Il Castello di Milano è indissolubilmente legato ai nomi di alcuni personaggi estremamente importanti, “registi” e “protagonisti” dell’intensa storia che lo accompagna da quasi sette secoli, storia ricca di eventi e di colpi di scena.
Sul Castello si sono scritti decine, o forse centinaia, di libri che ne illustrano con precisione date, battaglie, funzioni, intrighi e nomi di uomini che sono connessi alla nostra fortezza, ma fra tutti i documenti visti vorrei suggerire la lettura di un testo particolare, per di più gratuito, intitolato “Il Castello di Milano” e reperibile online su Google Books; l’autore – Lorenzo Sonzogno – lo scrisse nel 1837, l’anno precedente al completamento dell’Arco della Pace, e proprio con una frase dedicata al Cagnola termina il volume.
Ai nostri giorni siamo abituati a entrare e uscire dal Castello a nostro piacimento, a visitare i usei e le mostre che vengono ospitate e a incontrare una folla multietnica che distrattamente passeggia per i cortili, ma…
…non sempre è stato così, anzi in proporzione all’età del Castello, è proprio poco tempo che è possibile godere un simile luogo; per di più sapendo che abbiamo corso il rischio di non vedere proprio il Castello, la cui demolizione – verso la fine dell’800 – era già stata proposta e supportata da molte persone, anche influenti, che si sono fortunatamente (per noi) scontrate con la “cocciutaggine” di un uomo a cui è dedicato il breve tratto di strada che unisce la fontana del Castello con largo Cairoli: Luca Beltrami.
In sintesi, la storia del Castello Sforzesco inizia con i… Visconti!!! Già, perché risale al 1368 (anche se esistono discordanze di qualche anno su questa data) la realizzazione del castello di Porta Giovia (Castrum Porta Jovia) da parte di Galeazzo II Visconti, in quegli anni co-signore di Milano con i suoi due fratelli Bernabò e Matteo II (quest’ultimo pare avvelenato dai suoi stessi fratelli).
L’ultimo dei Visconti – Filippo Maria – morì nel 1447 senza eredi legittimi e il Castello (anzi sarebbe più corretto chiamarla Rocca Viscontea) a questo punto venne praticamente demolito dai milanesi durante i tre anni in cui il potere fu esercitato dall’Aurea Repubblica Ambrosiana, un instabile governo composto – a rotazione – da 24 membri della nobiltà locale.
L’incapacità di gestire la politica (anche territoriale) della Repubblica Ambrosiana, costrinse i membri a chiedere aiuto a Franceco Sforza, signore di Cremona, che abilmente dopo aver servito il governo, lo costrinse a cedere il potere e – nel 1450 – si autoproclamò Duca di Milano, iniziando così la dinastia degli Sforza.
Tra le prime azioni vi fu la ricostruzione del Castello (questa volta propriamente “Sforzesco”) che pur erigendosi sulle stesse fondamenta del precedente ne modifica sostanzialmente l’aspetto grazie alla Torre d’ingresso – opera del Filarete, ossia Antonio di Pietro Averlino – e ai torrioni rotondi opera dell’architetto Gerolamo Bartolomeo Gadio, al quale è intitolato il viale che scorre lungo la parte posteriore del Castello, attraversando in parte anche il Parco.
Negli anni successivi, dopo la caduta degli Sforza, il Castello vide passare – ripetutamente – francesi, spagnoli e austriaci i quali – a loro modo – reinterpretarono ogni volta sia la struttura che la funzione della fortezza.
Gli spagnoli, per esempio, edificarono intorno alle mura una ulteriore fortificazione, a forma di stella, nei decenni successivi ampliata con nuovi baluardi difensivi a pianta triangolare, come risulta da questa incisione di Marcantonio dal Re, che risale a circa la metà del ‘700.
Gli austriaci mantennero la struttura esistente e la funzione militare del Castello, procedendo anche a parziali opere di restauro che l’incuria e il tempo rendevano ormai necessarie.
Ma fu l’arrivo di Napoleone, nel 1796, a modificare sensibilmente l’impianto: fu demolita tutta la struttura esterna ai muri propri del Castello (facendolo tornare alle origini) mentre ancora una volta sia l’assedio napoleonico che gli stessi cittadini apportarono gravi danni a tutta la struttura.
Non solo: Napoleone lo destinò ad alloggio delle truppe, trasformando in stalle per i cavalli le sale affrescate al pian terreno della Corte Ducale…
Tornati gli austriaci vi furono nuovi restauri e pochi anni dopo (durante le Cinque Giornate di Milano, dal 18 al 22 marzo del 1848) il Castello viene nuovamente assaltato e saccheggiato dal popolo in rivolta.
Sembra non esserci pace per il Castello, occupato – dopo l’unità d’Italia – dall’esercito del giovane Stato, fino a che il 25 novembre del 1893 non viene ceduto dall’esercito al Comune di Milano, che inizialmente lo destina a sede dei Vigili del Fuoco.
E finamente, un paio di anni dopo, viene affidato all’architetto Luca Beltrami l’incarico di procedere con un vero restauro del Castello, ripristinando non solo le tre corti (Grande o delle Armi, Ducale e della Rocchetta) ma anche la Torre d’ingresso (detta del Filarete ed edificata nel 1452) crollata a seguito di una esplosione una sera di giugno del 1521.
Luca Beltrami per recuperare i disegni della torre (evidentemente introvabili…) ricorse persino agli affreschi del Bramante (a lui attribuiti, come del resto l’edicola che li contiene) presenti nella Cascina Pozzobonelli che ritraevano il Castello nella configurazione di poco successiva alla metà del 1400 e quindi con la torre voluta da Francesco Sforza già edificata.
Sembra anche che si ispirò a graffiti presenti nell’abbazia di Chiaravalle.
Venne restuarata anche la Ponticella del Moro, anch’essa pare realizzata dal Bramante (Donato di Angelo di Pascuccio, Fermignano 1444 – Roma 1514) che permetteva il superamento del fossato, un tempo ovviamente alimentato con le acque derivanti dai Navigli e dalle rogge limitrofe.
Non va dimenticato che nel periodo sforzesco (e più precisamente con Ludovico il Moro) vennero chiamati a corte alcuni fra i più importanti artisti (pittori, architetti, scultori) come – oltre al già citato Bramante – Leonardo da Vinci, che affrescò la sala delle Asse (così chiamata per la presenza di un rivestimento ligneo) con i suoi famosi “intrecci di rami”.
L’inaugurazione del rinato Castello, e della nuova Torre del Filarete, avvenne il 24 settembre del 1904 dopo due lustri di intenso lavoro; addirittura il Re (Umberto I di Savoia) ebbe più volte a complimentarsi con Luca Beltrami, ma il “Re Buono” non potè presenziare all’inaugurazione in quanto fu assassinato a Monza il 29 luglio del 1900. A lui è tuttora dedicata la Torre del Filarete, come testimonia la lapide sopra il portale d’ingresso.
Certo è che osservare il fronte del Castello prima dell’intervento del Beltrami offriva – a noi che lo conosciamo oggi – una sensazione di vuoto, e l’effetto arrivando da via Dante non era certo paragonabile ad oggi, ma del resto anche via Dante prima del 1884 non esisteva proprio…
Sebbene non sia possibile, in un articolo come questo, essere esaustivi su ogni particolare relativo al Castello, non si può non menzionare la Ghirlanda.
La Ghirlanda è (o meglio, era…) la cortina muraria posta a difesa del Castello al di là del fossato, che nella controscarpa ospita persino una strada segreta – chiusa per molto tempo – che da gennaio 2008 è di nuovo aperta al pubblico (accompagnati da una apposita guida).
E’ possibile recuperare ulteriori informazioni sull’intervento di recupero della strada coperta della Ghirlanda, consultando questo PDF del Comune di Milano (tra l’altro ricco di interessanti fotografie).
Consiglio inoltre a tutti di visitare le sale del Castello, la statua di san Giovanni Nepomuceno, i ruderi del rivellino superstite (quello di Santo Spirito verso porta Vercellina, mentre il rivellino dei Carmini verso porta Comasina e quello del Parco sono stati demoliti…), l’arco della Pusterla dei Fabbri, i musei e – previa verifica della disponibilità – regalarsi anche una visita guidata sui camminamenti e nelle stanze della Corte Ducale. Per maggiori informazioni visitare il sito www.milanocastello.it
Buon “camminamento”…
Un paio di informazioni in aggiunta al sempre affascinante lavoro dell’autore. Le due torri rotonde della facciata sforzesca dovettero probabilmente essere costruite successivamente all’epoca di Francesco Sforza che era un capitano di ventura e guidava quindi forze militari che combattevano all’arma bianca. Infatti la ragione che introdusse nelle planimetrie dei castelli le torri rotonde a guardia e difesa degli angoli fu la diffusione stabile delle armi da fuoco come strumenti di attacco. Grazie alla rotondità della loro superficie, infatti, queste torri erano in grado di ridurre la dannosità dell’impatto delle palle di cannone deviandone lateralmente il rimbalzo, diversamente dalle torri angolari quadrate come quelle che si ritrovano, non a caso, sull’altro lato del castello, che é di epoca viscontea.
Un commento invece al pdf del comune di Milano che collega il fossato visibile all’interno della piazza d’armi sforzesca a ridosso della parete che la separa dalla parte viscontea, la più antica del castello. Si legge che quel tratto di fossato coincidesse probabilmente col fossato difensivo della città. Mi sembra poco logico: data la sua collocazione viene piuttosto da pensare che costituisse il fossato di difesa del castello verso la città all’epoca dei Visconti. Interessante piuttosto notare come sia questo fossato (nel caso la mia interpretazione sia corretta) che le due torri rotonde dessero verso la città. Questo perché il nemico più pericoloso, sin dall’era viscontea del granducato e almeno fino all’arrivo di Ludovico il Moro, veniva sempre identificato nei cittadini. Anche la costruzione della parte Sforzesca del castello (in cui peraltro Francesco Sforza non abitò mai), non a caso venne appoggiata alla preesistente struttura viscontea dal lato della città, non dal lato opposto, verso le campagne, poi riserva di caccia dei granduchi. Era dalla città che questi si attendevano le maggiori minacce.
All’epoca in cui i francesi, chiamati improvvidamente da Ludovico Sforza per aiutarlo contro i familiari nemici, vennero a Milano, lo catturarono, se lo portarono via e poi si appropriarono della città, nel primo cortile del castello – la piazza d’armi sforzesca – si ergeva la struttura in legno del gigantesco cavallo commissionato da Ludovico a Leonardo da Vinci. Quello che una decina d’anni fa un riccone americano affascinato da questa storia decise di commissionare ad una scultrice giapponese e di regalare poi a Milano. Questa struttura era pronta per costituire la base sulla quale si sarebbero poi appoggiate, nelle intenzioni di Leonardo, le lamine di bronzo che avrebbero formato la superficie dell’opera. Ma a questa fase ovviamente non si giunse mai, perché Leonardo, con la partenza coatta del Moro, piantò baracca e burattini , trovando il modo di farsi assumere alla corte di Francia. I soldati francesi, accampati nel cortile, ingannarono il tempo divertendosi a giocare a tirassegno contro la struttura lignea finché non la ridussero ad un colabrodo.
Un’altra notina interessante: non credo che Napoleone avesse distrutto la formazione difensiva a stella che gli spagnoli (quando venne il loro turno di dominarci, a metà del ‘500) avevano aggiunto all’esterno del castello come ulteriore baluardo. Credo piuttosto che Napo si fosse limitato a sotterrarle. Tant’é vero che a chi fosse capitato come a me di percorrere nel luglio del 2008 via Paleocapa venendo dal teatro dell’Arte, non sarà sfuggito uno scavo al centro della carreggiata con restringimento del traffico, tra il fianco della stazione di Cadorna e la casa di fronte. Probabilmente il solito insensato scavo esplorativo a fini di cementificazione sotteranea per dei garage fatto in una zona centrale della città, (come S.Ambrogio, come prima il Dal Verme). Prima che si rinascondesse il tutto come si fa sempre in questa città, un giorno mi sono fermato, sono sceso dalla moto, ho attraversato la strada fino agli scavi e ho visto coi miei occhi lì sotto i mattoni che formavano una delle imponenti punte della stella difensiva spagnola, estratta dal terreno per una profondità di circa cinque metri, in condizioni assolutamente perfette.
A proposito del modo mai abbastanza deprecato con cui trattiamo le nostre antichità, lasciatemi sfogare un attimo anche se non c’entra niente col castello. All’epoca degli scavi in Foro Buonaparte all’altezza del Teatro Dal Verme per i garage che poi sono stati fatti, i lavori erano rigorosamente nascosti alla vista dei passanti da alte e serrate barriere di legno. Ebbene questi occhi, cercando un buco per guardare ed avendolo trovato in un nodo di legno che era saltato via da una tavola hanno visto pavimentazioni a mosaico di epoca chiaramente romana con tanto di muri divisori in pietra e cotto e, credo, un paio di metri più sopra pavimenti e pareti decorate presumibilmente di case di epoca medievale. Chissà che fine ha fatto tutto ciò.
Mao
c’erano gli estremi per una denuncia penale.
In effetti le torri rotonde non credo si trovino ad esempio nel castello di Vigevano o inquello di Galliate… ma della rocca viscontea qualcuno sa più o meno esattamente cosa si pensa che fosse rimasto dopo la demolizione nei tre anni di repubblica ambrosiana?
Articolo interessante, ma che non dice tutto quello che si può dire (anche perchè nessun articolo di poche righe sul castello può essere esaustivo! )
Avrei dedicato un po’ di spazio al crollo della torre del Filarete del 1521 e alla torre di Bona di Savoia, ma va bene così. Comunque grazie per il riferimento al libro, che leggerò volentieri!
Molto interessante l’intervento di Mao:
il punto è che il fossato in questione è sulla linea ideale della cerchia interna (ovvero per andare da Carducci a Pontaccio, la fossa interna doveva per forza tagliare il castello in quel punto lì. Per me quel fossato è preesistente rispetto alla rocca di Porta Giovia e risale all’epoca del Barbarossa. La cosa però che rimane insoluta è il motivo per cui la rocca di Porta Giovia si sia sviluppata all’esterno della cerchia, mentre la coeva rocca di Porta Romana (Bernabò) era all’interno, da quanto mi risulta. Quindi potrebbe tornare in gioco la tua spiegazione…qualcuno riesce a fare chiarezza su questo punto?
Quanto alla punta di stella emersa in via Paleocapa, è molto probabile che Napoleone abbia demolito l’alzato della stella, ma che comunque sia rimasto qualcosa delle fondamenta e della parte bassa dell’alzato.
Sottolineo il commento di Francesco.
Continuo con la considerazione in merito alle demolizioni che all’epoca erano eseguite a raso.L’interesse degli architetti napoleonici era di portare in piano tutta l’area dell’odierno foro per ovviamente edificarlo secondo i canoni,una sorta di ampio terrazzamento sul leggero pendio che scendeva verso la città.
Dunque si può pensare che le demolizioni siano intervenute in questa misura e non oltre.Smantellare muri e strutture che sarebbero comunque rimaste al di sotto del livello stradale era inutile ed anche uno spreco.
Ora,le mura difensive poggiavano ad una quota più bassa rispetto al castello,a valle del declivio,a questo si aggiunga lo scavo del fossato,che abbassa ulteriormente la quota.siamo dunque ben al di sotto del livello stradale odierno.
Chiedo a Mao se ha visto solo mattoni o alla base ha notato anche le pietre.
Per Mirco: a quel che ricordo, solo mattoni. Ma quello che mi colpì fu la perfetta conservazione del manufatto, come se la enorme punta della stella fosse stata appena costruita. I mattoni erano in ottime condizioni.
Qualcuno ha qualche elemento per stabilire se sia il castello di mattoni piú grande d’Europa o qualcosa del genere?
Perché alcuni (i polacchi) sostengono che sia questo: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Malbork ma la cosa è dubbia (https://en.wikipedia.org/wiki/Talk:Malbork_Castle#World.27s_largest ).
Nemo,se ti riferisci al castello nelle condizioni odierne,probabilmente hanno ragione i polacchi.
Nelle condizioni originarie ho qualche dubbio,poichè non riesco ad avere un’idea precisa dell’estensione comprendendo anche le mura spagnole,ma il castello polacco mi sembra comunque una struttura molto più articolata.
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