle previsioni meteorologiche e ti raccontano che là nevica, oltre c’è nebbia, altrove piove, è arrivato l’inverno, e te lo annunciano con un’enfasi tale che se per caso, dopo cena, sei costretto a uscire metti il naso fuori dalla porta imbacuccato come se dovessi recarti al polo; ma non appena fuori, annusi l’aria e senti che è quasi tiepida, è limpido e alta nel cielo la falce della luna crescente ti guarda e sembra sorridere. Tutto questo, naturalmente, accade a Milano abbastanza spesso.
A primavera, passi tra due casermoni in cemento, quasi non ci vedi dallo smog, devi tenerti tappato il naso dall’ odore degli scarichi, ma girato l’angolo, scopri un albero che sta mettendo le foglioline nuove, tenere, nonostante l’ambiente in cui si trova, vuole rinnovarsi, crescere, farti capire che non bisogna arrendersi. Lo stesso albero, con tutti gli altri, qualche mese dopo, ti farà stupire con la meraviglia dei colori delle sue foglie. Non muore, si riposa, recupera energie per essere pronto, alla primavera successiva, a darti di nuovo uno stimolo per proseguire.
Vai in un ricovero per anziani, stanno cercando di riabilitarli, chi accetta di buon grado, chi collabora volentieri per poter uscire al più presto, tutti hanno la speranza di farcela perché sanno che la loro degenza in quel posto dura al massimo tre mesi, ma sono comunque anziani, piuttosto malandati, la maggiore fonte di calore umano è quel po’ di contatto col personale o con gli altri ricoverati. Non si ha certo l’impressione dell’ambiente caloroso, i parenti hanno i loro impegni; chi viene in visita di solito ritaglia tale tempo tra un impegno e l’altro, un saluto, uno scambio veloce di notizie e via!
Manca ancora parecchio all’ora di pranzo, il personale sta già approntando i tavoli; qualcuno comincia a prendere posto, tanto per ingannare il tempo; inizia a mangiare l’arancia posata al proprio posto, ci gioca, la sciupa, altri sbocconcellano il panino. Che tristezza!
Ma ecco che dal corridoio appare una sedia a rotelle, sopra una signora, naturalmente anziana e abbastanza malmessa; spinge il veicolo il marito, altrettanto anziano, ma abbastanza in gamba; ogni tre metri si ferma, si sposta davanti alla moglie e le chiede come va. Arrivati al tavolo, parcheggia la sedia, si siede accanto e in attesa del pasto, chiacchierano con quell’aria di intimità che solo la lunga frequentazione e l’affetto profondo possono dare, tenendosi per mano. Sono isolati dal resto della sala, nessuno presta loro attenzione, sono soli e bastano a se stessi.
Milano è sporca, asfissiante, caotica, ma se ci si ferma un attimo ad osservare, non è proprio tutta da buttare.
Ci sono riuscito!
Gh’entra nient con Via Canonica, ma l’è semper Milan.
Maurizio, vist che te set andà foeura tema ghe vo anca mì…sì…te gh’het reson Milan l’è minga insci brutta….basta vardà in di canton giust…la Tangenziale… te rivett al scur dopo quatter or de macchina…porca baletta hin i cinq e trenta…te devet domà andò foeura al Corvett…ma ghe la fila e te ghe mettet tri quart d’ora e te venn de bestemmà…ma il dì dopo te set ancamò lì ghè on soo ch’el par d’estaa e te se guardet in gir…te se regordet de quand te parlen di Bastion in do’e a se vedeva i montagn..e t’i lì el Rosa e su…su…montagn che se gh’ha de vardà ‘na cartina e finalment La Grigna…el Resegon…i Alp della Bergamasca…e del Veneto…e quand te’l cuntet quasi te creden no…e poeu te vardet denter la città…subet capannon e fabbric e te venn de voreggh ben a la brutta periferia de ‘na volta…cont i praa…i viottol…i cassin…ma se và avanti….e pusse denter a la città i cà e an’mò cà…grattacieli…offizi…fabbric…na quai volta finalment ‘na cà de sciuri, na villa avita…semper meno…ma te se fermet a guardala…. e te sognet me l’era, magara arent a on canal, na roggia…el Navilij: “Ehhh…ma i spussava…” Ma incoeu l’è istess…via l’acqua…denter i auto…via el carbon….sotta cont el PM10…E quand se tapasciava…pocch macchin e tanti odor…el prestinee…el fondeghee…le caserme de Vincenzo Monti… che saveven de muffa… la cà de la mia nonna che la saveva de surrogato e carbon e ancà muffa… …ma a gh’era anca tanti praa intorna …sì…ma dint ai ruinn dello Scalo Sempione…e i giardinett di Sei Febbraio…e i capolinea di tram…tucc cont i sces intorna al Vespasian…gh’avi maj ‘vu bisogn?…Spuzzaven de matt…con tutt quei avis di dottor del “mal frances”: “Papà che vuol dire venereo?” – “MHHH…nient…’ndemm…” – Tanta spuzza ma tant de regordà.
Cognossi vun ch’el stà al 16 piano de ‘na cà de periferia…te vardet foeura… ahhh i praa…di camp…di boschett…el miracol de la gesa de Ciaraval…te vardet vers denter tutt sti brutt tecc…ma proppi brut…na quai pianta…e in fond in fond el mausoleo de la Stazion…che però se te stett denter le minga brutta….i mosaic…te perdarisset el treno a sta lì a studiai…e quand a gh’era la nav….ghe giravi intorna e intorna: “Dai…’ndemm…gh’è el treno!!”…Na quai volta…in centro…proevi a passà domà in do’e a so che ghe nient de moderno…On dì sont andà sul Domm cont la nevoda…stran…i tecc da denter a foeura hin bej… l’è n’alter vardà. Jannacci el me pias da semper…se te gh’het nostalgia per la periferia te devet senti “Quella cosa in Lombardia”, l’è minga na sua canzon ma la canta insci ben che ‘scoltandola te par de vedesset denter al quader…No l’è proppi minga brutta Milan…basta savè in do’è vardà.Se sentomm….
“……sia ben chiaro che non penso alla casetta / due locali più servissi , tante rate, pochi vissi che verran, quando verrann..” eh, Ottavio, l’è proprii bèla! ma quella che mi ha sempre fatto più commuovere è ” Ti te set no ” : …” che bell che el g’ha de vess, vess sciuri, cont la radio noeva e in de l’armadio la tòrta per i fioeu,,,”…..me vegn de piang anca adess !!!! stefano
Complimenti per le belle pagine di questo blog, che leggo accuratamente da anni in silenzio. E complimenti soprattutto a chi, tra uno sforzo e l’altro si sforza di tramandare la cultura, le canzoni e la lingua milanese. Mi ricorda di quando mio nonno, molti anni fa, mi raccontava dei navigli che non ci sono più e della vista delle alpi sui bastioni, tutto in milanese. “Ah la me Milàn, l’era propri béla” e son d’accordo con cui mi precede. “La me Milàn l’è minga brutta, basta savè in do’e vardà” P.S. Ogni tanto mio nonno diceva anche “el me milan”
Benvenuto lanterna, fa piacere sapere che qualcun altro ci legge. Forse l’accezione più giusta è “el me Milan” d’altronde il testo forse più famoso in milanese non s’intitola “milanin Milanon?”
Se scrivum.
finalment sont reussii a vedè ancamò el borgh di ortolan, intes come sit internet. reussivi pù a ciappal e savevi minga come fà. adess son pròpi content de avè leggiuu tutt quell che avii scrivuu. fòrsi l’è el me pc che l’è ona mezza baracca ( per minga dì intera) e anca perché sont in on piccol paes e gh’ho minga fastweb. fa nagòtt incoeu la m’è andada ben e hoo poduu legg quell che me pias pussee de tutt: la stòria del me paes. pròpi vera: l’amor l’è òrb… anca mi vedi bella MIlan come vialter e son minga bon de capì come fann i alter (milanes minga vera) a minga vede quanti ròbb bei che gh’è a Milan. Cert honn minga tutt ròs e fior ma i alter sit hinn poeu inscì perfett? Doman voo a Milan (cara la mia gent, quand s’è mezz in gesa se dev andà in del dottor…) e me gusti giamò la mia passeggiada: Via Canonica, Parch Sempion, Castell, Via Dante, Piazza del Dòmm e poeu vedaroo cosa fà. La galleria senza dubbi e dòpo vedaremm comunque son sicur che on poo me inrabissaroo e on po sarò content. Nervos per quell che me pias minga ma minga davvera e poeu me cecaroo de convinc che l’è nò i ròbb che hinn cambiaa son mi che son diventaa on grass de ròst… vorevi digh a l’Andrea che la gesa de la Trinità l’hann trada giò per fagh on piasè a tanti: pewr esempi a l’impresa pessina che l’ha costruii la cà che gh’è adess. pensii che la gesa veggia l’ha trada giò on fiolòtt deperlu cont ina mazza. poeu quand el se accorgiuu che sòtt al campanin ghe n’era sòtt on alter l’ha dii in gir e la sovraintendenza l’ha bloccaa la demolizion e el pessina l’ha dovuu cambià el progett. el campanin vegg el se ved ancamò in via giannon. pensii che el fioeu demolidor l’era on sicilian campion dilettant di pes legger. in ona altra demolizion l’è borlà giò de ona impalcadura e l’è finii in ona calderòtta dove brusaven la legna. ona vera brutta fin ciao a tucc ve voeuri ben
Grazie Tullo,
Ricordo bene il mio stupore quando una decina di anni fa, molto tempo prima di trasferirmi a Milano, un giorno d’inverno venni da Genova a trovare un’amica che abitava in zona, e mentre passeggiavo a caso nel quartiere notai in questo moderno e ben curato cortile anni ’70 un solitario e sgarrupato campanile medievale, pesce fuor d’acqua mezzo ricoperto di rampicanti. “Davvero molto singolare” dissi.. provando ad immaginare cosa si potesse trovare intorno al campanile nel passato. Pensai al salvataggio faticoso di un bene storico dall’incuria e dal tempo, senza poter immaginare a quale punto il profitto economico aveva reso ciechi gli uomini di fronte a quel patrimonio storico e sociale, annientando inutilmente una chiesa antichissima e di inestimabile valore popolare.
Tullo, Le auguro una piacevole passeggiata nella sua bella Milan!
Andrea
Esimio Tullo, bentornato. Ultimamente abbiamo chiacchierato un po’ e mi sembrava abbastanza strana la sua assenza.
Se l’ culpa de quel ciffun del computer che la traga via.
Se scrivum.
Buondì scior Tullo…po vess che l’emm ciamà in tanti perché a l’era almen duu mes ch’el spettavi…a gh’è minga de vess preoccupaa per el computer. Hinn diventà intelligent, pensen de per lor e fan quel che voeuren…anca la mia miee che l’è pusse meccanic de mi di tant in tant la ghe dis i parol perché el se smorza, el cambia, insomma el pensa….e quand pensen a hinn proppi gnucc …tri mes fa a gh’hoo provaa…: “Dai “el tablet” ” – al costava pocch el prometteva tanto e alora l’hoo compraa. El s’è pizzaa, el m’ha domandaa “S’te voeuret fa?” a gh’hoo ciamaa l’apps (l’applicazion) e alora el m’ha domandà la parola d’ordin: “Ma me l’è..el diseva che ghe n’era no de bisogn?” Per n’altra roba el m’ha domandaa n’altra parola d’ordin e via…per savè me fà, n’altra parola d’ordin…I Istruzion scritt piscinin…ma proppi piscininn a pareva fudessen scritt per vun ch’el saveva giamò dopral. A sont torna a la bottega e ho dimandaa, el saveva nanca luu, ma al m’ha dit: “Ehh ma pensi che il mio primo tablet l’ho regalato a mia nonna” – A gh’hoo dit: “El ghe daga anca al me!!” E sont vegnuu via con on buon-acqiusto…Se dis che al dì d’incoeu i computer hinn “a prova di cretino”… forsi l’è vera, ma hinn no a proeuva de burocrazia…trop parol d’ordin e mi a gh’hoo pu troppa memoria…Milan la cambia…beh… mi sont arriva a pensà che gh’è minga de inrabis, gh’emm de pensa ai noster vegg quand vedeven tra giò i cà vegg pien de storia, i Bastion, quattà i Navilji, ghe sarà staa però on quivun che l’avara lodà “El Progresso”: “Ohhh il Ballo Excelsior!!!”…anca in quei temp gh’era on quivun ch’el faseva danee…l’è minga cambià nient… a diggh la verità se “il caratteristico” e “il pittoresco” stann insema al vonsc, a la spuzza, ai malann, alora mi pensi che l’è mei tral giò…Sì anca mi gh’hoo di affezion e me dispiass quand me cambien di robb che a vedi da quarant’an…Gh’era n’antica cartoleria in Cors Lodi, verta da quasi on secol, a l’è duu mes che l’han sarada…na vera perdita…dervaran on kebab? Speri de no…ma vist i bottegh pien de cines e magrebbin ghe credi pocch…Me resta doma de andà in gir in do’e a so che podi trovà la mia Milan d’on temp e me fo piasè i robb moderna…s’hinn bej…per i alter robb a scrivi su Vecchia Milano e proeuvi a sfogamm….Ch’el stia ben scior Tullo a scrivess a prest…..
M’e capità per caso de cumprà vun di liber del Sciur Bruno Pellegrino dal titul “Così era Milano PORTA COMASINA” me sun perdù lì denter e sun vegnù foeura dumà adess che l’ho finì.L’è una meraviglia, tanti rob che el cunta mi me rigordi de avei vist. Per Andrea 32 chel cercava de savè pussè sul Curs Garibaldi, l’è una miniera.
Apena podi vu a cumprà anca i alter, in particular quel de Porta Vercellina in due duaria vessegh anca la nostra zona.
Edizioni Meneghine – postmaster@modernpublishing.eu
Ve saludi.
Maurizio voeuri fà ona promozion anca se gh0hoo nagòtt de vend. El vaga in ona quai biblioteca de zòna e el proeuva a legg “dal borgo dxelle Grazie a Porta Magenta” l’è bellissimm…ahahaha per fòrza l’ho scrivuu mì….pòdi dì che l’è gramm? El varda che scherzi, son minga inscì presuntuos Vorevi digh a l’Ottavio che sont d’accòrd con lu e pensi che i grattaciel de Pòrta Garibaldi hinn pussee che bei
errata corrige: gh0hoo=gh’hoo biblioteca=bibliotecca
Sunt d’accord cun Tullo,Maurizio e Ottavio, chi gratacei lì in propi bei, ma disi..,
su quel pusè alt, in cima a quel cùrnet de gelato pudeven minga met la Madunina alta magari anca mez meter ma pùsè in alt de tucc?
Tùtavia ogni tant pensi: ma chi ghe andarà denter lì? El mè papà el me cùntava che el mè nonu l’aveva vist e senti lung i navili, pùse de una volta,
i sunadur cunt la ghitara che faseven la serenada in lingua spagnòla ad una quai bela tusa; Vuraria vedè adess un quai innamurà cume el faria a fa la serenada a la murusa che la stà al cinquantesim pian!!!! el duaria vegh una bela vus!!!!
Va ben insci, però i navili!!!!!
Ve saludi tucc ……
Giulio32
Magara a hinn trop…seri pu passà dopo che aveven tiraa via el Luna Park e quela volta che sont andaa vers Villa Simonetta (minga turismo …dal dentista) a me sont spaventaa…ma a l’è el progresso….Me disevi de sora i noster nonni quand hann vist tirà giò i Bastion e fà i viali se saran lamentaa anca lor e inveci a mi a va ben insci perché i hoo mai vist…..e poeu a vo in auto a sont nassuu cont l’auto…e me va ben la circonvallazion….Se sentomm…
a Giulio per quant riguarda la Madonina soo minga se t’el see ma gh’era ona legg, vorsuda del duce, che nissun cà ò alter el podeva vess pussee alt de la Madonina. quand hann faa la Torr Littòria (torr del parch) el Pònti e on alter para de ingenier hann minga faa ben i cunt cont la bas de la torr e per on quai vint ghei la torr l’era pussee alta. quand al Pònti gh’hann daa de fà el Pirelli l’ha vorsuu mett a l’ultim pian on immagina de la Madonina che inscì l’era pussee in alt. Me par de avè leggiuu de ona quai part che voeuren fà inscì anca con quest noeuv ciao
Gentilissimo Tullo, grasie per la nutisia, in stù mument chi sunt’adre a scriv un articul sù la Culumbara-Buldinasc, speri che el te piasa,ciao
se scrivum
Giulio32
Giulio, allora el stava de cà al Passett. Adess gh’hann miss anca ona targa per indicall.Davanti gh’era la settima meraviglia: i macchinett automatich per comprà i bombonitt, ròba de fantascienza. Poeu gh’eren le Cantine Muciaccia ( dòpo gh’hann miss ona “bodega” spagnoeula) e me ricòrdi che quand ballaven in del retro de la bottega gh’eren spess di nani a ballà.Poeu per ballà se podeva andà a l’Azzurrea, in Largh La Fòppa ( se podeva fà contemporaneament anca la sauna…) olter a la Maison del Ruff ex “Mussolini” in Via Ceresio ò la Petite Maison del Ruff ai casei de Via Vòlta. La mia morosa la stava de cà al 81 e l’era anca pussee bella de adess. E ‘sta stòria la ghe piaseva minga a quei de Via Mantegazza e ògni tant me toccava taccà lit. Quella che la diventarà mia sòcera la vendeva i mòbil per la cusina in Cors Garibaldi al 79 Cucine Galli.Poeu gh’era el prestinee Montalbett cont el fioeu on poo salamòtt e el Frontini con i banan de gelato e i pinguin poeu i Cantin Moscatelli con el jubòx e on pigotton che el se moveva tutt e l’aveva faa la pubblicità a la fera Campionaria a on liber per i fioue Slògan: “Pippo perchè ridi? Perché ho letto la danza delle tigri” Poei gh’era la “pelota” cont on “fronton” des vòlt pusse bell de quell del Diana e i pelotares piaseven ona cifra ai tosanett. andaremm avanti ancamò a cuntassela. Tra on para de dì voo a Trieste perché la conossi nò e me disen che l’è ona bella città. Vedaremm .
Tullo, me sunt minga desmentegaa de rispundet, ma sunt’adré a mèt insema
una ricerca (in de la mia memoria) sui butegh del curs Garibaldi da via Puntacc al Moscatelli.
Speri che Trieste la te sia piasuda, mi la cunusi no però me sunt dii: ma el Tullo el gaa un bel curagg a sfidà la Bora in del mes de Mars!!!
A la prossima, ciao
trieste minga domà l’è bella l’è anca netta che numm s’el sognom. e poeu la gente l’è gentila e se te domandet ona informazion te dann a traa e se l’è el cas te compagnen per on tòcch ciao giulio
buongiorno a tutti,
sono arianna, ho 33 anni e da quasi un anno mi sono trasferita nel borgo degli ortolani, esattamente in via piero della francesca, 34.
leggendo i vostri racconti ho pensato che qualcuno potesse conoscere aneddoti relativi alla casa in cui abito. mi è stato detto che è una delle più vecchie della zona e che si chiama ca’ longa….
grazie!
Benvenuta,
noi maturi che abbiamo raccontato le nostre storie, abbiamo ormai abbandonato il Borgo. Rimane sempre nel cuore il ricordo di come era e fa un certo effetto passare da quelle parti e vedere i cambiamenti non del tutto gradevoli che si sono succeduti. I ricordi delle cose belle sono molto piacevoli,
anche se la vita era piuttosto dura, parlo per me, i ricordi dicevo sono dolci perché riguardano l’infanzia e sono oramai tanto lontani da assumere quell’aspetto leggermente flou che maschera se qualcosa di non gradevole c’è stato.
Anche la mia famiglia abitava in una casa di ringhiera, e la privacy di cui tutti ora si riempiono la bocca, era una cosa evanescente; immagino che adesso
le cose siamo completamente cambiate, orari strani, porte blindate, tutti con i servizi in casa, magari con l’ascensore. Non ci si incontra più per le scale per scambiare due chiacchiere o per dare una mano a qualche nonnina per portare la spesa. Adesso una delle poche occasioni di incontro e conoscenza si limita all’assemblea del condominio dove più che conoscersi ci si insulta.
Sono contento che ci sia gente giovane che viene ad abitare da quelle parti,
non conosco la ca’ longa, sarò passato davanti tante volte, ma senza accorgermene. Senz’altro i suoi mattoni avranno vissuto-ascoltato- guardato-compatito- sorriso al cospetto dell’umanità che riempiva la casa, sarebbe bello trovare in un ripostiglio qualche lettera o un registratore che faccia rivivere le tante vicende. Magari a notte fonda, quando finalmente tutti i rumori si sono spenti, ascoltando attentamente, chissà che non si oda qualche sussurro o la voce dolce di una mamma che canta la ninna-nanna.
Di nuovo benvenuta, se troverò qualcosa sulla ca’ longa non mancherò di fartelo avere.
Maurizio
se non sbaglio alla ca’ longa c’era una balera dove andavano tutti al sabato sera negli anni ’20 – ’30 è tutto per il momento magari mi verrà in mente qualcosa d’altro. però ero convinto che la ca’ longa fosse molto prima, non al 34. controllerò con la mia amica che ha il negozio di merceria dopo la via poliziano
Buongiorno Maurizio e Tullo e grazie per le vostre risposte.
In effetti dai racconti di chi abita da più di quarant’anni, nella casa in cui vivo, si percepisce una malinconia legata a ricordi ormai lontani di una casa vissuta come fosse un paese.
Dieci famiglie per ballatoio, un monolocale per ognuna, tre bagni esterni, a piano, da condividere.
Porte aperte, bambini in cortile, panni stesi.
Di sicuro le cose sono cambiate.
I monolocali sono diventati trilocali, pur dovendo contenere con molta probabilità meno persone, le famiglie ridotte e tutte coi propri servizi in casa.
Ma qualcosa di magico credo sia rimasto nel tempo..un’aria diversa si respira una volta superato il cancello ed entrati nel lungo cortile della, se così si chiama, ca’ longa, per lo meno questa è la sensazione che ho provato la prima volta e che continuo a provare tutti i giorni.
Si dimenticano i rumori delle macchine e si incontrano persone.
Qualcuno stende i panni appena stesi, inebriando l’aria del profumo del bucato appena fatto, qualcun’altro innaffia i fiori o più semplicemente scambia due chiacchiere.
E’ vero, le porte sono ormai per lo più blindate, ma spesso restano aperte, i bambini giocano ancora in cortile.
E sempre nel cortile tutti i condomini, o quasi, si ritrovano, una volta l’anno, esattamente la prima domenica di ottobre, per mangiare e fare festa tutti insieme.
Se piove ed hai i panni stesi, ma non ci sei, con molte probabilità, qualcuno li raccoglierà per te, così come ti bagnerà i fuori durante l’estate.
Per quanto riguarda la privacy invece, non è proprio di casa, o meglio, se uno la cerca, difficilmente la troverà in una casa di ringhiera, come quella di cui parlo.
Tutto questo per dire che i muri custodiranno di sicuro incredibili segreti e racconti, e chissà quante ne hanno viste e sentite, spesso me lo chiedo e mi diverto con la fantasia, ma forse non tutto è poi così cambiato.
Io di certo farò del mio meglio perchè venga conservata una casa che reputo un tesoro per la nostra città.
Sperando di risentirvi, grazie ancora
Arianna
brava arianna sono felice di leggere che esistono ancora persone così dolci e sensibili come te speriamo che la memoria della nostra amata città si conservi almeno un poco
Buongiorno a tutti mi sono appena registrata ,mio papa’abitava in via Bramante al 6 dal 1936 fino all’inizio della guerra e aveva tanti amici che presto cerchero’.
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il 13 ottobre alle ore 15.30 presso il CAM di Corso Garibaldi 23 presenteremo un dialogo dal titolo “Vecchi? No, rodati!” con traduzioni in milanese tratte dal De senectute di Cicerone. ingresso libero
7 dicembre sant’Ambrogio 2012 alle ore 10 presso la Sala Merini Via Vitt. Veneto ci sarà una rappresentazione di un celebre atto unico di Cechov tradotto in milanese: “Tragich nonostant lu” ingresso libero siete tutti invitati da Tullo Montanari Fabrizio Corsini e l’Antiga Credenza de sant Ambroeus.
se vedom
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Ecco la storia della mia terra : certe volte si pensa che la propria terra non possa mai essere una città , spesso i montanari o chi viene da fuori pensa che la terra sia solo la loro identificata con zone meno urbanizzate e che non possa mai essere una città: questa storia si snoda nella notte dei tempi e in via peschiera c’era un bosco, noi siamo eredi di quel l’antico borgo dove i eremiti e forse anche druidi prima e santi poi si riunivano a meditare..
Arrivo forse tardi, ma aggiungo i miei complimenti al signor Montanari per il gustoso libro sul Borgo degli Ortolani che ho appena letto… avrei anche una domanda, relativa a quanto scritto a pagina 92 sull’osteria Stella, all’angolo tra via Paolo Sarpi e via Aleardi, ma non so se il signor Montanari legga ancora questa pagina…
Andrea
certo che mi ricordo di te anche se a causa del tempo che passa e segna il cervello può darsi ti confonda con altri ho giocato anch’io nei Leprotti ma ero un broccaccio con poca voglia però mia zia mi aveva fatto una splendida divisa. mi ricordo l’amico che ha iniziato a fare giocare tutti e che sapeva le regole almeno all’inizio. ti ricordi del Lupo Ghezzi? giocava anche lui. come ricevitore ed ero andato con lui da brigatti a comperare un guanto e ho scelto un guanto da prima base perchè era quello che costava meno. il pierino ling vive sul lago
mi faccia la domanda se ricordo qualcosa glielo comunicherò
sono riuscito a trovare quella benedetta immagine, è il caso di dirlo, della Madonna del borgo degli ortolani che in un post di qualche tempo fa avevo promesso di mandare quando l’avessi ritrovata tra le mie scartoffie.
Solo che non sono capace di inserirla …
Perdona la mia insipienza tecnologica.
Se mi spieghi come si fa ve la mando così vediamo se qualcuno mi sa dire se e dove stava.
Grazie
Alvaro Cavenaghi
un quadro con la “Madonna di sfrosador” che si trovava circa sulla attuale piazza Lega Lombarda è attualmente alla Santissima Trinità
non so se si tratta dell’opera da cui è stata tratta l’immagine di cui si parla
Avendo tenacemente Milano sullo sfondo.
Non si può, né si consiglia, di stare per prolungati tempi con le chiappe, natiche gluteiche, accorpate con qualche scrannaccia mezzo sgangherata o adagiate su tenere poltrone invitanti alla poltroneria. È dannoso per la salute, sostengono i medici. Dottori proclamati e ufficialmente laureati. Alcuni, pochi, ma ci sono, con lode. Bene o male. Anda, anda, dislocarsi dai locali e istradarsi sulle strade. Muoversi, così appaiono subito, nel mio caso e in altri simili, davanti all’occhio smaliziato o addestrato, cinesi a strati, cinesoni a nembi o cumuli, cinesini a cirri, qualche barbone clochard tuttora imbambolato dalla recente nottata trascorsa in combutta con rossiccio inscatolato, magari sopportando un’acquerugiola discreta che lascia al secco, o quasi, quelli che occupano un ridotto antro approssimativamente riparatore e umetta invece i meno accorti. Attualmente non è stagione di abbronzati, al massimo qualche lampadista due, forse tre o, chissà, solo un indiano vaquero suburbano di pelle sfumata. Giriamo, svoltiamo. curviamo e alcune cose di intellettualmente stimolante scopriremo. Piacevole occhieggiare uno spazio dove si sgambettano danze modulate da soste ben scandite: un-due-tre, un-due-tre, con lenti, seducenti, giri di tanghi per vagheggiare notti argentine, un tempo passate in accoglienti postriboli casini, illuminate abbastanza lividamente, a media luz, e irrorate da musiche che si captano a spicchi, cercando di riunirle: “Non pianger più Argentina, tu che hai la mandria bovina…”, “Adios muchacho compañero de mi vida…”. E “La Paloma”? Straordinaria, meravigliosa storia candidamente ammaliante. Non trattasi di tango bensì di habanera, musica scritta a La Habana da Sebastian Iradier: “…tratala con cariño que es mi persona – quentale tus amores bien de mi vida – Coronola de fflores que es cosa mia… “. “Cosa mia”, in italiano ambiguo, suona poco bene ricordando “cosa nostra”, modo di dire sconosciuto sicuramente a Iradier. Amabile eseguirla con ricercate movenze sincronizzate in porticati davanti alla Borsa e al dito prepotente di Cattelan che, mancando le dita coabitanti nella mano, annulla l’oscenità pur sottintendendola. I semoventi accoppiati vorrebbero riecheggiare Buenos Aires, non corso come Napoleone ma Boca, anche se non Junior.
Al momento si riflette sull’opportunità di raffronti e confronti per non fare la faticata di allineare diligentemente interpretazioni, delucidazioni e parafrasi fingendo di dare per scontata la conoscenza del lettore il quale con certezza ricorda l’Orecchio di Dioniso, non solo, ma anche la Grotta dei cordari. Qualora servisse un momento parallelo vicino agli specchi ustori. Non si sa mai. Si potrebbe comunque abbinarlo al noto personaggio minore disneyano, minore sicuro, però colmo di sapienze pitagoriche. Ah, un’inezia. Ho acquistato una serie di diapositive di Siracusa e vi ho trovato una “Grotta dei codardi” in sostituzione di quella più nota dei “cordari. Refuso. Anche simpatico. Negli ottimi ristoranti di Ortigia, gentili camerieri che s’autodefinivano chef de rang, chiedevano a me se andava bene l’alimento che stavano per somministrare a mia moglie. Ognuno ha le proprie abitudini, va bene, però è passato molto tempo e può darsi che pure le consuetudini locali siano mutate.
I paragoni nostrani e caserecci sono, per il mio strapazzato ego, piuttosto umilianti. Lo scrivente abituale, navigato, quello giusto, quello che può rapportare il proprio ambiente con quanto conosce di mondo perché l’ha visitato, estrae dall’encefalo territori sbalorditivi distribuiti su tutto il pianeta mentre, il tapinello indigeno, può parametrare siti siti a chilometraggi moderati, molto contenuti, dalla radice operativa. Sarebbe voler paragonare il laghetto dei tranvieri, se preferite chiamatelo Redecesio, quasi re dei cessi, con il lago Baikal che devo andare a controllare su internet dove esattamente si trova. Tanto per saperlo. Si potrebbe barare cercando di ricordare qualcosa di quello che il duo Angela propone con dovizia di gustosi particolari. Luoghi splendidi, misteriosi che mai potrò visitare. Homo sine pecunia imago…
Una piazza Sempione offre l’arco della pace, della vittoria, del Sempione medesimo, di Napoleone numero uno, essendo teoricamente in asse con les triomphes parigini e allora devi riflettere sulla lungimiranza del Cagnola, architetto Luigi, egregio, che, avvisando le probabili mutazioni dei vertici, indica ai lapicidi di agghindare gli eroi marmorei con toghe nobilmente alla romana, attribuibili a Francia o Austria o Spagna o Nuova Zelanda senza nemmeno rivoluzionare le didascalie, modificate e adattate al caso, dalla magniloquenza di autentici giocolieri delle locuzioni. I cavalli di tenebroso bronzo, privi di briglie intralcianti, appaiono pronti per spiccare voli pegasei inarcandosi nei cieli in libertà e abbandonando al loro malinconico destino le bighe. Mostrano froge roride di bava, forse livore equino di cavalli ippocondriaci che pensano, durante il volo, di schiantarsi sulla rizzata che incornicia a terra l’arco, con frastuono di ferragliame disturbante i barboni clochard che avvolti in luride coperte, giacciono al parco riparo dei caselli del dazio del parco. Senza pagare dazio. Entrare sfrosando gli occhiuti vigilatori, accompagnando merluzzi, era arduo, se non era il loro uscio, quello degli stoccafissi, che dovevano evitare, scansare, eludere, schivare, scarligando, scivolando, glissando. Au contraire sono transitati indenni, spesso acclamati, coltivatori di cipolle, Napoleoni, curati, fascisti, zuavi, bande di suonatori bellici, vivandiere, re e altri censurabili soggetti.
Se trovi un trovatore non converti la situazione e nemmeno trovi vari tori bensì un tappetino di erbe stenterelle che mascherano in malo modo un campo calpestato, triturato con scarpine imbullonate. Parlare di chi? Lontane memorie ineludibili. Entra, ciabattando, senza difese per le ossa, con i calzerotti lasciati afflosciare morbidamente attorno alle tibie, privilegio che possono sfoggiare pochi grandi campioni, cercando d’estate l’ombra degli spalti per non impregnare di faticato sudore la maglia col numero 11 (la prestigiosa numero 10 è riservata al preferito del mister), che deve presentarsi arida anche dopo i canonici 90 minuti. Più eventuali frattaglie di tempi smarriti durante lo scontro. Anche per non scaldare il cranio che traspare bambinescamente roseo sulla strada dello spelacchiamento chiericale. Nella cattiva stagione, fosse convenientemente lecito, si aggirerebbe nelle zone più asciutte del terreno, brandendo un protettore ombrello dai colori societari. I minuti sono scanditi dalla folla urlatrice, bestemmiatrice, invocatrice, goditrice, con Schadenfreude, sempre reciproco. Sottofondi musicali, nei minuti propizi alla sosta e alla riflessione, inneggiano ai furgoncini delle sorelle Doniselli che si devono usar per tutta la vita, al Brill che di meglio c’è solo il Brill per lustrà i basett e i scarpett, intanto il Cucciolo, che sebbene come motorino è piccolo, batte come un muscolo cardiaco in ordine di marcia. Ah, come è effervescente, la magnesia di san Pellegrino di cui basta solo un cucchiaino… Svettano drappi, bandiere, vessilli, gonfaloni, banderuole, striscioni con iscrizioni inneggianti e réclames di club con supporters aggressivi e fanatici che non si sa in quale fase di mutamento genetico si trovino. Sperando sia evolutiva e non in decomposizione. Un gruppo ha mutuato l’incoraggiamento da una fase temporale derivata dalla “guerra fredda”: “Better dead than redblacks”, “Meglio morti che rossoneri”, al quale rispondono gli avversari con un sarcastico e imperativo: ”Tasii, bigatt…” che tradotto dal locale idioma, allude a un nobile ed eroico biscione visconteo trasformato in vermiciattolo, el bigatt. Nemmeno un nobile bigatt, produttore di serici tessuti. On bigattasc quelchesessia. Il momento esaltante o deprecabile, classica visione opposta del medesimo fatto, accade quando il giudice di gara impone, agitando un dito inquisitore, una sanzione qualche metro fuori dalla linea delimitante l’area avversaria. Arriva lo splendido ciabattante. I suoi adoratori, o ammiratori, trattengono il respiro ipotizzando il successivo godimento estetico. Vorrebbero il silenzio assoluto che si addice ad un evento eccelso. Non si può. C’è chi non si trattiene e urla la sua futura gioia o il prevedibile dispetto che è parte irrinunciabile della gioia stessa. L’uomo agguanta delicatamente la sfera e la colloca su una determinata zolla, che solo lui conosce. Spostandola anche sobriamente di un mezzo dito da dove s’è casualmente adagiata. La guarda, la coccola, accarezzandola, si assicura che non si muova per nessun motivo, fatto che danneggerebbe la perfezione del gesto. Ventata o non ventata le scuse non esistono. Guarda dove si posiziona l’estremo difensore avversario, così, per curiosità, tanto sa che lo uccellerà facile, facile. Facile, facile per lui, s’intende… Retrocede di alcuni passi, pochi, quattro sarebbero i canonici ma talvolta varia, quindi si avvia pacatamente verso la sfera colpendola elegantemente e con forza limitata, usando la parte anteriore interna del piede sinistro. La palla si alza, superando gli avversari che hanno costruito un inutile, ridicolo, saltellante ostacolo. Si innalza ancora un poco, pencola, urta, sbalza, come un aquilone, poi si abbassa infilandosi a pochi centimetri dalla traversa della porta rendendo inutile, anzi impossibile, goffo, il velleitario tentativo del custode della rete. Ciao, ciao bambina. Gli incensatori salmodiano al nuovo ripetuto miracolo. Gli avversari imprecano alla disdetta. Una nuova foglia estinta da iscrivere nel record. E lui trotterella con calma, come fosse un san Michele extra, giorno di traslochi meneghini, verso il centrocampo. Ridacchiandosi addosso sommessamente.
Quando inizia l’estate, anche se il tempo finge di essere primavera, si capisce che è estate ispezionando i calendari, va bene anche quello di Frate Indovino, continuano a sostenere che a Milano fa caldo. Quasi fosse un gran fenomeno essendo una banalità. Si sostiene: un caldo bestia. Quale bestia? Perché c’è una bella differenza tra bestia e bestia. E’ più caldo un pinguino o un leone? Come bestie. Animali. In verità ogni anno è caldo come l’anno prima, con modeste varianti da nemmeno prendere in considerazione. Non è che l’anno passato c’era l’aria condizionata nelle strade. Caldo uguale. Marciapiedi con bitume morbido dove lascia l’impronta il piede. Un deplorevole personaggio, uno di quelli che appaiono alla televisione e in fotografia sui settimanali e quotidiani, ha consigliato di portare i vecchi che soffrono il caldo nei centri commerciali. Veramente li ha chiamati anziani, per far capire che è dalla loro parte, ma non cambia il progetto. Nei centri commerciali l’aria condizionata la regalano, omaggio come il parcheggio dell’auto o l’uso dei luoghi di decenza, quindi è opportuno sfruttare l’occasione. Sai come se la spassano i vecchiotti… Altro che andare a teatro o al cinema o al museo che sono capaci tutti, basta acquistare un biglietto, no, al centro commerciale. Senza predilezioni o favoritismi. Si sceglie un poco a caso poi, con l’esperienza, le scelte sono dettate dalla capacità di attrazione di una catena, intesa non come oggetto metallico ma serie di negozioni. “Cosa c’è all’Esselunga?” “Un’esposizione di albicocche nostrane belle sode.” “Eh, cari miei, il Caprotti ci sa fare… Le sue albicocche sono fenomenali.” “E all’Auchan?” “Una sfilata di branzine greche abbronzate alla francese.” Volendo, indossando i guanti in plastica per motivi igienici non si sa se per le cibarie o gli esseri umani, si può dare una tastatina discreta alle zucche. Conversare con le verze, discutere con le teste d’aglio, scambiare opinioni con i meloni ammetterete che, visti gli interlocutori, non è un granché. Questo si può fare anche senza i regolamentari guanti. Per i mistici si possono organizzare visite ai pesci San Pietro, alle Cappesante, alle arance San Guinelle, alle torte Saint Honorè e al Pane degli Angeli, al divino Vin Santo, all’acque di santa Maria e San Benedetto. Non è finita. Tenendo d’occhio gli occhi delle triglie, si possono provare le scarpe, i cappelli sui capelli se si hanno, gli zoccoli, non le zoccole, e in casi eccezionali, anche abiti interi da uomo, giacca e pantalone o tailleur per donna. Senza fraintendimenti di sesso. Tutto ciò gratuitamente. Gratis et amore… Non volevo dirvelo per discrezione, ma la pensata è stata di un ministro. Un ministro vero, di quelli eletti, non per finta. Non è che uno diventa ministro così, alla cazzo. Ci vuole una bella zucca, restando in argomento agreste. L’età per approfittare della ghiotta occasione l’avrei anch’io, che godimento!, solo che essendo annoso e noioso pezzo da collezione, preferisco prendere un treno, va bene anche un pullman o altro mezzo di trasporto condotto da abili conduttori, facendomi dislocare sulla sponda di qualche lago. Senza particolari desideri, anche se ho una indubbia simpatia per il lago di Como, ramo di Lecco. Varenna, Mandello, Piona, Bellano, Abbadia, Dervio. Anche Lecco. Mi siedo su ospitali panchette, all’ombra, su un lungolago e mi godo il freschetto che arriva sulla faccia alla faccia di quel genio del signor ministro. A ‘sto punto è lontana la piazza del Duomo. Che tutti conoscono. Almeno i milanesi. O, per meglio precisare, credono di conoscerla. C’è la cattedrale, il monumento equestre, la galleria, meglio: la Galleria, il palazzo reale, l’arengario, la Rinascente. Va bene. E poi? Conoscete la seconda chiesa di Piazza Duomo? Quali alberi crescono in piazza? Quante sono le finestre della facciata del Duomo? Perché la Rinascente sembra un participio? Quale è la manica lunga che si contrappone, logicamente, alla manica corta? Quale il monumento che i milanesi antichi dicevano essere dedicato alla brillantina? Sapete tutto? Vuol dire che non solo siete milanesi, anche se foresti è uguale, ma che siete ostinati curiosoni. Vi imbastisco alla meglio quattro rudimentali cognizioni. La seconda chiesa di piazza Duomo è quella dedicata alla Madonna, come la principale: Santa Maria Annunciata in Camposanto e si trova a pochi metri dall’abside della chiesona. Minuscola, circolare, inserita in un imponente palazzo, opera dell’architetto Pestagalli. Il camposanto di cui si parla non dovrebbe alludere a un cimitero, ma essere un luogo “santificato” dalla presenza di scalpellini che vi svolgevano un “lavoro santo”. Chissà se quando si pestavano un dito avevano espressioni sante! Questa è una opinione di alcuni studiosi, altri hanno scelto differenti etimologie e visto che per molto tempo vi è stato un cimitero non mi sembra peregrino l’etimo evidente. Certi la chiamano Santa Maria Relogi a motivo di un orologio (guarda un po’ che fantasia…) che c’era un tempo, sostituito da quello di Giuseppe Vandoni che si trova sulla facciata. Non è necessario conoscere tutte queste ballette, sarebbe già molto sapere che esiste una chiesa in Piazza Duomo oltre a quella dedicata a Santa Maria Nascente. Che sarebbe il Duomo. Con la maiuscola.
Sulla spianata antistante la chiesa, non si può definire sagrato un’area tanto notevole, si erge un monumento dove si ammira la battaglia di Magenta, con Napoleone III, e i leoni ringhianti a difesa dello scudo sabaudo. Il gruppo scultoreo è dedicato a un esemplare della stirpe dei Savoja, nemmeno il peggiore, che appare maestosamente a cavallo. L’opera era conosciuta dal volgo, come “monumento alla brillantina”. Ci si accorge del motivo di tale denominazione, osservando il monumento a una settantina di centimetri dalla base dove siedono a riposarsi le genti. Una striscia di colore più scuro rispetto al resto dei marmi circoscrive l’opera. Decorazione originata dall’unto rilasciato dai capelli dei visitatori assisi. Quando la brillantina era di moda, il fregio era addirittura luccicante, brillante, ci si rifletteva il sole.
Essendo il nucleo del primitivo villaggio celtico, in questa piazza è successo tutto. Consideriamo solo i tempi relativamente recenti. Napoleone, il grande Napoleone non altri, nel maggio del 1805, ha sempre avuto attenzione per i maggi, anche se l’ultimo gli sarà fatale, aveva stabilito che una chiesona tanto imponente, in costruzione da centinaia d’anni, non poteva essere priva della facciata. Diamine, i lavori vanno conclusi. Ordina che sia completata almeno esternamente, anche se successivamente si dovrà costatare che la buona volontà non basta. Infatti, per fabbricare le porte ci vorranno ancora molti anni. Il progetto è affidato all’architetto Pollack, in seguito elaborato da Zanoia e Amati. Per la spesa nessuna preoccupazione: i soldi necessari li avrebbe procurati lui. Il Grande: “Ghe pensi mì…” Bastava che i milanesi li anticipassero poi il rimborso sarebbe stato problema irrilevante. Sì, ciao belli, li aspettano ancora adesso che sono passati duecento anni. Nel medesimo 1805, Giuseppe Pistocchi presenta un progetto per determinare, definire, la Piazza. Aveva immaginato una colonna in mezzo allo spiazzo e la casa del comune a fronteggiare la chiesona. A lato due archi di trionfo che non guastano mai. I trionfi sono i trionfi. Non piacque. Seguì il progetto di Giulio Beccaria nel 1839. Non gradito. Nel 1862 è indetto un concorso che risulta senza vincitore. L’anno appresso altro concorso e viene scelto quello di Mengoni approvato nel 1864 e nel 1867 si inaugura la Galleria. Tempi veramente rapidi. Tra il 1874 e il 1875 la piazza è conclusa con i portici meridionali e settentrionali. Nel 1875 demoliscono il Rebecchino, un isolato di case che si trovava nella piazza accanto a dove attualmente inizia Via Torino. Nel 1876 applicano il piano Beruto per quanto riguarda la zona dove sorgeranno gli arengari e nel 1877 la piazza è illuminata con la luce elettrica.
L’accoppiata degli arengari che si vedono quali accesso a Piazza Diaz, alla destra del Duomo, non funziona benissimo. No, direi di no. Il Beruto, architetto da piani regolatori, osservando la piazzetta reale tutta sghemba, pensa di costruire una “Loggia reale” demolendo un fianco del palazzo del re in modo di accorciare una “manica”, visto che non c’era lo spazio di prolungare l’altra. A meno di buttare giù una mezza fiancata della basilica. Ma non sembrava opportuno. In particolare alla Diocesi. Di conseguenza il progetto rimane in carta. Una sessantina di anni dopo, nel 1939, in attesa della guerra, tanto per occupare il tempo, gli architetti di regime: Portaluppi, Magistretti, Griffini e Muzio si mettono assieme per pensare e fare erigere, traendone anche lauti compensi, quei due scatoloni che i bombardamenti, non avendo usato bombe intelligenti, non ancora inventate, si accontentavano di bombe pirlotte, hanno risparmiato.
(segue)
tullo montanari
Continua Tullo!!!
Spero di ritornare tra poco nella “compagnia”!
Un abbraccio, Giulio 32
ciao giulio vorrei continuare ma ho paura di annoiare
Sono stato lontano da Vecchia Milano ma senza colpe.Ci sono novità di carattere “giubilare” sulla vecchia chiesina della Colombara.A presto!Giulio 32 Continua Tullo!!!
Date: Sun, 8 Mar 2015 00:26:49 +0000 To: giulio.sozzi@hotmail.it
Meglio un giorno non festivo, se si può.
Per visitare a Milano il castello dei Visconti e degli Sforza dimorato, successivamente a loro, da chi ha occupato temporaneamente, per secoli, la città: spagnoli, francesi, austriaci, tedeschi. Prendendoci molte cose, lasciandocene alcune. Sicuramente non aggiungendocene delle loro.
Vanno bene quei giorni anonimi che dicono qualcosa soltanto a chi compie gli anni o si sposa. A pochi altri. Per esempio un mercoledì, tempo instabile, a metà mese, è adeguato.
Nei giorni festivi, oltre ai turisti foresti, ci sono in visita milanesi e lombardi del contado che proprio foresti non si possono considerare.
Evitarli è una faccenda di opportunità, di spazi meglio fruibili quando significa potere esaminare ciò che interessa senza che qualcuno, senza volere, oppure infischiandosene, vi impalli rispetto a quanto vorreste scoprire.
Vero che, in particolare quando arriva la primavera, di solito al mattino, anche al mercoldì, girandolano fastidiose scolaresche, di età pubermente variabile, interessate a quanto esposto come un salmone selvatico è attratto da una conferenza sulla morte del congiuntivo. Nonostante qualche ciclico rude urlaccio dei custodi che non li intimorisce, i cari educandi si comportano come sfrontati animali da cortile in libera circolazione.
Non andateci con l’auto: non esistono parcheggi e rischiate anche una multa per via dell’operazione che dovrebbe garantire la nostra salute: la zona vergine dalle polveri sottili, aggirabile col pagamento dell’Ecopass. Ci sono fermate di bus, metro, tram. Oltre ai taxi e le gialle biciclette pubbliche che si possono noleggiare per un solo giorno. Basta organizzarsi un minimo, non è che si possa pretendere tutto a misura di bocca.
Il mattonesco fortilizio è stato fatto edificare inizialmente da Galeazzo II Visconti tra il 1358 e il 1368 su un’area accanto alle mura prospicenti un portale detto di Porta Giovia. Poi ha avuto rielaborazioni e traversie edili notevoli.
Quando si entra da Piazza Castello, passaggio sotto la torre detta del Filarete, (Antonio Averulino detto il, autore dell’opra iniziale) dando un’occhiata verso l’alto, nemmeno tanto indagatrice, si rileva un bassorilievo dedicato a Umberto I, evidentemente estrosa creazione del ruffianesco rifacimento. Sì, il Savoiardo, non inteso come biscotto bensì come originario della zona omonima. Quello che si faceva chiamare “re buono”. Bon per i cai. Proprio lui, quello steccato a Monza nel 1900 mentre era scarrozzato tra gli applausi, dall’anarchico Gaetano Bresci, quale adeguato premio per avere invitato il generale Bava Beccaris a prendere a cannonate i milanesi che chiedevano di potere mettere giornalmente sotto i denti qualcosa di commestibile. Davvero due belle persone, il re e il Bava. Cosa c’entra il re d’Italia con il Castello? Aveva sponsorizzato il restauro. Con i quattrini dei contribuenti, intendiamoci, nemmeno dirlo.
I Savoia sono una schiatta tanto sagace che per capire come sarebbe apparsa la torre centrale (in teoria si sarebbe voluta chiamare “Torre Umberto I”, sempre per il ruffianesco rifacimento), hanno dovuto innalzare un simulacro in legno, nel 1894, a grandezza reale. Sì, rapporto 1:1 per far intuire al geniale monarca come si sarebbe presentato il paesaggio con la futura torre. L’immaginazione uno non se la può dare, come non poteva darsi coraggio il parroco manzoniano di Pescarenico.
Qualche notarella sui ristrutturi più recenti. Premesso che quel poco che s’è salvato è stato quasi per caso, perché un progetto speculativo prevedeva un quartiere da scioretti nel parco, attraversato da vie che congiungevano l’area delle abitazioni (con abbattimento degli inutili ruderi castellani e occupazione della, un tempo, Piazza d’Armi) con il Corso Sempione, quindi, in lunga, lunga prospettiva, l’inizio d’una strada per Parigi, destinazione terminale Arc de Triomphe.
S’è iniziato con un risanamento più che notevole, in sostanza un rifacimento globale.
Il progetto è stato voluto, sostenuto e realizzato in modo determinante dal tenace architetto Luca Beltrami.
I lavori sono durati circa venti anni, a partire dal 1893. Poi si sono realizzati altri ripristini iniziati nel 1954 dallo studio di architettura BBPR, per rimediare ai danni provocati da bombardamenti aerei durante la guerra 1939-1945 e da pasticci restauratori degli anni ‘20. E gli ultimi lavori per rendere fruibile al meglio delle possibilità il complesso, progettati nel 1994, sono terminati ma destinati ad altra mutazione che lo renda almeno simile ad altri luoghi analoghi che si trovano in altri paesi, meno dotati di bellezze architettoniche o genericamente artistiche, ma più dotati di sensatezza gestionale.
I turisti penso non immaginino di visitare qualcosa di simile a Disneyland. Se preferite Gardaland, va bene ugualmente. Ad esempio l’unica finestra autentica, modello principe dal quale sono state tratte tutte le altre modanature in cotto, è quella che si scopre entrando dalla porta del Barcho, ossia dal Parco Sempione, “Piazza del cannone” – anche se il bronzeo cannone non c’è più – sotto il piano terreno a sinistra, dove si trova una gorgogliante fontanella.
Gli escursionisti giapponesi, anche loro gentilmente gorgoglianti o pigolanti, così sembrano al nostro disavvezzo udito a tali suoni, sono accompagnati da una guida, inalberante un ombrelletto o bandierina di riconoscimento. Tale soggetto, di solito una donna, giapponese, si esprime in lingua giapponese. Non mi sembra gran scoperta. Meno normale che tale guida debba avere al fianco una scorta italiana autorizzata a farla parlare. La guida italiana, non conoscendo l’eloquio nipponico, non mette becco nelle spiegazioni, però è presente per obbligo regolamentare. La consorteria dell’accompagno, organismo di origine medioevale mai abbandonato, al pari dell’albo dei giornalisti, delle varie corporazioni degli avvocati, dei notai, delle levatrici, dei tabaccai, dei farmacisti, dei tassisti e di chissà quante altre, ha ottenuto nella patria del diritto che le uniche persone abilitate a raccontare la storia di Milano ai visitatori, siano loro: le guide autorizzate. O almeno seguano i turisti, pur senza spiccicare vocabolo. L’importante è che siano remunerate.
Che conoscano profondamente la storia di Milano è un argomento controverso che non si può affrontare in questo brano.
Non importano tali faccende, al Castello vale la pena di andarci. Anzi: ci si deve andare. Vi assicuro che è una bella esperienza in ogni stagione. In inverno, con la neve, la vista verso il Parco Sempione dai finestroni delle sale espositive, è particolarmente affascinante. Ma non è male nemmeno in altri momenti, con tempo bello, brutto, variabile.
Si possono visitare, oltre le varie esposizioni, i camminamenti sotterranei, le merlature, una delle due torri laterali e altre strutture rimesse in sesto da qualche anno.
Potete anche fare conoscenza con i gatti castellani. Sono distribuiti e organizzati in più gruppi, sia all’interno del fossato nel primo cortile (Cortile delle milizie), sia nella cerchia del fossato esterno e una ritrosa minuscola colonia si trova nel cortile bramantesco. Abbastanza pasciuti e con ricoveri per i giorni dal termometro in negativo. Non vi venga in mente di offrire loro leccornie. A parte che non si avvicinano, la circospezione felina è proverbiale, la seccatura è se vi becca qualche loro paladina. Sono dispiaceri. Saranno male parole e inviti a informarvi sulla situazione gattesca del castello, completamente sotto controllo e senza necessità di volontari sgraditi. Per giunta impreparati. Bastano loro, autorizzate e preparate, che hanno già problemi nel contendersi gli ambiti felinazzi. Forse, anche in questo caso, si tratta d’una consorteria. Di umani, non di felini.
In questo limitato contesto non si possono descrivere dettagliatamente i pregevolissimi contenuti dell’edificio, solo darvene un’ idea.
Con qualche euro vi vendono un catalogo che, a meno non siate particolarmente acribici, può bastare. Se non badate alla spesa, potete acquistare testi più che appaganti anche se alquanto voluminosi, quindi difficilmente maneggiabili sia durante la visita, sia durante notturne immaginarie escursioni.
L’opera maggiormente conosciuta custodita nel Castello è la scultura di Michelangelo detta “Pietà Rondanini”, splendida “deposizione” nella tradizione cristiana, del Redentore. Si tratta dell’impegno cui stava lavorando quando l’artista è deceduto. S’è aperto un dibattito (che mi appare non indispensabile…) per decidere se l’opera non è stata ultimata per ovvi motivi o se è stata una scelta del grande maestro. Gli studiosi non hanno ancora deciso unanimemente. La collocazione è nuova e non può essere peggiore della precedente, lo spazio in cui è stata posta, piuttosto esiguo, non la valorizza anche se in realtà non occorre niente per aumentarne il fascino.
Una visita al Castello Sforzesco meriterebbe una dedica del tempo che abbiamo a disposizione per i nostri trastulli, anche se l’unica opera esposta fosse la “Pietà”. Non è così.
Nell’area del castello si trovano: il Museo d’arte antica; la Civica biblioteca d’arte; la Raccolta di Stampe Achille Bertarelli; la Pinacoteca; il Museo degli strumenti musicali; il Museo Archeologico; la Biblioteca trivulziana; il Gabinetto Numismatico; una Collezione di armi e armature antiche; una Raccolta di mobili antichi dal XV al XVIII secolo; la Raccolta di Arti applicate. Non robetta qualsiasi ma capolavori. Qualche esempio? Si può ammirare il Monumento funebre di Bernabò Visconti di Bonino da Campione. Si vedono violini di Stradivari, Amati, Guarneri. Un Cristo in legno che sembra scolpito ieri e invece è una antica meraviglia. Una Madonna del Mantegna e una di Filippino Lippi. Ferri, ceramiche, avori, smalti. Enormi, splendidi arazzi nella Sala della Balla. Vedute veneziane di Guardi e Canaletto. I fregi che si trovavano sulla Porta Romana con sculture narranti storici momenti della vita cittadina. Milioni di pezzi tra stampe, carte geografiche, foglietti, manifesti. Il gonfalone della città di Milano, enorme arazzo con sant’Ambrogio. Libri introvabili altrove riguardanti arte visiva, musica, televisione, teatro, moda, tradizioni. Capite che anche un elenco sommario è impossibile da sintetizzare decentemente. Fate una cosa saggia: andate a visitarlo e se ci siete già stati tornateci, perché sicuramente avete trascurato qualcosa di importante. In questo modo avrete la possibilità di godere del sottile piacere di una scoperta. E come tutte le scoperte, logicamente nuova.
(segue)
Caro Tullo, lei è un grande.
Io con i miei amici ho visitato più volte il castello quando eravamo giovani e non avevamo altri impegni.
Spesso alla domenica mattina andavamo a piedi al castello attraversando il parco. Erano visite piuttosto frettolose e un po’ generiche, forse proprio per l’età non avevamo la preparazione e la cultura per godere di quello che osservavamo.
Poi altri impegni sono subentrati e le visite a Milano in generale e al castello in particolare sono diventate molto rare.
Ormai i figli non li posso più portare a spasso, proverò con le nipoti, durante la visita al Duomo un certo entusiasmo l’hanno manifestato, sperem.
Alla prossima e tanti auguri per Pasqua e per tutto il resto.
grazie per l’incoraggiamento cercherò di continuare il racconto della nostra meravigliosa città
un racconto premiato a erba
Lo stivale di NapoleoneL
‘indirizzo me l’ha passato il Gianni “Cagnino”. Chi a Milano, Porta Volta, non conosce il Gianni, la sua forza poderosa, l’incredibile capacità di ingurgitare cibo a dismisura e la mania per cagnoni e cagnetti? Ha spesso in braccio un barboncino bianco, barboncino per modo di dire, sarà un meticcio a dir poco, e quando incrocia qualche cane, grande o piccolo non importa, lascia la sua bestiolina, afferra il cane passante, lo bacia sul naso, parlandogli, e qualche volta lo mordicchia facendolo guaire. Conosce tutti. Cani e padroni. I cani lo evitano terrorizzati a motivo dei morsi e i padroni pure, per evitare eventuali liti con un tipo dall’aspetto pericoloso.
Conosce tutti. Quelli del giro e quelli regolari. Lasciamo perdere i regolari che tutti possono trovare sulle Pagine Gialle. Lui conosce nel giro chi ha merce da vendere; quelli che vogliono comperare; quelli in bolletta sparata che prima o poi venderanno, anzi più prima che dopo; quelli che non ne possono proprio più e vendono a qualsiasi prezzo, avranno pure i loro motivi. Conosce anche quelli che non vogliono vendere, anche se hanno roba interessante perché si ritengono collezionisti. Magari collezionisti è una parola ingombrante, diciamo: raccoglitori, raccoglitori temporanei. In ogni caso anche loro prima o dopo, quando trovano il momento no o quello sì, venderanno per motivi differenti, ma venderanno.
Naturalmente per vendere devono comperare. Quindi comperano e vendono. Si mettessero in regola col fisco, con i permessi, con i divieti, con quanto occorre, potrebbero definirsi commercianti. Solo che non lo fanno. Non possono. Come si può chiedere la fattura a un tizio che arriva con un sacchetto in cui c’è qualcosa che nemmeno conosce avendo una gran premura di collocare la merce? Si prende e basta. Prendono per poco, pochissimo, sperando un giorno o l’altro, di collocare il pezzo ricavandone il ragionevole. E addirittura si ritengono dei benefattori. Comunque sono tenuti in buona considerazione, non ottima ma buona, da chi procura loro la merce. Sono persone di fiducia che mai direbbero, nemmeno a quei ficcanaso di carabinieri, da chi hanno avuto la loro mercanzia.
L’indirizzo che mi ha procurato – il Gianni sa che mi piacciono certi oggetti antichi, non di alto prezzo ma nemmeno paccottiglia – porta a una vietta in Villapizzone, verso la Bovisa, in un cortile sterrato dove si può scovare il capannone.
Magazzino e anche non magazzino. Meglio: sito di raccolta, monastero, negozio, assortimento, pinacoteca, fondaco, ruera, cantina, solaio, scoasseria. Quello che volete, comunque il più emozionante degli insiemi. Il Gianni m’ha spiegato che è proprietà di un tale che racconta quello che vuole sugli oggetti che mostra, avendo il vizio della catasta, condizionato dalle visioni quotidiane d’accozzaglia, d’accumulo, di confusione. Spesso gli oggetti che offre non hanno valore intrinseco, solo valore memorabile, degno di ricordo. Se ne mormora con dispetto trattenuto, tra collezionisti di vari generi, ognuno inseguitore di un proprio amore e spregiatore delle passioni altrui, considerate puerili. C’è chi cerca disperatamente porcellane del ‘700 completamente disinteressato a quelle dell’800. Può sembrare poco credibile ma è così. Anche pochi anni nella data di fabbricazione e l’oggetto, fonte di cupidigia, perde ogni interesse. Lo stesso accade, logicamente in termini invertiti, per chi ama le porcellane dell’800. Faccio questo esempio perché mi è capitato di incrociare due tizi con tali caratteristiche.
Difficile avere la dritta per trovare il posto, perché quelli al corrente dell’ubicazione, si guardano bene dall’indicarla. Del resto la circospezione, chiamiamola pure diffidenza, è un comportamento molto diffuso. Pensate ai malinconici, asociali, maledetti, solitari, braccatori di funghi che segretano le zone dove allignano le famiglie porcine di loro conoscenza, per visitarle periodicamente dopo acqua, sole e luna crescente. Un po’ per cattiveria e altrettanto per cupidigia.
Anche gli stimatori del vino eccelso tengono per sé i fornitori. Tra i pochi che hanno svelato indirizzi precisi, troviamo quel sublime bevitore di Mario Soldati e, in maniera meno rigorosa, Gioan Brera fu Carlo o come diceva lui: Gioanfucarlo. Le loro origini li costringevano a comportarsi con regole differenti. Il bassaiolo Brera riferiva di vini, senza giustificazione, buoni o cattivi, secondo il gusto suo e la sua beva. Il torinese spiegava diligentemente l’uve da cui era stato tratto il nettare e aggiungeva la precisa gradazione alcolica. E non scordava mai, nemmeno una volta, di ficcarci dentro il paragone, quando era appena, appena possibile, con l’adorata Barbera o in alternativa, con altri vini delle sue terre. Non è una critica, sono troppo bravi letterati per avere il diritto di contargliela su. Altri, pur essendo noti quali discreti assaporatori, mentre scrivono di vini, sbarcano spesso a compromessi economici con produttori e commercianti. Certo, che anche per questi è difficoltoso ogni volta aggettivare un vino che ha come unica differenza da quello di un altro produttore, solo l’etichetta. Nemmeno di molto. Allora tirano fuori i profumi di fragola, di nocciola, di fiori, di fragranze ignote ai più ma gira, gira son sempre quelle. Mai che qualcuno si azzardi a paragoni nuovi. Non so, per esempio trovare in un Nebbiolo un lontano profumo di Lexotan o in un Chianti quello di lana bagnata. Mai. Per non parlare dei nobili furbi che a Bolgheri hanno il coraggio di inventarsi un vino, Sassicaia, che vendono a prezzi di Rolex. Un Rolex, una bottiglia. Non voglio dire che i bevitori di tale vino siano dei neofiti parvenues ma andiamo, mi sembrano eccessivi.
Appena suonato il campanello, come intima un cartoncino grigiastro stinto, “Suonare”, si sente un lieve tramestìo e appare un magretto con vajana regolamentare, colore blu droghiere d’antan e occhiali sopra il cranio nudo, stile Pillitteri-Squitieri, che mi interroga: «Si?»
«Il suo indirizzo me l’ha dato il Gianni Cagnino…»
«Ah… e allora cosa el gh’avaria de bisògn?»
«Il Gianni mi ha detto che possiede oggetti interessanti e ogni tanto ne vende qualcuno.»
« El Gianni l’ha ciappaa el vizi… ha preso il vizio di parlare troppo. Si vede che diventa vecchio e nessuno lo ascolta più, l’è la fin di vegg, e allora el cicciara, chiacchiera, con tucc quei che capiten, con chi capita. Ben, ch’el vegna denter… prego.»
Gentile l’uomo, mi ha fatto capire, senza tanti giri di frasi, che il Gianni, per quello che valgo, avrebbe potuto anche risparmiarsi di darmi l’indirizzo.
Entro, trovandomi in uno stanzone molto grande dove gli occhi si perdono a curiosare. Dire che ci sia una qualsiasi forma d’ordine, comunque immaginata, sarebbe una falsità evidente. Probabilmente si tratta di un disordine organizzato o solo apparente. Di solito i confusionari adottano scuse simili per legittimare il casino nelle loro cose.
«Il Gianni mi ha detto che ha dei pezzi notevoli signor… Pinin, il Gianni mi ha detto che el se ciama Pinin.»
«Sì, va bene, mi chiami pure Pinin come tutti, anca se me ciami Giusepp, Pinin perché son restaa piccol. La mia, anzi la nostra raccolta – ho un mezzo socio, el Lisander, on po’ on lacciòt, bonaccione, ma onest – è composta, come el dis lu, da “notevoli pezzi”, tutta buona, anche quelli che sembrano pezzetti. E quando paiono oggetti di poco o nessun valore, aspetti, calma, perché magari si scopre una realtà differente. Ecco dov’è il bello di chi cerca davvero. Troppo comodo andare dall’antiquario che ha già fatto tutto: ricerche, analisi e gabole. Hinn bon tucc… l’è come andà in del cervellee: on etto di giambone crudo, affettato bellalto; un pezzetto di gorgonzola di quello con la gotta; una fetta di mortadella di fegato e vai che vai bene, così con un paio di michette e una bottiglietta giusta di Bonarda, il pranzo è pronto. E no, cari miei, non è un pranzo ma on quaicòss, un qualche cosa per stoppare il buco dello stomaco. Un pranzo è un’altra cosa.»
Mi avvicino a un tavolone centrale dove c’è appoggiato ogni bendidio. Libri, orologi, vasi in ceramica e cristallo, bicchieri in vetro e in peltro, zuppiere, cornici e relative antiche fotografie, scatole in legno dall’aspetto misterioso, burattini in legno, sciarpe, fiori finti, giornali illustrati e altri oggetti che sarebbe ozioso descrivere. C’è un poco di polvere su tutto, ma nemmeno tanta. Ho visto di peggio in case dove non si fanno raccolte d’oggetti.
Oltre al robusto tavolone centrale, si possono vedere allineati contro le pareti molti scaffali in metallo – di quelli brutti anche quando sono in mostra all’Ikea, figuratevi qui – colmi di articoli, spesso impacchettati in carta marroncina con cordoncino o nastro adesivo, recanti descrizioni del contenuto: « 5 bicchieri metà ottocento», « collana in vetro colorato senza fermaglio», «orologio da muro da riparare» e spiegazioni simili. Alcuni involucri hanno un cartellino criptico, altri esibiscono una scritta precisa, pennarellata direttamente sulla carta da pacchi.
L’occhio mi cade su uno stivale in pelle chiara, del colore che le sciorette chiamano confidenzialmente bejolino – derivandolo da beige, mentre si dovrebbe dire “color terra di Siena chiaro” – appoggiato su un ripiano di uno scaffale. Il bordo alto della calzatura, di otto o dieci centimetri, è marrone scuro. Mi sembra ben confezionato, con cuciture impeccabili, non è che me ne intendo molto ma si tratta di un oggetto che certamente ha richiesto l’opera di un ottimo artigiano.
Allungo una mano sollevandolo per poterlo toccare meglio: morbido, liscio, flessibile e cerco il suo compagno in zona limitrofa. Non c’è o non lo vedo.
Il Pinin mi guarda un po’ serio, si vede che non vuole che si pasticci lo stivale, perché tutte le mani, anche le più pulite, lasciano untume. Avevo un amico padrone di due cagnoni, due grossi pastori bergamaschi, grigi nerastri, Vodka e Maraschino, che non erano mai stati lavati, immaginatevi se erano stati tosati, e non solo avevano l’aspetto di cani sporchi, lo erano. Quando qualcuno li accarezzava il mio amico gentilmente avvertiva di non toccarli per via dello sporco. L’accarezzatore diceva, compiaciuto, che non aveva timore di sporcarsi allora il mio amico, sempre con grande cortesia, spiegava che la sua preoccupazione non era per le sue mani ma per i cani che potevano essere insozzati. Di solito lo guardavano sbalorditi, non capendo al volo la situazione.
«Questo stivale si vede che è ben costruito…»
«Facile sostenerlo. É stato confezionato da uno dei migliori calzolai che siano vissuti a Milano.»
«Così, tenete come memoria storica, uno stivale creato da un grande artigiano. Giusto. Fate bene.»
«Sarebbe troppo poco uno stivale bello e basta. Non siamo la Confartigianato che organizza un’esposizione di stivali fatti a regola d’arte per dimostrare che c’è ancora gente che sa usare le mani collegandole al cervello. Per loro può funzionare ma per noi… »
«Forza, non mi faccia rimanere sulle punte. M’illumini di immenso…»
«Se fa il perspicace, il sapiente, l’ironico, il colto, l’ungarettiano, smetto subito e auf wiedersehen.»
«Per cortesia, non sia permaloso, non mi sembra il caso, è una battutina, oh la malora, dai che roba, che carattere… lasci perdere, mi spieghi la faccenda…»
«Va bene, facciamo finta di niente. Le suggerisce qualcosa Anselmo Ronchetti, abitante prima alla Cinque Vie poi in Via della Cerva, vicino a una bottega di falegname, nato nel 1773 in quel di Pogliano, triste landa della bassa, ovvero milanese arioso o bosino? Con meritata fama di ingravidatore. La povera moglie, Teresa Gambardelli – nom de plume, Madame Lapin o pen-name, Mistress Rabbit, secondo parlata – fa lavorare la levatrice per venticinque volte. Pare avesse una “carta fedeltà” con notevoli sconti, come ai supermercati.»
«Qualcosa so anch’io, l’è nò che vegni giò del per…. Ronchetti era un celebre calzolaio, di cui parla anche il Porta in una poesia nella quale sostiene che è tanto bravo quanto mancatore di parola perché…»
«Sì, va bene, va bene, non si espanda. El scior Ronchett, era famoso per gli stivaletti che chiamavano “Ronchettin”, dotati di striscia di tessuto elastico sui lati, per calzarli con minor fatica. Era amico o conoscente di poeti, artisti, personaggi importanti a livello mondiale, non robetta da niente, nani e ballerine. Ha incontrato lo zar di Russia e lord Byron. Altro che le conoscenze di Armani o Missoni o del duo Dolce e Gabbana che gente di quel livello se la sognano anche di giorno, dovendosi accontentare alle inaugurazioni della presenza di qualche attricetta magari un po’ frusta, irrorata di rughette, con un lessico indecoroso e di un paio di intellettualini, mezzo avariati, praticament di vanzausc. Ha incontrato Henry Beyle – che sarebbe Stendhal, milanais, come dice l’epigrafe cimiteriale parigina – Tommaso Grossi, Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, Pietro Verri, il pittore Francesco Hayez, quello malmesso e malfatto in piazzetta Brera, perché impacciato dalla tavolozza che lo scultore Francesco Barzaghi gli ha ficcato genialmente in mano. Pensare che il Barzaghi era uno del mestiere e queste cose avrebbe dovuto conoscerle. Però c’è la committenza di mezzo che deve essere soddisfatta. La committenza ha condizionato l’arte visiva nel bene e nel male. Nel bene, perché ha costretto gli artisti a adeguarsi alle richieste quindi a darsi una disciplina, nel male perché le sono stati posti paletti. É arrivato in bottega del Ronchetti perfino quel grass de ròst del contino Giacomino Leopardi, acquirente mai soddisfatto e fior di prepotente. Gran poeta, vero, profondo, basti pensare a: L’infinito, La sera del dì di festa, Il sabato del villaggio, A Silvia, roba di prima, poesie di enorme sensibilità, immagini da spirito superiore – opere magari un tantino menagramoidi – ma raccontano che nel quotidiano il poeta fosse un rinomato rompicoglioni. I “Ronchettin”, in milanese, al plurale, dovrebbero fare “Ronchettitt”, secondo regola, e si tratta probabilmente di un’eccezione. Un paio, pur significando “due” è singolare e gli stivali si vendono, quasi sempre, al paio. Come i guanti, le calze, le ciabatte, gli orecchini, le manette, gli occhiali, i tappi per le orecchie, le ginocchiere per i portieri di calcio, non tenendo conto dei diversamente abili che hanno assenze o esuberanze compositive corporali. Dall’esagerazione del Colleoni, alla carenza del Nelson, dal Gambadilegno al Muzio Scevola, all’orbo veggente, orbo certo, sdentato sicuramente, veggente chi sa… Non divaghiamo. Divaghiamo? No, non divaghiamo, altrimenti vengono fuori, oltre la menata dei diversamente abili, quelle degli operatori ecologici, dei non udenti, dei videolesi e via frescheggiando.»
«Dice tutto lei!»
«Normale che parli io, altrimenti lei sarebbe al mio posto e io al suo. In ogni modo, ecco il fatto. Quando Napoleone Bonaparte, nel radioso maggio… no, anche questa è una storia, da chiarire, non facciamo confusione con i maggi. Il maggio non è stato sempre benigno con Napoleone. E non solo con Napoleone. Nefasto, disastroso giorno per il Bonaparte come per l’Inter. Napoleone: 5 maggio 1821, trapassa. Inter: 5 maggio 2002, Lazio-Inter 4 a 2. Quel maledetto Carneade Karel Poborsky, cecoslovacco del tubo, due reti in una sola partita ed è sfumato un campionato già vinto in carrozza. Uno sciagurato individuo, notorio broccaccio, che in 118 partite durante la carriera ha segnato otto gol. Ci rendiamo conto? Otto gol in 118 partite e due gol all’Inter in ventisei minuti. 0,06 la media gol del disgraziato. Meno di un portiere. Quando mai una cosa del genere? Non so per lei, ma per me è stata una botta dalla quale ci ho messo anni per rimettermi. E ogni tanto, di notte, in particolare quando ho bevuto troppo, mi ritorna l’incubo dei milanisti che ridono ritmando: “…non – vincete – mai…” e mi sveglio senza fiato, in un bagno di sudore.»
«Ha perfettamente ragione e la capisco: sono interista anch’io.»
«Allora è inutile girare il coltello. Comunque il 5 maggio è morto anche Leonardo da Vinci, ma non lo ricorda nessuno, se ne sbattono del grande Leonardo perché non ci hanno scritto sopra un “5 maggio”. Ecco, solo per quello. Ne sarebbe bastato anche uno di qualità bassa. Altro 5 maggio luttuoso quello del 1385, almeno per Bernabò Visconti, tradito, imprigionato e avvelenato per conto del nipotino Gian Galeazzo. In ogni caso, per Napoleone quello positivo era il maggio 1796, 15 del mese e non il 5. Entra baldanzoso in Milano da Porta Romana, essendo preceduto il giorno prima dalle truppe comandate dal generale Massèna. Il Ronchetti, in prima e unica fila lungo la strada del corteo, vicino a Palazzo Serbelloni – non è che i milanesi si accalcassero per vedere les étoiles francesi – gli spia il piede e nonostante la staffa, che impediva in parte la visione, riesce a calcolare le misure. Napoleone era montato su un cavallo bianco di alta scenografia, appena fuori dalle mura, dove aveva mollato la più comoda ma meno virile carrozza. Il piede era minuscolo come il resto del corpo, diremmo un “38”, “38 e mezzo”. On pescin de dònna. Anche le mani, sebbene rapaci, e i milanesi ne sanno qualcosa, erano piccole. Sarebbero funzionate egregiamente abbinandole alle braccia dei ginecologi, per i quali si sostiene essere un pregio la piccolezza manuale. Vada, vada a vedere all’Ambrosiana i guantini che indossava a Waterloo: sembrano quelli di un bambino. Il giorno dopo il Ronchetti, che quando voleva era più che puntuale nella consegna, gli fa recapitare un paio di stivali, gentile omaggio, sfacciatamente promo. Napoleone li prova, gli vanno bene, non premono sulla noce degli alluci, sostengono le volte plantari in modo egregio, sembrano solidi e morbidi e gliene ordina un altro paio. Forse anche di più, ma sì, senza nemmeno informarsi del prezzo. Del resto non è nemmeno certo intendesse pagarli. Ronchetti si stima tutto, bauscia con gli amici e, tanto per dimostrare la versatilità e offrire una scelta al giovane generale, confeziona uno stivale destro di un certo tipo, detto “alla dragona” e uno sinistro “alla cavallerizza”. Napoleone li prova, apprezza quello alla dragona e rifiuta il sinistro, alla cavallerizza. Non se ne conosce il motivo. In ogni caso è questo lo stivale alla cavallerizza mandato indietro al scior Ronchett. In concreto, l’unico bene di valore che Napoleone non ha portato via dall’Italia. Anche se si tratta di un valore relativo, essendo difficile da collocare uno stivale sinistro, a meno di non ricostituire il paio o trovare un cavalcante mutilato con piede minuscolo. In questo modo era finito tra gli scarti della bottega che gli eredi Ronchetti avevano ceduto con altra robaccia a un rigattiere, on pattee. Non è stato facilissimo recuperarlo perché quando abbiamo ricostruito l’itinerario, l’ultimo robivecchi, esecrabile personaggio, ha capito il nostro interesse per lo stivale scompagnato che da anni cercava inutilmente di sbolognare, è andato fuori con la crapetta e avrebbe voluto una cifra. Una bella cifra. Poi si è accontentato. O vendeva a noi o cosa se ne faceva?»
Rimira lo stivale mettendolo obliquamente sotto la luce di una lampada. Essendo nuovo, mai usato, non conosce polveri o altari. Certo pensare che è stato calzato dal grande Napoleone, anche solo per una prova, è emozionante.
«Non è finita, macché, perché adesso, se lei è d’accordo, le racconto la parte eroica della cronistoria che riguarda il Ronchetti.»
«Eroica?»
«Insomma proprio eroica, eroica, magari no, esageremm minga, ma perlomeno audace. A Milano, negli anni di una occupazione francese tra il 1796 e il 1814, facevano la bella vita gli ufficiali dell’esercito di Napoleone. Non avendo niente da fare, o meglio, potendo scegliere tra battaglie e spassi vari, mi sembra logico scegliessero gli spassi. Donne, corse con i cavalli, bicchierate, teatro, ginnastica, convivi di vario genere, giochi alle carte, musica e altre amenità. Anche abiti e corredo personale erano motivo di dibattito: il livello delle conversazioni era quello che era. S’era sparsa la voce tra gli ufficiali che tal Ronchetti fosse un gran calzolaio e che addirittura il generale Napoleone calzasse stivali confezionati da lui. Un ufficiale parigino – un tipo di quelli che sostengono che al loro paese, dai cibi alle malattie, dai predicatori alle prostitute c’è solo roba della migliore qualità del mondo ovvero insuperabile – quando ha sentito un compagno d’armi parlare degli stivali del Ronchetti, ha incominciato a sostenere che non era possibile che in Milano, città di seconda scelta, esistesse un calzolaio anche lontanamente paragonabile a quello da cui si serviva lui, il più noto e costoso di Parigi. Sa come vanno queste cose, quando si ha un cazzo da fare e bisogna pur riempire la giornata: “ho ragione io…” ” tu non capisci niente…” ” ti te see quel…” “ti te see on….” e va già bene se si risolve tutto con una scommessa e non con qualche duello. Stabilita la scommessa, l’ufficiale va dal Ronchetti, si fa prendere le misure, versa l’anticipo, sceglie la pelle e si sottopone alle prove. Dopo il giusto tempo è invitato a provare uno stivale finito. Al Ronchetti i commilitoni del tizio avevano fatto sapere della scommessa e il buon calzolaio si era impegnato al massimo. Risultato: uno stivale perfetto. Non si poteva negare l’evidenza: il paragone con la calzatura dell’ufficiale, pur tenendo conto del logoramento dovuto all’uso, non era possibile. Dovette ammettere che il lavoro del Ronchetti era di qualità superiore a quello parigino. Svolgendosi la prova davanti ai compagni d’armi, fece buon viso a cattivo gioco e disse al calzolaio di completare il paio. Il Ronchetti Anselmo, di Pogliano, che non aspettava che quella proposta, tirò fuori la frase lapidaria preparata da tempo: “L’alter stival se le faga fà a Paris… L’altro stivale se lo faccia fare a Parigi.” Un successo strepitoso di pubblico, accompagnato da risate e applausi dei commilitoni. Non dimentichi che avrebbe potuto avere spiacevoli conseguenze. Se l’ufficiale avesse avuto un caratteraccio, poteva interpretare l’atteggiamento del Ronchetti come offesa fatta a un ufficiale, da punire in qualche modo. Se sa mai… Invece fortunatamente si è limitato ad andarsene, così, senza nemmeno commentare, portandosi via, con un poco di stizza, lo stivale che del resto aveva pagato con l’anticipo. Per questo ho definito non eroico ma almeno audace il comportamento del Ronchetti.»
«Ma ‘sta storia è vera o è stata messa in giro dai milanesi per dimostrare che non accettavano supinamente tutto dagli occupanti francesi, spagnoli, austriaci, savoiardi?»
«Sembra un fatto accaduto veramente, anche se bisogna prendere con le pinze quanto viene raccontato ché passando di bocca in orecchio le storie cambiano.»
«Senta, scior Pinin, A me interessa lo stivale provato da Napoleone, faccia una richiesta e vedaremm di venirci incontro.»
«Scusi, ma chi le ha detto che mi voglio privare dello stivale del Ronchett? Cosa glielo fa pensare? Anzi, adesso che ho raccontato chiaramente la storia mi sono convinto anch’io che è un pezzo molto importante e non lo voglio vendere. Si figuri cosa mi fanno un po’ di euri in più o in meno… Sa cosa m’è venuto in mente? Che non lo vendo ma lo regalo… no, non a lei, si tranquillizzi… lo regalo a qualche museo giusto, tipo Museo del Risorgimento, Ambrosiana, della Città di Milano insomma dove mi garantiscono che lo espongono in bella vista con regolamentare targhetta in ottone: “Stivale confezionato dal famoso calzolaio Anselmo Ronchetti, XVIII secolo, per Napoleone Bonaparte. Dono del signor Giuseppe Molinari detto Pinin “. Credo che qualche direttore di museo sarà interessato, inscì passi alla immortalità.»
«Scior Pinin mi sembra esagerato, non me lo venda, va bene, il pezzo è suo, ma non tiri fuori la storia dell’immortalità che el me fa rid.»
«Ha ragione, el gh’ha reson, no all’immortalità ma almeno per un cento anni mi piazzano il nome in vetrina, lì bello, vicino allo stivale e vale la pena di cambiare cento anni al museo con una brancata di euri?»
«Scior Pinin, cosa vuole che le dica, forse ha ragione lei… ma sì, si tolga la soddisfazione del museo.»
«In ogni modo amici più di prima, eh, perché non lo conoscevo e adesso che abbiamo chiacchierato, mi sembra una brava persona, anche se non ho capito come si chiama, infatti non me l’ha detto. Se ha qualche altro desiderio da soddisfare passi pure, chissà magari un’altra volta sarà più fortunato e poi, dai, se non ci diamo una mano tra noi interisti…»
se volete rispondetemi su queste pagine oppure tullo.montanari@libero.it
ciao
Complimentoni, arguto, spiritoso, avvincente.
Avevo un collega che avendo iniziato nel tempo libero a raccogliere di tutto, una volta in pensione, ne aveva fatto la sua principale occupazione. Ricordava abbastanza il personaggio del Pinin e trafficava a Garegnano.
Cordiali saluti
Maurizio
grazie per i complimenti
ci sentiamo poco cari amici del borgo. ricominciamo a dialogare come nei mesi addietro. forza fatevi sentire anche se non state più in zona non dimenticate le nostre strade, i nostri cortili e soprattutto la nostra gente.forza amici
Mio nipote Adriano (vedi 19/09/2014) mi ha trasmesso tutti i contributi che numerose
persone hanno espresso per ricordare e valorizzare il BORGO DEGLI ORTOLANI.
Raccogliendo l’invito del Sig. Molinari,(28/7/2015) voglio anch’io dare il mio contributo in memorie e ricordi.
Sono nato nel 1928 in Via Canonica 35 (come pure mia mamma (1895) – mio papà (1885) e suo padre sono nati in C.so Garibaldi il primo al nr.75 e il secondo al nr.77.
A tre anni ci siamo trasferiti in Via Alfieri 3 (casa Pio X) prima a piano terra poi al
secondo piano. Ho frequentato l’asilo Calderoni – ora Via Verga – e la mia Maestra
è stata la Sig.na Calderoni (?)- poi Scuola Elementare in Via Giusti.
Dopo il bombardamento del 13 Febbraio 1943 ci siamo trasferiti in via Balestrieri 10
(casa Parrocchiale-secondo piano-con finestre che davano sulla Piazza SS Trinità)
Qui sono rimasto fino al 1957.Sposandomi mi sono trasferito a Porta Vittoria mantenendo
però i contatti col Borgo.
Quindi ho passato intensamente la mia “prima” vita nel BORGO spaziando principalmente
da P,za Lega Lombarda-Sant’Ambrogino-Via Anfiteatro (el guast)-Sempione e alla
Simonetta.
I ricordi sono tanti: ne ho per ogni via ! Il difficile è metterli in ordine per poterli
raccontare senza “andà per rann”. =occorrerebbero le capacità del “cantore” del Borgo
Dott. Mariani !! (V.le Elvezia/Via Cesariano)
Allora la Parrocchia SS. Trinità era molto estesa e comprendeva la zona con le Chiese
Corpus Domini in Mario Pagano e SantAntonio in Via Carlo Farini.
I cortili della Parrocchia erano on la “rizzada” successivamente cementificati
per dar spazio al campo di pallacanestro.
Il Prevosto era Don Cesare Correngia e con i coadiutori Don Enrico (el pussee vecc)
Don Anselmo-Don Giuseppe Motta (Case minime di Via Zama poi Prevosto in San Marco)
Don Adolfo Terzoli – Don Franco Rossi (Lozza/VA-Parroco Santa Rita/P-le Corvetto(?)e poi Vescovo ausiliario in Arcivescovado)
Morto Don Cesare è arrivato come Parroco Don Natale Brunella e con lui sono arrivati
Don Luigi Viganò-Don Domenico Pollastri-Don Pierangelo Carugo-Don Mario Restelli
(assistente del GAE-Gruppo Alpinistico Excelsior. Presidente Giuseppe Bolgiani)
Fino al Febbraio 1943 in Parrocchia esistevano:
l’Oratorio maschile presso gli Artigianelli Via Niccolini/Giusti
l’Azione Cattolica giovanile maschile in via Alfieri 3-piano terra
l’Oratorio femminile presso le Suore Canossiane di Via Bramante
dopo Oratorio e Azione Cattolica in via Niccolini/Giusti con Don Pierangelo.
Don Natale Brunella è stato quello che ha tentato di rimodernare l’interno della Chiesa
sostituendo i pilastri quadrati con colonne ottagonali. Sono state messe inizialmente
due semicolonne ai lati dell’altare maggiore, poi la prima colonna a destra guardando la navata dall’altare.In seguito, dopo aver fatto fare una ispezione al primo pilastro a destra entrando
in Chiesa, ha dovuto desistere dai suoi propositi perchè la colonna originaria interna, esistente
in tutti i pilastri, non era al centro ma fuori asse. Togliendo il rivestimento sarebbero crollate
le volte. ( ho tentato di essere chiaro !!!)
Così la Chiesa è diventata ancora meno bella ma per noi del Borgo sempre cara.
Poi sappiamo tutti come è andata a finire!!!.
Si è salvato solo il vecchio campanile grazie a persone che hanno avuto il buon senso di
volerlo conservare,comprandolo !
Ora basta, non voglio rompere !! ma sarei contento se questi miei appunti servissero
a richiamare e a risvegliare ricordi al solo scopo di arricchire “l’archivio” delle memorie del
nostro Borgo.
Per quanto riguarda l’estensione del nostro Borgo non l’allargherei troppo: da una stampa del
1629 reperibile presso la Civica Raccolta Bertarelli-Milano e riportata anche dal giornale di zona
“IL SEMPIONE” del Settembre 1994, risulta che il vero Borgo degli Ortolani si estende dalla
preesistente SS.Trinità a Sant’Ambrogino. Inoltre, a detta dei vecchi, il Borgo degli ortolani
arano gli orti che facevano parte del Castello Sforzesco!
Ricordi? In Paolo Sarpi di fronte al Cinema Aurora, c’erano i negozi ALEMAGNA:
con “10 centesim (ghei?)” si prendeva “on scartozz de fregui de bònbòn”.
In Paolo Sarpi prima del Cinema Augusteo c’era un negozio con articoli
sportivi dove si noleggiavano gli sci!
Don Franco Croci ( via Giusti prema della scuola avviamento al lavoro maschile,
il padre aveva un deposito di materiali edili) ora Arcivescovo di Potenza
Via Rosmini angolo Paolo Sarpi: per iniziativa del Dott. Valsecchi sul terreno
di una casa demolita dai bombardamenti, sono state costruite delle baracche
in legno formando così un piccolo supermercato alimentare.Ho lavorato per
“poco” tempo come garzone nel reparto drogheria !
Via Messina : nogozio di pollivendolo della mamma del Dott. Ronchi
-caserma del Vigili del Fuoco (ancora esistente) con l’impianto per
esercitazioni
deposito legna e carboni del Sig. Neri (abitazione in via Giordano Bruno)
Via Canonica 37 : qui abitava Luigi Argento Durante la guerra
ogni militare aveva il suo ragazzo con lo scambio della corrispondenza.
Luigi era il mio soldato: al suo matrimonio Don Franco mi ha fatto cantare
l’Ave Maria di Schubert.
Via Canonica 35 :_ la porta dei “pessat” da dove uscivano i carretti lunghi e
stretti con tanti barili e scatole di pesce per la vendita suoi mercati
Via Alfieri angolo Rosmini: “el cervelee” con fuori l’ometto mutilato della
prima guerra mondiale, mancante di una mano, che vendeva i limoni.
P.za Morselli: nell’angolo “el droghee” e al centro l’edicola.
Via Canonica “el lattee” con un occhio di vetro. Mutilato di guerra ma
ex comilitone di Mussolini Tutti i giorni ci portava il latte a casa e tutti i
giorni si fermava a chiaccherare coi miei nonni !
Madonna Pellegrina: il suo “girovagare” tra le Parrocchie della nostra Diocesi
deriva da un ex-voto fatto durante la guerra.L’Arcivescovo aveva dato l’incarico
al nostro Parroco Don Natale Brunella e a Don Domenico Pollastri .
Il giro è iniziato dalla nostra Parrocchia con l’esposizione della statua al Sempione
sotto l’arco della Pace (c’è la fotografia forse nell’archivio dell’Arcivescovado !!)
Ora la statua si trova nella Chiesa di Bernareggio.
Don Luigi Artali: (via Balestrieri 8) prima Parroco a Croce di Menaggio, poi a Tavernerio e infine a Torno( sempre in Provincia di Como) e sempre con la Giannina, sua sorella
come Perpetua.
Ho cercato di trovarlo a Tavernerio ma non l’ho mai incontrato
Mi spiace di non essermi fatto vivo! Ora è tardi.
E’ morto nel 2014 !!!!
Quanti nomi si amici o semplici conoscenti ! Qui ci vorrebbe il contributo
di Antonio Migliavacca !
Per critiche o scambio di ricordi (e ce ne sono ancora tanti)
alfredo.coquio@libero.it
Mio nipote Adriano (vedi 19/09/2014) mi ha trasmesso tutti i contributi che numerose persone hanno espresso per ricordare e valorizzare il BORGO DEGLI ORTOLANI.
Raccogliendo l’invito del Sig. Molinari,(28/7/2015) voglio anch’io dare il mio contributo in memorie e ricordi.
Sono nato nel 1928 in Via Canonica 35 (come pure mia mamma (1895) – mio papà (1885) e suo padre sono nati in C.so Garibaldi il primo al nr.75 e il secondo al nr.77.
A tre anni ci siamo trasferiti in Via Alfieri 3 (casa Pio X) prima a piano terra poi al secondo piano. Ho frequentato l’asilo Calderoni – ora Via Verga – e la mia Maestra è stata la Sig.na Calderoni (?)- poi Scuola Elementare in Via Giusti.
Dopo il bombardamento del 13 Febbraio 1943 ci siamo trasferiti in via Balestrieri 10 (casa Parrocchiale-secondo piano-con finestre che davano sulla Piazza SS Trinità)
Qui sono rimasto fino al 1957.Sposandomi mi sono trasferito a Porta Vittoria mantenendo però i contatti col Borgo.
Quindi ho passato intensamente la mia “prima” vita nel BORGO spaziando principalmente da P,za Lega Lombarda-Sant’Ambrogino-Via Anfiteatro (el guast)-Sempione e alla Simonetta.
I ricordi sono tanti: ne ho per ogni via ! Il difficile è metterli in ordine per poterli
raccontare senza “andà per rann”. =occorrerebbero le capacità del “cantore” del Borgo Dott. Mariani !! (V.le Elvezia/Via Cesariano)
Allora la Parrocchia SS. Trinità era molto estesa e comprendeva la zona con le Chiese Corpus Domini in Mario Pagano e SantAntonio in Via Carlo Farini.
I cortili della Parrocchia erano on la “rizzada” successivamente cementificati
per dar spazio al campo di pallacanestro.
Il Prevosto era Don Cesare Correngia e con i coadiutori Don Enrico (el pussee vecc) Don Anselmo-Don Giuseppe Motta (Case minime di Via Zama poi Prevosto in San Marco) Don Adolfo Terzoli – Don Franco Rossi (Lozza/VA-Parroco Santa Rita/P-le Corvetto(?)e poi Vescovo ausiliario in Arcivescovado) Morto Don Cesare è arrivato come Parroco Don Natale Brunella e con lui sono arrivati Don Luigi Viganò-Don Domenico Pollastri-Don Pierangelo Carugo-Don Mario Restelli (assistente del GAE-Gruppo Alpinistico Excelsior. Presidente Giuseppe Bolgiani)
Fino al Febbraio 1943 in Parrocchia esistevano:
l’Oratorio maschile presso gli Artigianelli Via Niccolini/Giusti
l’Azione Cattolica giovanile maschile in via Alfieri 3-piano terra
l’Oratorio femminile presso le Suore Canossiane di Via Bramante
dopo Oratorio e Azione Cattolica in via Niccolini/Giusti con Don Pierangelo.
Don Natale Brunella è stato quello che ha tentato di rimodernare l’interno della Chiesa sostituendo i pilastri quadrati con colonne ottagonali. Sono state messe inizialmente due semicolonne ai lati dell’altare maggiore, poi la prima colonna a destra guardando la navata dall’altare.In seguito, dopo aver fatto fare una ispezione al primo pilastro a destra entrando in Chiesa, ha dovuto desistere dai suoi propositi perchè la colonna originaria interna, esistente
in tutti i pilastri, non era al centro ma fuori asse. Togliendo il rivestimento sarebbero crollate le volte. ( ho tentato di essere chiaro !!!)
Così la Chiesa è diventata ancora meno bella ma per noi del Borgo sempre cara.
Poi sappiamo tutti come è andata a finire!!!.
Si è salvato solo il vecchio campanile grazie a persone che hanno avuto il buon senso di volerlo conservare,comprandolo !
Ora basta, non voglio rompere !! ma sarei contento se questi miei appunti servissero a richiamare e a risvegliare ricordi al solo scopo di arricchire “l’archivio” delle memorie del nostro Borgo.
Per quanto riguarda l’estensione del nostro Borgo non l’allargherei troppo: da una stampa del 1629 reperibile presso la Civica Raccolta Bertarelli-Milano e riportata anche dal giornale di zona “IL SEMPIONE” del Settembre 1994, risulta che il vero Borgo degli Ortolani si estende dalla preesistente SS.Trinità a Sant’Ambrogino. Inoltre, a detta dei vecchi, il Borgo degli ortolani
arano gli orti che facevano parte del Castello Sforzesco!
Ricordi? In Paolo Sarpi di fronte al Cinema Aurora, c’erano i negozi ALEMAGNA:
con “10 centesim (ghei?)” si prendeva “on scartozz de fregui de bònbòn”.
In Paolo Sarpi prima del Cinema Augusteo c’era un negozio con articoli sportivi dove si noleggiavano gli sci!
Don Franco Croci ( via Giusti prema della scuola avviamento al lavoro maschile, il padre aveva un deposito di materiali edili) ora Arcivescovo di Potenza Via Rosmini angolo Paolo Sarpi: per iniziativa del Dott. Valsecchi sul terreno di una casa demolita dai bombardamenti, sono state costruite delle baracche in legno formando così un piccolo supermercato alimentare.Ho lavorato per “poco” tempo come garzone nel reparto drogheria !
Via Messina : nogozio di pollivendolo della mamma del Dott. Ronchi
-caserma del Vigili del Fuoco (ancora esistente) con l’impianto per
esercitazioni
deposito legna e carboni del Sig. Neri (abitazione in via Giordano Bruno)
Via Canonica 37 : qui abitava Luigi Argento Durante la guerra ogni militare aveva il suo ragazzo con lo scambio della corrispondenza. Luigi era il mio soldato: al suo matrimonio Don Franco mi ha fatto cantare l’Ave Maria di Schubert.
Via Canonica 35 :_ la porta dei “pessat” da dove uscivano i carretti lunghi e
stretti con tanti barili e scatole di pesce per la vendita suoi mercati
Via Alfieri angolo Rosmini: “el cervelee” con fuori l’ometto mutilato della
prima guerra mondiale, mancante di una mano, che vendeva i limoni.
P.za Morselli: nell’angolo “el droghee” e al centro l’edicola.
Via Canonica “el lattee” con un occhio di vetro. Mutilato di guerra ma
ex comilitone di Mussolini Tutti i giorni ci portava il latte a casa e tutti i
giorni si fermava a chiaccherare coi miei nonni !
Madonna Pellegrina: il suo “girovagare” tra le Parrocchie della nostra Diocesi
deriva da un ex-voto fatto durante la guerra.L’Arcivescovo aveva dato l’incarico al nostro Parroco Don Natale Brunella e a Don Domenico Pollastri .
Il giro è iniziato dalla nostra Parrocchia con l’esposizione della statua al Sempione sotto l’arco della Pace (c’è la fotografia forse nell’archivio dell’Arcivescovado !!). Ora la statua si trova nella Chiesa di Bernareggio.
Don Luigi Artali: (via Balestrieri 8) prima Parroco a Croce di Menaggio, poi a Tavernerio e infine a Torno( sempre in Provincia di Como) e sempre con la Giannina, sua sorella come Perpetua.
Ho cercato di trovarlo a Tavernerio ma non l’ho mai incontrato
Mi spiace di non essermi fatto vivo! Ora è tardi. E’ morto nel 2014 !!!!
Quanti nomi si amici o semplici conoscenti ! Qui ci vorrebbe il contributo
di Antonio Migliavacca !
Per critiche o scambio di ricordi (e ce ne sono ancora tanti)
alfredo.coquio@libero.it
Buongiorno a tutti ! Io ho vissuto in piazza lega lombarda per 15 anni e ho solo recentemente scoperto che mio nonno ci ha vissuto almeno dal 1901 al 1938.
Ho ritrovato foto di 3 funerali, due nel 1927 e uno 1937.
Hanno vissuto in via lomazzo 5 e via morazzone 5, entrambi gli edifici paiono essere stati ricostruiti negli anni 60, non mi paiono proprio d’epoca.
Alcuni edifici che si vedono nelle foto, dove passava il carro funebre, a cavallo, li ho riconosciuti. Non riconosco invece la chiesa, siccome vorrei fare delle ricerche genealogiche mi sarebbe utile, credo, capire qual’era la parrocchia per risalire ai battesimi, matrimoni e morti. Qualcuno mi sa dare un consiglio ? Grazie mille Daniela
Ancora io,, ho letto con più attenzione l’articolo presente sul sito, penso proprio, dalle foto che ho, che si trattasse della chiesa della Santissima Trinità… Che voi sappiate in quegli anni i defunti venivano inumati al Monumentale ? Grazie Danieal
Sono contento che si sia aggiunta una persona nuova al nostro blog.
A Milano per far fronte al numero sempre in aumento dei defunti che venivano fino ad allora inumati nei piccoli cimiteri periferici e che a causa dell’espandersi della città stavano diventando semicentrali e che comunque non ce la facevano più, venne deciso di costruire un nuovo grande cimitero e nacque Musocco. I funerali in città venivano effettuati con le carrozze a cavalli che facevano capolinea prima a Porta Romana nei pressi del locale cimitero e successivamente sul piazzale del Cimitero Monumentale. Da lì un tram particolare chiamato secondo alcune voci “Gioconda” e secondo altre “Genoveffa” provvedeva alla consegna dei feretri a Musocco.
Il Cimitero Monumentale che prima funzionava come cimitero comune, divenne snob e venne riservato ai morti sciuri nel senso o erano stati in vita ricchi e famosi, oppuse anche solamente ricchi.
Nel 1927 entrarono in servizio le macchine funebri elettriche “Rognini e Balbo” che gradualmente arrivarono a svolgere completamente il servizio di trasporto per i funerali cittadini. La Rimessa era in Via Narsete, poi divenuta Via Messina, 52.
Queste macchine hanno svolto il loro servizio fino al 1968, erano divise per classe e le Prime e le Seconde avevano il privilegio di avere, compreso nella tariffa un autobus a 17 posti per l’accompagnamento dei dolenti.
Poi, ma forse la cosa non ti interessa, nel 1968 è stata istituita la “Classe unica gratuita (Milano era ancora grande) sostituendo le carrozze elettriche con furgoni più moderni che ebbero come primo effetto l’eliminazione degli autobus e l’apertura del primo spiraglio verso le imprese private che ormai gestiscono in pieno il servizio con somma gioia dei cittadini.
I cimiteri di quartiere lentamente vennero svuotati, l’ultimo fu quello di Niguarda negli anni ’70. Poi Musocco cominciò ad essere sovraffollato e quindi vennero ripristinati alcuni cimiteri periferici necessari per assorbire le utenze dei grandi quartieri popolari.
Adesso è di moda la cremazione quindi c’è tanto spazio libero, non so come andrà a finire.
Per rispondere alla tua domanda, i defunti comuni, in quell’epoca andavano al Cimitero Maggiore, se potevano pagare, un buchino al Monumentale lo trovavano sempre.
Delle vie che hai citato la Parrocchia è sempre stata quella della SS: Trinità,
se vai a leggere un po’ di interventi troverai la sua storia.
Mi pare esista un’app del Cimitero Maggiore in cui digitanto nome del defunto e data del decesso ti dica dove si trova, non la conosco e non so dirti altro.
Comunque su Internet c’è tanto materiale in proposito.
Benvenuta.
Grazie mille, ho letto tutto con molto interesse, grazie ancora
Qualcuno di voi interessantissimi ospiti del Blog ha delle notizie storiche del palazzo Cà Longa di via piero della Francesca 34?
Gentilissimi , desidero conoscere qualcosa sulla casa della Provvidenza situata in corso Garibaldi dove c’erano delle suore Canossiane che nel 1944 distribuiva minestra per le famiglie bisognose . Grazie
Per tutti coloro che tornano dalle ferie, incazzati o non???? Serata di pacificazione e di convivio
Piccola Sagra del Borgo Medioevale di Buccinasco Castello MI
Itinerario: Via Idiomi,- Cavalcavia Tangenziale Ovest,
Per Gudo Gambaredo,- Arrivati !!!! Via Pezzoli,
Via Osnaghi. Parcheggio….. ma incostudito.
Mostra fotografica: Sòtta TI se vivv la vitta.
Finestra delle canzoni melodiche
E’ GRADITA LA SEGNALAZIONE DELLA VOSTRA PRESENZA. grazie
VI ASPETTIAMO. 338 1273742
Distinti saluti Sergio Codazzi e C
Immagine incorporata 1
Buongiorno,
scrivo con un account privato ma a nome del progetto Torre Liprando, destinato a valorizzare il campanile della ex SS Trinità. Qui trovate i dettagli del progetto: http://www.torreliprando.it
Da domani sarà possibile accedere al giardino e vedere da vicino l’antica torre campanaria del borgo degli ortolani, fino a domenica 24 settembre 2017.
Vorremmo restituire lo spazio al quartiere, anche attraverso la raccolta di materiale e documentazione. L’indirizzo mail: torreliprando@gmail.com
Vi aspettiamo!!!
Un saluto a tutti, ho già scritto qualcosa in passato ma non trovo il post. Comunque, da ex abitante di piazza lega lombarda, dove ho vissuto dal 1980 al 2001, ho recentemente scoperto che la mia famiglia, lato materno, era originaria del borgo degli ortolani ( che in realtà ho solo recentemente scoperto si chiamasse cosi ). Nel 1800 vivevano a Cascina Bulona ( riportato cosi, con una sola L) , calderai e fabbri. Poi, 1900-1939 via Morazzone 5 e via Lomazzo 5. Case che non ci sono più, mi è venuto il dubbio si trattasse della stessa casa con ingressi ai 2 lati. QUalcuno ne sa qualcosa di più ? Ho delle foto del funerale della mia bisnonna, 1927, con corteo partente dalla SS. Trinità, se a qualcuno interessano posso inviare, si vede bene la facciata della chiesta e poi corteo in Paolo Sarpi. Grazie mille
Buongiorno Daniela,
sono Luisa di Torre Liprando (il campanile della vecchia SS. Trinità). Mi piacerebbe vedere le foto del funerale….sono inviabili via mail? Se sì, segnalo l’indirizzo al quale Le chiederei la cortesia di inviarle: torreliprando@gmail.com. Se invece non si potesse inviarle in digitale, possiamo concordare di vederci un giorni di questi in zona Sarpi 🙂 Grazie!!!!
Buongiorno a tutti, disturbo perchè sono alla ricerca del libro scritto da Tullo Montanari sul bar Nacka in cui pare ci siano delle foto anche di mio padre, qualcuno può aiutarmi a trovarne copia? Grazie a tutti comunque.