Eccoci arrivati a un altro appuntamento “impegnativo”, che andrebbe sicuramente discusso attraverso svariate decine di pagine, considerata l’antica storia del soggetto e le innumerevoli modifiche a cui lo stesso è stato sottoposto, ma che cercheremo di raccogliere come di consueto in un articolo compatto e di facile lettura.
Il Cordusio è il centro di Milano e questo fin da tempi “storici”: si racconta spesso – parlando del Cordusio – che Alboino, re dei Longobardi dal 560 al 572, fece edificare proprio la Curia Ducis, ossia la corte dei duchi longobardi; anche in questo caso, per successive contrazioni e distorsioni, curia ducis si è poi trasformato in Cordusio.
Nella curia ducis si svolgeva all’epoca di Alboino tutta la vita politica e amministrativa, e anche successivamente si legge che Berengario – re d’Italia a cavallo tra il IX e i X secolo – utilizzò quest’area per istituire il Tribunale.
Un’area troppo diversa dall’attuale per tentare di tracciarne bene i confini relativi a quegli anni: è rimasta la piazza dei Mercanti a suggerirci come era configurato il luogo perché, come spesso accadeva in questa città, si demolisce il vecchio per costruire il nuovo, perdendo purtroppo grandi pezzi di storia.
Diamo un’occhiata a questa parte di cartina che risale al 1820.
Se prendiamo come riferimento la piazza dei Mercanti, possiamo subito notare che il Cordusio è una contrada (via) – e non una piazza come oggi – che unisce la contrada del Bocchetto con quella del Broletto.
Non cercate via Dante, perché non esisteva ancora: fu realizzata in accordo con il piano Beruto nel 1884, sacrificando gli isolati che dividevano appunto il Cordusio dal Castello; in questo caso però il risultato – oggettivamente – è quantomeno gradevole e ben riuscito; a titolo di “cronaca” il piano originale prevedeva che la via Sempione (nome iniziale della via Dante) continuasse sopra il Castello (che sarebbe stato demolito, se non fosse intervenuto il buon Luca Beltrami) per continuare poi in linea retta con l’attuale corso Sempione…
Non troverete nemmeno la via Tommaso Grossi (scrittore e poeta, 1790 – 1853) venutasi a creare contestualmente alla costruzione della Galleria, ma in compenso troverete, osservando bene la cartina, la contrada del Mangano che conduceva alla chiesa di Santa Maria Segreta, la contrada delle Galline e la relativa piazza (che sovrapponendo la cartina di 200 anni fa con una attuale doveva trovarsi “sopra” la via Tommaso Grossi…
…e ancora la contrada dei Fustagnari e la contrada di San Michele al Gallo che portava alla omonima chiesa; quest’ultima contrada (sebbene rivista sia nel suo sviluppo che in termini di “larghezza”) diventerà nel 1865 via Orefici.
Marcantonio dal Re, di cui abbiamo già avuto modo di parlare, ci ha fortunatamente lasciato una vista (nel suo inconfondibile stile) proprio di piazza delle Galline.
Nella sua incisione compaiono a sinistra il palazzo Vigoreri e Rubino e la chiesa di San Cipriano, detta anche di San Simplicianino.
Anche a livello dei propri toponimi, il nostro Cordusio non scherza: nata come contrada – ossia “via” – del Cordusio, diventa un “largo” Cordusio in quanto all’altezza del “gomito” che compie il suo percorso si viene a creare uno slargo, lo stesso slargo che ospita attualmente la statua del Parini, che come vedremo ne ha sostituita un’altra.
Diventa poi piazza Ellittica (da ellisse, cerchio imperfetto – a volte scritto erroneamente piazza Elittica) nel momento dell’apertura di via Dante (anzi, un po’ prima dell’apertura di via Dante, il 28 marzo del 1882) ma questo nome non piacque ai milanesi che continuando a chiamarla “Cordusio”, obbligarono praticamente il comune a ripristinare il vecchio toponimo.
Infine anche il fascismo pensò bene di cambiare il nome storico in piazza Costanzo Ciano (politico, 1876 – 1939), padre del forse più noto Galeazzo Ciano (politico, 1903 – 1944).
Terminato il conflitto e caduto il fascismo la piazza tornò a chiamarsi Cordusio.
Questo dipinto del Sebastianone (fine del 1600) ci lascia immaginare quale poteva essere la vista del Cordusio arrivando dalla contrada del Bocchetto, con la vista della contrada del Broletto sulla sinistra e quella dei Fustagnari sulla destra; a sinistra della statua (in prospettiva) si intravede la via delle Galline.
Questo dipinto ci fa anche notare che prima della statua di Giuseppe Parini, inaugurata il 26 novembre del 1899, era collocata un’altra statua e più precisamente quella di San Carlo Borromeo, ora situata nell’omonima piazza a fianco dell’ingresso della chiesa di Santa Maria Podone.
Il “trasloco” fu eseguito nel 1786 – come riportato anche sull’iscrizione alla base della statua – in quanto pare che il governatore austriaco andò a sbattervi contro con la carrozza e pertanto impose alla famiglia di rimuoverla entro pochi giorni… in quanto “era d’intralcio alla circolazione”!!!
La statua di San Carlo Borromeo (arcivescovo di Milano, 1538 – 1584) era in Cordusio dal 1624 e aveva a sua volta sostituito una delle moltissime colonne votive (come quella del Verziere) eretta durante la peste del 1576.
La fine del ‘800 e l’inizio del ‘900 oltre a ridisegnare le strade e a rendere il Cordusio un importante nodo del traffico cittadino, decretarono anche la demolizione (tanto per cambiare) di molti edifici per far posto ai palazzi che oggi possiamo (ancora) vedere come, per esempio, palazzo Broggi – utilizzato fino al 1932 come sede della Borsa Milano – progettato da Luigi Broggi e realizzato tra il 1899 e il 1901, o il palazzo delle Assicurazioni Generali, che domina tra le vie Orefici e Mercanti, progettato dall’architetto Luca Beltrami e dall’ingegnere Luigi Tenenti, che fu costruito tra il 1897 e il 1899.
Altri palazzi e ristrutturazioni hanno caratterizzato complessivamente l’area del Cordusio, ma in questo caso un paio di fotografie valgono più di mille parole… e nonostante spesso si critichino gli interventi di “demolizione maniacale” e di “ricostruzione incontrollata” ritengo che in questo caso i risultati siano complessivamente validi, sebbene – si tratta ovviamente di un parere personale – avrei preferito interventi più conservativi in termini di “maglia viaria”, almeno nel centro storico.
A supporto di questa tesi porto solo come esempio il “disastro” di via Albricci e piazza Diaz che hanno sostituito in modo anonimo e amorfo un quartiere, il Bottonuto, certamente da “risanare” ma non da cancellare per sempre.
E’ difficile, per non dire impossibile, staccare gli occhi da alcune fotografie se non dopo aver cercato di cogliere tutti i dettagli che queste, con molta discrezione, ci regalano.
Dovremmo essere molto grati a tutti i fotografi che – per lavoro o per diletto – hanno permesso a tutti noi di godere un po’ di aria dei tempi andati.
Il dipinto del Sebastianone fa un curioso effetto. Anziché della fine del 1600, gli edifici sembrano di architettura razionalista del 1900! E paradossalmente sembrano più moderni di quelli attuali.
Molto interessante. Fa specie leggere sulla piantina del 1820, in corrispondenza di via Meravigli, il toponimo “delle Meraviglie”, dato che il nome della via era chiaramente originato dalla famiglia Meravigli, antica famiglia di ricchi mercanti milanesi molto strettamente legati ai Visconti prima e agli Sforza dopo. Se non sbaglio, l’inizio e la fine della via erano segnati dalla presenza di due palazzi (fra i tanti in Milano) di proprietà della famiglia stessa, da qui il nome della via. Uno di questi, fra l’indifferenza generale, sussiste tutt’ora: quello tra la via Camperio e la casa d’angolo che venne costruita quando fu tracciata la via Dante e che oggi al piano terra ospita Spizzico. Questo di cui parlo é un palazzo la cui origine credo sia contemporanea o di poco successiva all’epoca viscontea del castello. Andate e chiedete al portinaio dell’ingresso del civico 4 se vi fa buttare un occhio al fascinosissimo cortile con porticato e colonne: é un salto indietro nel tempo di 600 anni. Due tracce della bellezza nascosta le avrete anche da fuori: una é una finestra con arco a sesto acuto la cui finitura in mattoni probabilmente prodotti dalla fornace Curti è stata felicemente lasciata scoperta dall’intonaco della facciata. L’altra, che suonerà incredibile soprattutto a chi, magari per lavoro, avesse percorso quel tratto della via centinaia di volte senza mai notarla, é una torre con base in arenaria e il resto in mattoni, e con tanto di merli in cima. Insomma, una torre medioevale merlata a 50 metri da via Dante, resa invisibile dall’esigua larghezza della via, dal fatto che il palazzo in epoche successive è stato alzato di un piano, per cui la torre non spicca più e anche, se vogliamo, dalla tendenza dei milanesi a preoccuparsi più di evitare cacche sui marciapiedi che di perdersi le poche bellezze mimetizzate della città.
Un dubbio: la torre merlata di via Meravigli era per caso appoggiata alle spalle alla demolita chiesa di San Nazaro in Pietrasanta?
Complimenti per la consueta accuratezza degli articoli, mi associo all’importante ringraziamento ai fotografi del passato grazie ai quali può conservarsi ed essere trasmessa la memoria di quello che non c’è più o che è cambiato, un lavoro di documentazione la cui valenza è troppo spesso dimenticata.
Ma che bello questo blog. Ho trovato una chicca sulla mia città.
Ciao
Ross
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mamma mia certo che la voglia di demolire e rifare ci viene da lontano… pensate se avessero demolito anche il castello…csa che davvero era presa in seria considerazione.
è più di un secolo che Milano si smonta e rimonta… è un miracolo che sia rimasto qualcosa di antico…demolire il duomo per fare un grande parcheggio, magari… 🙂
Ho scoperto durante una mia ricerca genealogica una mia lontana parente era di Milano, In un atto notarile aveva dichiarato di abitare in via dei Maravigli al n°27. Ho provato fare ricerche ma della via dei Maravigli non risulta traccia.
Qualcuno sà se esisteva tale via?
Esiste da sempre una via Meravigli, ma non arriva fino al numero 27