Tutto ebbe inizio con la “grande peste” che si sviluppò a Milano negli anni che vanno dal 1629 al 1631, e che sono stati abilmente raccontati da Alessandro Manzoni nel suo romanzo storico “I promessi sposi”, in parte ambientato – come tutti sanno – a Milano proprio in quegli anni.
La peste a Milano era “quasi” un appuntamento periodico, infatti quella raccontata dal Manzoni non fu nè la prima nè l’ultima, ma fu certamente una di quelle memorabili per l’elevato numero di vittime: molte fonti riportano un numero di decessi superiore alle 140.000 unità, e alcuni ne riportano addirittura 165.000 (come scrisse il medico Alessandro Tadino).
Ricerche più recenti hanno ridimensionato questo numero a circa 80.000 unità partendo dalla popolazione presente prima della diffusione della peste (circa 130.000 abitanti tra religiosi e civili) e quella sopravvissuta all’epidemia (poco oltre i 50.000); certamente si tratta di numeri impressionanti in ogni caso.
Ma cosa ha a che fare la peste del 1630 con la “Madonna di tencitt”? Chi o cosa erano i “tencitt”? esiste ancora? dove si trova o dove si trovava?
Iniziamo a rispondere dall’ultimo interrogativo la cui risposta, come si sarà intuito dalla fotografia di apertura, è: via Laghetto.
Come facilmente immaginabile, e come forse si è già letto in altri scritti, via Laghetto ha questo toponimo perché per quasi 500 anni l’area ha accolto le acque del Naviglio fino a formare un vero e proprio porticciolo, destinato – com’è ovvio – alla movimentazione di merce di vario genere.
Lo fece costruire Gian Galeazzo Visconti a partire dal 1388 affinché venisse agevolato il trasporto dei pesantissimi blocchi di marmo provenienti dal lago Maggiore (il celebre marmo di Candoglia) necessari per la costruzione del Duomo, che arrivavano percorrendo il Ticino e quindi il Naviglio Grande, per giungere a Milano presso il laghetto di Sant’Eustorgio.
La Darsena infatti, con la configurazione attuale, è stata realizzata solo nei primi anni del 1600 già in piena epoca “spagnola”; grazie alla Conca di Viarenna si riuscì a far passare dal Naviglio Grande alla Cerchia Interna il materiale in transito e quindi si studiò quale punto della cerchia interna fosse il più idoneo per avvicinarsi alla nuova cattedrale.
La risposta sappiamo che fu quella di navigare fino a giungere in prossimità della chiesa di Santo Stefano, dopo aver creato appunto un bacino d’acqua in via Laghetto.
Da lì il percorso per arrivare al Duomo via “terra” era sempre faticoso, ma almeno era decisamente più breve rispetto al laghetto di Sant’Eustorgio (circa 500 metri contro 2 chilometri).
Col passare degli anni (tanti anni…) il trasporto dei blocchi di marmo non servì più e sebbene il piccolo porticciolo di via Laghetto venisse usato per altri scopi, come per esempio il trasporto della legna e del carbone, si decise per motivi prevalentemente igienici di interrare il piccolo specchio d’acqua.
Fu l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe nel 1857 (mancava poco all’unità d’Italia) a decretarne la sua fine dopo una visita alla Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore, in quanto verificò di persona che le zanzare e le cattive esalazioni dell’acqua (pressocchè stagnante) rendevano la degenza degli ammalati decisamente più difficile.
E così dopo 469 anni questo breve tratto di via tornò ad essere “asciutta”.
Fintanto che non venne coperto circa 70 anni dopo il Naviglio anche sul retro dell’Ospedale Maggiore, cioè lungo la via Francesco Sforza, via Laghetto era raggiungibile – solo dai pedoni – attraverso un grazioso ponticello.
Da un vocabolario – edito proprio nel 1857 – riportiamo sulla sinistra un dettaglio con la “traduzione” dal milanese all’italiano del termine “tencin”, da cui deriva “tencitt”, e che a sua volta eredita la radice dal termine “tenc”.
Difatti “tenc” (con la “c” dolce) significa “bruno”, “scuro” e chi più di un carbonaio poteva diventare scuro? Da Tencin del laghett a Tencitt il passo è breve.
Rimane ora da mettere insieme le due parti del discorso: la peste e i carbonai.
Un certo Bernardo Catoni, priore degli scaricatori, uscì indenne dalla pestilenza e a titolo di ringraziamento e di devozione verso la Madonna che aveva “miracolosamente” salvato lui e la maggior parte dei Tencitt (cioè dei carbonai, che facevano parte degli scaricatori), posizionò un dipinto a fresco (cioè un affresco) sul muro esterno della casa che oggi si trova tra la via Laghetto e il vicolo Laghetto.
L’affresco, che risale al 1630 circa è tuttora visibile, anche se per preservarlo è stato ricoperto con una apposita protezione, la quale però – purtroppo – riduce anche la possibilità di coglierne appieno tutti i dettagli e le particolarità del disegno.
Quella proposta è una fotografia tratta da Wikimedia Commons, eseguita da Giovanni dall’Orto.
L’affresco rappresenta la Madonna, alla quale due cherubini tengono sollevati i due lembi del mantello (tecnicamente si tratta di un peplo), mentre protegge San Sebastiano, San Carlo Borromeo e San Rocco, quest’ultimo con l’immancabile cagnolino.
Ai piedi dei santi, sulla destra, si intravede la figura (parte del busto e la testa) proprio di Bernardo Catoni, mentre la parte inferiore dell’affresco è riservata a una panoramica del Lazzaretto con alla destra un corso d’acqua e un ponte sul quale transitano gli appestati in arrivo, mentre sulla sinistra un carico di salme lascia il Lazzaretto per recarsi in uno dei cimiteri disponibili (i fopponi).
Quello più vicino era proprio il foppone di San Gregorio, ma non si deve dimenticare che in determinati giorni morivano più di 1300 persone, per cui si presentavano delle difficoltà oggettive anche per gestire questi ingrati compiti; va ricordato inoltre che la peste era molto contagiosa e quindi i cadaveri dovevano essere trattati con particolari accorgimenti.
Anche se non si potrà mai più rivedere via Laghetto come mostra la fotografia qui a lato riportata, consiglio a tutti una bella passeggiata per queste vie del centro così ricche di storia e troppo spesso percorse senza nemmeno accorgesene…
Nota: nella pagina delle stampe è presente un bellissimo dipinto di via Laghetto nella prima metà dell’800, di cui purtroppo si ignora l’autore.
Mio padre lavorava da quelle parti, quindi si passava spesso, con mia madre, per Via Laghetto e Via della Signora, per poi uscire in P.zza Santo Stefano …addirittura, lei, approfittava di quei momenti per farmi tagliare i capelli, dal barbiere all’angolo delle due vie …. l’Aristodemo ….momenti tragici, per me, in quanto dovevo stare in ginocchio per “lunghi” minuti, nelle sgrinfie del barbiere…. e il sedile a cavalluccio nell’angolo?….
Ho recuperato anni dopo la poesia e la storia di quei luoghi, che allora ai miei occhi, comunque, risultavano poco attraenti…a causa degli edifici bombardati tutt’intorno, soprattutto l’Ospedale e la Via Festa del Perdono che solo molti anni dopo verrà recuperata al decoro urbano: “Ma come…la nonna è stata qui?” Coi miei occhi infantili me la vedevo, malata, sotto i bombardamenti (naturalmente non era stato così)…..Solo anni dopo mi resi conto di quel dipinto sul muro….
Provai però quasi un sentimento d’orgoglio d’appartenenza quando vidi il film “Cronache di un amore” mentre Lucia Bosè passa per i luoghi della mia infanzia…restituendomi tante memorie…..
A proposito … mia mamma dopo il barbiere (forse per consolazione?), andando verso il tram, non mancava mai di visitare…. (a monito?)… San Bernardino alle Ossa, chiesa famosa per la macabra esposizione gotico-barocca dei resti dei benemeriti dell’Ospedale….senza mai passare per Santo Stefano, chiesa che, comunque, avrebbe ben meritato una visita…. Ci dovetti pensare da solo….anni dopo…. naturalmente dopo una piccola visita a San Bernardino….
Buongiorno Sig Ottavio ho letto solo oggi il suo commento che ho fatto leggere oggi alla mia mamma ottantottenne nipote di Aristodemo!
Ci ha fatto proprio piacere leggere il suo commento! E ricordare il nonno Aristodemo che lavorava con i figli Vittorino(Rino) e Otello. Chissà se da qualche parte di possa trovare una foto della bottega.!Io ogni tanto passo da li e mi ricordo bambina. Andavo in negozio a trovare il nonno Rino e lo zio Otello.
Ottimo articolo (lo dico sempre ma questa volta ancora più convinto)!!! Da tempo mi chiedevo quale fosse l’origine di quella immagine votiva, ma non avevo mai avuto il tempo di approfondire. Sono appena passato a vederla e a “bullarmi” con i colleghi (forte della descrizione fatta in questo sito, mi piace vincere facile:) )
In effetti la parte bassa dell’affresco la si intuisce più che vederla in dettaglio, il riflesso del vetro impedisce la vista dei particolari.
Comunque il contrasto tra la zona martoriata e trafficata del Verziere e quella conservata e pacifica di via Laghetto e Festa del Perdono (che di fatto è la zona del Brolo) è veramente notevole. Sembrano due città diverse!
mi fa pacere che mi metti qualcosa di culturale sulla mia bacheca tvb emma
Riguardando l’esaustivo articolo, mi è venuto in mente che, passando proprio sul “bordo” del laghetto, noi “andeghee”, possiamo ammirare la facciata della antica chiesa di San Giovanni in Conca.
E’ l’unico reperto rimasto di detta chiesa tanto bistrattata dalle autorità cittadine, prima ridimensionata e quindi proprio rimossa per il rimodernamento dell’arredo urbano… (vedi Bottonuto)…anzi no…all’imbocco di Via Albricci rimane “El dent cariaa”, ovvero i resti della cripta di detta chiesa, che qualche lungimirante assessore ha pensato bene di salvaguardare negli anni e finalmente rendere di pubblica facile fruizione l’anno scorso, grazie al Touring Club e i suoi volontari.
Tornando alla storica facciata, anch’essa è stata benedetta dall’intervento di qualche assessore volenteroso salvandola ed assegnandola ad adornare la parte anteriore della Chiesa Valdese sita in Francesco Sforza …. antichi ricordi: “Mamma che chiesa è?” -“Ehhh… l’è quela di Valdes!” – “Chiii?” – “Eh i Valdes…” e glissava…lì non entrammo mai contrariamente a San Bernardino…
Un aneddoto macabro-esoterico: I morti della(e) peste(i) venivano poi sepolti in fosse comuni, possibilmente molto fuori dalle mura, addirittura oltre i confini di quelli che saranno i Corpi Santi.
A San Pietro all’Olmo, per Magenta, c’era una località chimata “Foppon di appestaa”…. caso volle che il Comune di Cornaredo costruisse in loco un lotto di case sovvenzionate. Una nostra amica ivi abitante, una notte ebbe un incubo. Sognò di venir
trasportata come su un carretto ballonzolante e quindi di venir scaraventata a terra….Personalizzazione psichica? Presenze? Cena troppo pesante?….prendetela così come mi è stata raccontata….
Grazie per i Vs. articoli.
Ciao a tutti, intanto vi faccio i complimenti per questo magnifico blog. Pochi giorni fa passando per via della Signora ho notato un doppio portale sulla destra percorrendo il senso di marcia, avete idea di cosa sia/sia stato? L'”entrata di servizio” di san Bernardino??
Grazie, Gianluca
Certo vedo solo ora i post a questo articolo e siamo già a fine marzo 2015,
ma solo questa mattina ho fatto un giro con un’associazione che ci ha spiegato tante cose di quella zona. Il portone strano era l’ingresso della
palazzina dei Trivulzio, che si collegava da lì con la chiesa di Santo Stefano,
onde evitare di fare tutto il giro delle strade e unirsi al semplice popolino.
il diminuitivo “itt”è semplicemente il plurale di “in” in milanese , il martinin diventano i martinitt.e mi sa che tu non sei prpr milanesissimo. però apprezzo i tuoi sforzi e soprattutto la passione.stesso discorso per tenc che è più di scuro nel senso che dà l’italiano. il milanese dice”l’è scur” per dire che è buio. la peppatencia è la dama di picche nelle carte milanesi.tencio quindi è bruno nel senso di colore di capelli, perciò vicino al nero.te see tenc, te me paret un negher. vuol dire abbronzati parecchio.stai attento alle traduzioni dei dizionari scritti con un italiano fuorviante d’altri tempi.
Egregio signor Guido,
la ringrazio per aver colto la passione con cui mi dedico a questo blog e alla storia della mia città, dove sono nato ormai più di mezzo secolo fa.
Da bambino mi ricordo che in famiglia si parlava principalmente milanese (anzi, a casa dei nonni si parlava solo milanese…) sebbene la scuola allora non approvasse e non agevolasse questa scelta.
Ricordo che era il periodo in cui si ricevevano ancora le bacchettate sulle mani se non si seguivano le indicazioni del maestro (e a scuola si doveva parlare solo italiano) e il grande e stimato da tutti maestro Lanzani nella scuola elementare di via Veglia non faceva eccezione.
Gli sforzi a cui lei fa riferimento non sono quindi evidentemente rivolti alla comprensione del milanese (che è stata la prima lingua che le mie orecchie hanno sentito), ma sicuramente alla ricostruzione di fatti, eventi, curiosità e storie che la mia città custodisce gelosamente, e che solo chi gode di questi dettagli apprezza veramente.
Nel darle il benvenuto sul nostro blog, la saluto cordialmente,
Fabio
il quadro di cui parli chiuso un una teca trasparente un tempo era protetto da delle ante di legno che lo nascondevano alla vista e venivano aperte una sola volta all’anno. il 15 di agosto, se non ricordo male. durante una processione che un tempo era molto partecipata.
la storia del “dente cariato ” è unica e molto triste perché parla di discriminazione e di danni alla nostra città in epoca abbastanza recente.intanto bisogna dire che la chiesa è stata demolita nel dopoguerra (anni ’50 quando per costruire la torre velasca e la piazza circostante si rase al suolo un quartiere sopravvissutoai bombardamenti)e salvata dalla sopritendenza attraverso l’attivissimo cederna che riuscì a salvare la piazza s. alessandro con chiesa barocca annessa(parte dello stesso progetto di ammodernamento che prevedeva una miniautostrada che da via larga arrivava al sempione)e riuscì appena in tempo a salvare l’antichissima cripta che si può ancora oggi visitare.moltissime delle opere medievali che arricchiscono il castello sforzersco e il suo museo sono state prelevate da questa chiesa che ha avuto il torto di essere Valdese e di aver subìto ben due ridimensionamenti prima d’essere trasferita(la facciata solamente)pietra su pietra in via francesco sforza di fianco alla cà granda.Caso unico e dimenticato perché molti sono convinti che sia stato un bombardamento a ridurla così e non la “stupidera” speculativa dei suoi concittadini.era la chiesa di un visconti famoso per i suoi cani che aggredivano i poveri popolani indifesi che non potevano neanche toccarli pena la morte.
non è un caso che il famigerato gruppo BBPR che ha costruito la torre velasca, che per nemesi oggi è un edificio che rischia l’inutilizzo,ha pensato anche alla sistemazione del museo al castello, con le opere prelevate dalla chiesa, tutte in perfetto stato (compreso un imponente monumento funerario con cavallo e cavaliere)evidente perciò che la chiesa fosse ancora come i visconti l’avevano lasciata.la sistemazione del museo viene ricordata per la pessima idea di mettere quadrelli di cemento dietro la pietà rondanini che lascia di stucco molti dei visitatori a milano…
@vecchiamilano – dialetto o no?
A sottolineatura, e conferma posso aggiungere che in casa i miei, fra loro e fra parenti e vecchia amici parlavano espressamente milanese mentre con noi figli parlavano italiano, salvo durante le sgridate o le improvvise interiezioni (mai volgari comunque). E noi bambini, comunque circondati da una società dialettale, parlavamo italiano fra noi, salvo citazioni o modi di dire…..
A scuola si parlava italiano, senza traumi, comunque, per il “dialetto perduto” in quanto alla Moscati si era abbastanza cosmopoliti già allora.
Al lavoro mio padre parlava milanese fra colleghi e magari anche qualche vecchio capo a meno che non fosse uno proprio alla sommità.
In quanto a questo posso raccontare un aneddoto di raggelamento da parte di mia madre….si era al mare si stava giocando a piattelli sulla battigia fra lazzi e battute: “Ma dai che svirgol…mira al bogin…ma va là…ma sta attent!!!” Oh mados….!!!”– Improvvisamente appare un capo di mio padre che salutatolo, si degna di assistere per qualche minuto alla tenzone del “sottoposto” – Improvvisamente mia madre, che fino ad allora era fra le più vive e ciarliere, per pudore, o accondiscendenza, si blocca e comincia affettatamente a declamare: “Oh accipicchia … mira bene….stai accorto!!!” Inopinatamente glielo feci notare, mi presi un calcio negli stinchi (di nascosto naturalmente).
Notare che quel dirigente stava parlando con mio padre alternando anche motti dialettali …. ma quell’improvviso senso d’inferiorità di mia madre mi resterà scolpito……..
@ guido s.
Approfittando di un giro in centro con la mia nipotina novenne sono passato per Santo Stefano-Laghetto-Festa del Perdono….desideroso di farle vedere (come tradizione familiare) S.Bernardino ma erano le 12.00 ed era chiuso, poi indicandole la Torre Velasca le ho detto: “Hai visto il grattacielo?” – “Grattacielo!? Ma vahhhh!!!” – Dopo ampia discussione siamo arrivati al compromesso che si tratti solo di un edificio alto…..opinione suggellata nel momento in cui ci siamo trovati proprio sotto alla costruzione: “Ah sììììì!!”
Ma non è un grattacielo……
caro “vecchia milano”, devi scusarmi, la mia pignoleria dà noia pure a me stesso! pensa che io neppure lo parlo il milanese! sono più giovane e i miei sono milanesi-lombardi. mia madre in epoca fascista, con padre fascista doveva parlare in casa in italiano per non dar mostra d’essere ariosi. ad ogni modo il tuo lavoro è molto bello, continua così! ps: la tua fonte per le foto è l’archivio alinari al castello? lì ho trovato di tutto..
Le fotografie che si possono ammirare nei libri Alinari sono quasi sempre dei capolavori, sia per i soggetti (ovviamente) sia per le tecniche di inquadratura e di luce. Ci sono volumi e raccolte che non dovrebbero assolutamente mancare nella propria collezione di libri su Milano.
Ma è anche vero che molte fotografie godono ancora di diritti d’autore e quindi non potrebbero essere liberamente pubblicate; ho usato il condizionale perché può accadere che alcune riproduzioni – tipicamente cartoline reperite su Internet – utilizzino materiale Alinari, consapevolmente o inconsapevolmente. E’ da un paziente lavoro su Internet che vengono raccolte e catalogate le varie inquadrature della nostra città e quindi pubblicate – se ritenute significative – cercando in ogni caso di non ledere alcun diritto (formato ridotto e bassa qualità).
Ciò non toglie che chiunque detenga i diritti legali per richiedere la rimozione del materiale pubblicato può farlo semplicemente effettuando una specifica e richiesta che verrà soddisfatta dopo i necessari tempi tecnici. Anche se mi auguro che nessuno ci neghi il piacere di godere degli scorci della nostra Vecchia Milano…
Sono d’accordo in generale con i Diritti d’Autore sui vari materiali fotografici e, personalmente, se non per uso familiare (per sottolineare i vari ricordi chre ci si scambia fra parenti), mai mi permetterei di usufruire pubblicamente delle immagini di Skyscraper o Flickr (una vera manna) non parliamo di un Alinari….ma quando mai li userei poi? Forse in un mio possibile commento in VecchiaMilano a sottolineatura….
Il fatto è, però, che consultando i vari libri meneghini disponibili, da quelli trovati in biblioteca (di vecchia edizione) a quelli da me comprati (più recenti) mi è capitato di imbattermi negli stessi dagherrotipi e foto e diapositive usati e riusati e strausati dai vari autori, nel corso degli anni, a compendio delle loro opere…qualcuno, giustamente, cita le fonti, ma la gran parte mi sembra di no….che certe immagini siano diventate patrimonio comune?
E’ solo una mia impressione, magari, sotto sotto, c’è tutto un lavoro di richiesta di autorizzazioni e “quant’altro” che non appare…probabilmente, è sempre un mio parere, solo le Foto Alinari sono ben distinguibili…ma tutte le cartoline, le foto personali che circolano? Potrei, per assurdo, accompagnare un mio testo pubblico con una cartolina del Castello speditami da mia madre nel 1954 in colonia?….
Avrete capito che mi piace chiacchierare…magari a vanvera…comunque a riscriverci….