Nel sistema difensivo di Milano trovavano posto elementi strutturali come le porte, le pusterle e i bastioni la cui funzione originale era proprio quella di impedire l’accesso di persone e mezzi dall’esterno, tranne nei punti previsti in corrispondenza delle porte e delle pusterle che erano, generalmente, presidiate.
Le porte rappresentavano gli accessi “primari” alla città, collocate in corrispondenza delle principali strade di comunicazione come il Sempione o la via Emilia, ed erano quasi sempre dotate di archi (esisteva un progetto anche per l’arco di Porta Venezia, mai realizzato); le pusterle, di contro, erano collocate presso gli accessi “secondari” generalmente alternate alle porte (ma non era una regola precisa, ovviamente).
Sappiamo anche che l’espansione di Milano portò a realizzare nel corso dei secoli diversi sistemi di mura, che man mano ne definivano e delimitavano i nuovi confini, richiedendo così nuove ubicazioni degli accessi.
Abbiamo visto recentemente il “percorso” seguito da Porta Vercellina per adattarsi a questa situazione ma, bene o male, tutte le porte e le pusterle seguirono questo iter e Porta Lodovica non ha fatto eccezione, se non per un particolare che fra poco scopriremo.
La strada percorsa in questo caso è corso Italia, o meglio, la contrada di San Celso (e il relativo borgo oltre il Naviglio) il cui toponimo fu modificato nel 1910.
La “particolarità” di questo accesso è che ad ogni spostamento acquistava un nome differente: tutto iniziò con la Porta Erculea (ma questo nome è ancora oggetto di indagini…), al tempo delle mura repubblicane.
La porta doveva essere posizionata in quella che oggi è piazza Bertarelli, ipotesi suffragata principalmente dal percorso “parallelo” (anche nelle curvature) delle vie Cornaggia e Disciplini e dal loro “naturale” proseguimento rappresentato da via Maddalena; lo sviluppo di queste vie rappresenta il tracciato delle mura Massimiane.
Come si può vedere chiaramente dalla parte di cartina qui riportata, anche la via Maddalena aveva il suo “parallelo” prima dell’apertura di corso Italia, identificato da due vie, oggi completamente scomparse: via delle Verze e via San Vittorello (una era la continuazione dell’altra).
La successiva ubicazione della porta, fu in corrispondenza della cerchia interna del Naviglio, come avvenuto anche per le altre porte, ossia dove si congiungono le vie Molino delle Armi e Santa Sofia.
In realtà sembra che non sia ancora ben chiaro se la Pusterla Lodovica abbia preso il posto (e modificato il nome) della Pusterla di Sant’Eufemia, se siano esistite entrambe per un breve lasso temporale oppure se si trattò proprio di una demolizione e ricostruzione ex-novo. La versione più accreditata è che siano state entrambe presenti per un – non meglio precisato – periodo di tempo.
Questa pusterla, di cui si vede un disegno in apertura di articolo, fu voluta nel 1486 dalla persona che poi le diede anche il nome: il duca Ludovico Sforza; sembra che fra tutte le pusterle questa fosse quella costruita con maggior cura e decorata con pregiati marmi provenienti da edifici romani.
Oltre allo stemma ducale, Ludovico Maria Sforza fece inserire ai lati del fornice della pusterla due monogrammi, il suo e quello di sua moglie Beatrice d’Este, alla quale comunque dedicò anche la Pusterla del Guercio – divenuta quindi Beatrice – che abbiamo già incontrato parlando di Brera.
L’accesso a corso San Celso fu così riaperto dopo che per molti anni fu sbarrato a qualsiasi passaggio; la sua chiusura risaliva addirittura ai tempi del Barbarossa; uno dei motivi principali per la riapertura fu per consentire il transito al vicino santuario di Santa Maria dei Miracoli, la chiesa affiancata alla più minuta di San Celso.
Sebbene tenuta così in considerazione da Ludovico Sforza, la pusterla nei secoli a seguire conobbe un forte degrado, oltre a subire visite di ignoti che la depauperavano sempre più, sottraendo le sue pregevoli decorazioni.
La pusterla sul Naviglio fu demolita nel 1827, rivelando oltretutto un forte dislivello tra il selciato del corso e quello del borgo, che scatenò – sembra – forti polemiche, sebbene il danno (cioè la demolizione) fosse già avvenuto e non più recuperabile.
Della demolita pusterla non ne rimangono tracce, nonostante se ne vociferasse un trasferimento al parco di Monza; solo una parte di una colonna, un concio, è conservato presso il Museo Archeologico Milanese.
L’ultima locazione della Porta Lodovica è nell’attuale omonimo piazzale sito lungo il vecchio percorso dei bastioni spagnoli, innalzati intorno al 1560.
Questa tratta di bastioni fu, tra l’altro, una delle prime ad essere demolite (la prima in assoluto fu quella tra il Castello e porta Ticinese); i lavori di smantellamento in direzione Porta ticinese cominciarono infatti già nel 1911 per terminare nel 1913, mentre in direzione Porta Romana – lungo il viale Beatrice d’Este – vennero eseguiti dopo il 1930.
Per un approfondimento sul tema dei bastioni, suggerisco questa lettura dal titolo “Le mura spagnole: studio, restauro, manutenzione” datata 2008, realizzata in occasione della “X settimana della cultura” da un gruppo di specialisti accreditati e competenti in materia.
Porta Lodovica era però conosciuta anche perché ospitava subito oltre la porta, lungo la strada per Morivione (oggi via Pietro Teulié), una delle più importanti fabbriche di gas che veniva utilizzato principalmente per l’illuminazione, fabbrica aperta nel 1843, quindi ancora sotto il dominio austriaco; il gasometro della Usina Gaz (questo il nome della società) viene costruito da Philippe Taylor di Marsiglia.
La cosa strana, infatti, è che l’apparlto fu assegnato alla società francese dell’ingegner Achille Guillard di Parigi. Strana, semplicemente perché Austria e Francia in quegli anni non erano nazioni molto “amiche”.
L’impianto disponeva di forni per la combustione del carbon fossile, di gasometri per l’immagazzinamento e inizialmente utilizzava una rete di distribuzione di ben 15 chilometri, realizzata per servire qualche centinaio di utenze (denominate i “becchi”) le quali nel giro di due decenni, crebbero fino a ben 30.000 “becchi”.
E non dimentichiamo anche che per molti anni Porta Lodovica ha rappresentato la stazione del Gamba de Legn per pavia; la stazione era ubicata in viale di Porta Lodovica, oggi viale Bligny.
Di questo percorso del “Gamba” è molto diffusa la fotografia proprio in prossimità della stazione, fotografia pubblicata anche nel nostro articolo relativo proprio al Gamba de Legn.
Alla prossima.
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