Se immaginassimo di poter tornare indietro di qualche anno, diciamo più o meno 240, e ci trovassimo subito fuori dai portoni di Porta Nuova, in piazza della Canonica (oggi diremmo in piazza Cavour) dando le spalle agli archi, avremmo una visuale leggermente diversa rispetto a quella a cui siamo abituati.
Sulla sinistra troveremmo la strada de’ Fatebenefratelli percorsa dal Naviglio che proviene dal laghetto di San Marco; sulla destra la strada di San Pietro Celestino anch’essa percorsa dal Naviglio, e che trascorso qualche decennio assumerà il toponimo di via Senato.
Fin qui (a parte il Naviglio, i nome delle strade e gli edifici che le adornano) non saremmo disorientati al punto di arrivare a perderci…
Basterebbe però volgere lo sguardo oltre la linea “disegnata” dal naviglio per rimanere un po’ – diciamo così – perplessi…
Per iniziare ci troveremmo di fronte, leggermente sullaa sinistra, la facciata della chiesa di san Bartolomeo (fondata nel 1065), di cui abbiamo già visto una fotografia scattata all’epoca della sua demolizione avvenuta all’inizio degli anni ’60 (del XIX secolo); demolizione che è avvenuta per consentire l’apertura della nuova via Principe Umberto che conduceva al tunnel sotto i bastioni per poter quindi accedere al piazzale della erigenda (vecchia) Stazione Centrale, cioè il tracciato dell’odierna via Filippo Turati.
Frontalmente agli archi si apriva la strada della Cavalchina, l’attuale via Daniele Manin. Il toponimo derivava dal nome dell’illustre famiglia Boniforte Guidobono Cavalchini proprietaria di un ampio caseggiato lungo la via che era definita – come risulta da testi dell’epoca – angusta e melanconica.
Oltre la strada di S.Angelo (oggi via Moscova) si sarebbe inaugurato in quegli anni (1778) un edificio che avrebbe per molti anni ospitato la Zecca, dando anche il nome al tratto di strada prospiciente l’ingresso, ossia al proseguimento della strada della Cavalchina, fino a terminare a ridosso dei bastioni spagnoli.
Tonando in piazza della Canonica non avremmo trovato né la statua di Camillo Benso conte di Cavour (morto nel 1861) né il Palazzo della Stampa, costruito durante il ventennio per ospitare la sede della redazione del Popolo d’Italia, il quotidiano del regime.
Al suo posto si erigeva un convento che appartenne alle monache dell’ordine degli Umiliati, anticamente chiamato anche Santa Maria alla Canonica (da cui il nome della piazza) e che ospitò anche la prima sede dell’Istituto Tecnico Superiore, o Politecnico, prima che la sede di quest’ultimo trovasse una collocazione definitiva (nel 1927) nella neonata Città Studi.
E’ rimasto solo un toponimo a ricordare la sua presenza tra via Senato e via Palestro: via del Vecchio Politecnico, appunto.
Via Palestro nel 1770 si chiamava strada Isara (o Risara) e, a differenza di come la conosciamo oggi, era fiancheggiata da “tristi caseggiati e da campi recintati, bottegucce e catapecchie che venivano date in affitto a operai” (frase tratta testualmente da un libro del 1869).
La seguente immagine mostra la strada Isara (cioè via Palestro) nel 1808, dopo l’allargamento e la costruzione della villa Belgiojoso ora villa Reale, in direzione piazza della Canonica (il campanile che si intravede sul fondo è quello di San Bartolomeo).
A “chiudere” quest’area delimitata dalle due strade della Cavalchina e Isara, c’erano verso nord i bastioni di circonvallazione e verso est il borgo di Porta Orientale che corrisponde all’attuale corso Venezia; il motivo per cui Porta Orientale (cioè Porta Venezia) non sia rivolta a Oriente (cioè a Est) come farebbe supporre il suo nome, bensì a Nord-Nord-Est è da ricercare nel ripetuto spostamento della Porta Orientale originale, situata indicativamente poco oltre San Babila, e avanzata per allargare i confini cittadini seguendo le strade già tracciate, modificando però così la sua direzione naturale.
Una cartina della zona, risalente al 1830 circa ma facilmente adattabile a quanto ora esposto, chiarirà meglio i contorni della zona che verrà occupata dai giardini pubblici, oggi intitolati a Indro Montanelli.
E fu così che nel 1783 il governatore del Ducato di Milano, l’arciduca Ferdinando d’Austria, approvò il progetto – redatto dall’onnipresente Giuseppe Piermarini – di conversione dell’area in un comodo, gradito e salubre giardino.
Nel 1786, il 29 settembre, si collaudò l’opera del Piermarini, che tra le altre attività fece anche prolungare la strada Isara fino al corso di Porta Orientale, in quanto fino ad allora terminava all’altezza di via Marina.
Negli anni successivi la zona acquistò un aspetto via via sempre più piacevole tale da indurre alcune importanti famiglie ad acquistare terreni e orti per costruire le proprie residenze; esattamente come fece la famiglia del conte Lodovico Belgiojoso, che nel 1790 acquistò il terreno adibito a orto dove oggi sorge la villa Reale, la quale originariamente si chiamava – come è facile intuire – villa Begiojoso (ma che fu anche residenza di Napoleone Bonaparte).
In realtà non tutta l’area delimitata dalle strade sopracitate era diventata giardino; rimanevano all’interno della zona dei poderi di proprietà di privati (i già citati Cavalchini, poi i Casati e infine i Dugnani) ma che nel 1846 furono tutti acquistati dal Comune di Milano.
Qualche anno più tardi (1856) fu affidato all’architetto Balzaretto l’incarico di integrare il latifondo Dugnani con i giardini pubblici, aperti al pubblico nella loro totalità già nel 1860. Non va dimenticato che si trattava di anni particolarmente “caldi” da un punto di vista politico, principalmente a causa della formazione del Regno d’Italia e della sconfitta degli austriaci.
E in tema di euforia per il neonato regno, oltre che per l’ammodernamento della zona, fu eretta anche nella piazza della Canonica la statua a Camillo Benso conte di Cavour, primo Presidente del Consiglio del regno, prematuramente scomparso a soli 51 anni proprio nel 1861.
L’inaugurazione della statua avvenne già nel 1863, mentre la piazza mutò il suo toponimo nel 1865. Nel 1863 fu anche inaugurato il Museo Civico di Storia Naturale nel palazzo che fu del Dugnani (in precedenza era ubicato nella contrada del Durino, ora via Durini).
Non va certamente dimenticato in questa breve esposizione il Planetario che trova spazio all’interno del perimetro dei Giardini Pubblici, ma costruito molti anni dopo; fu inaugurato infatti il 20 maggio del 1930 alla presenza di Benito Mussolini.
L’opera è stata progettata dall’architetto Piero Portaluppi (un altro nome importante per Milano) su specifiche indicazioni dell’ingegner Ulrico Hoepli (1847-1935) appassionato di astronomia, il quale finanziò il progetto e una volta completato lo donò alla città di Milano.
E da ultimo va infine ricordato lo Zoo, istituito nel 1923; il giardino zoologico di Milano fino al giorno della sua (giusta) chiusura ha attirato fiumi di bambini e di adulti, di svariate generazioni, permettendo di vedere “dal vivo” animali altrimenti conosciuti solo sui libri (non esistevano ancora né Internet né Discovery Channel).
Un pensiero va inevitabilmente alla “star” dello zoo, la famosa Bombay, l’elefante con gli occhiali che ha divertito (e anche spaventato a volte…) migliaia di bambini inconsapevoli dello stress che quei poveri animali subivano ogni giorno della loro esistenza, costretti a vivere in uno spazio che – per quanto potesse essere grande – era sempre più piccolo di quello che la Natura aveva riservato per loro. Bombay è morta nel febbraio del 1987, poco prima che lo zoo venisse definitivamente chiuso.
Oggi Bombay è esposta al museo di Storia Naturale, in un diorama che la ritrae in quello che sarebbe dovuto essere il suo vero habitat.
Mi ricordo l’elefante dello zoo che, su comandi dell’addestratore, alzava i pesi colorati con la proboscide!!!
Volevo segnalare un breve filmato su YouTube che mostra alcune scene riprese all’interno dello Zoo probabilmente con una Super8 poi convertita…
L’indirizzo è: http://www.youtube.com/watch?v=A_R7iK_MLgM
Due minuti di “ritorno al passato”…
Suonava l’organetto, la campanella e girava un cartello con scritto “Attenti ai borsaioli”poi veniva a chiedere il premio e,se qualcuno metteva oltre le noccioline o biscotti 10 lire,li consegnava al suo addestratore.
I giardini Pubblici di Milano sono molto belli,e le poche volte che ci torno sono sempre un’emozione.Non avete una foto anche della fontana?
Grazie e come sempre complimenti.
Giulia
Come avrei potuto non accontentarti? Si intravede anche l’ingresso dello zoo…
la fontana di fronte alla scuola civica alessandro manzoni…(liceo linguistico).durante qualche ora buca si scendeva in giardino….e ci si sedeva davanti alla fontana….!!
Grazieeeeeeeeeeeeeeeee!Sei troppo bravo!non vi manca mai niente ma in questo caso avrei provveduto io però questa è più bella di quella che ho.
Ciao
Mi sono emozionato tantissimo e sono tornato bimbo,
rivedere le foto dello zoo dove andavo in visita con i miei
genitori è stato troppo bello.
Avrei una supplica da farvi ed è questa, mi piacerebbe avere delle foto di via spallanzani partendo dal civico 6/8
sono nato in quella bellissima casa di ringhiera e ho tanti
ricordi se potete trovarne qualcuna ve ne sarei profondamente grato, è stato bello sfogliare le pagine dei ricordi grazie ancora siete meravigliosi Domenico.
Quelle passeggiate per andare allo zoo attraversando il centro a piedi tenuto per mano da mio padre… via Boito, via Serbelloni (vedi lì c’è la sede del Milan), via Manzoni, piazza Cavour, l’ingresso dei giadini, la fontana, le barchette dei bambini, la vasca delle foche che mi piaceva tanto… E la capretta vicino alla quale mi fotografarono quando avevo 3 o 4 anni e che mi faceva così paura? E quella buonissima puzza che si sentiva ancora d’estate negli anni Settanta passando in macchina in via Manin?
La capretta si chiamava Bianchina!
Almeno, quella con cui ho fatto la foto io almeno 50 anni fa… ;^)
Avulso da ogni pensiero ecologico mi piaceva molto Bombay che spesso mi ha inumidito le mani con la proboscide mentre davo o una nocciolina o una monetina.
E le foche? Il maschio dominante con l’occhio opaco, sempre a scacciare le sue compagne, oggi anch’egli lo possiamo trovare al Museo di Storia Naturale (almeno…non credo che tutte le otarie maschio abbiano l”occhio “sifolo”) …deve essere lui! Mia madre scoprì che l’ora d’uscita era la migliore per vedere gli animali….al naturale….e da allora, ad opgni visita, fece di tutto per ritardare al massimo l’uscita. Le otarie sembravano più allegre in effetti. Una volta ddirittura avemmo un vis a vis con la Sig.ra Molinar, davanti alla gabbia della sua scimmietta preferita….
E l’odore di selvatico nel retro delle gabbie delle belve? Si sopportava perché si poteva vedere meglio il contatto fra inservienti e animali….quel minimo di amicizia che poteva essere nato fra le due specie….
E il povero antichisso orso bruno nell’ultimo angolo di zoo?
Mia mamma ricordava che era lì da sempre….quante spagnolette ho condiviso con lui….
Ero così legato con la memoria allo zoo che andando a lavorare, anni dopo, verso la stazione Centrale, non mancavo di fermarmi qualche minuto a vedere le gabbie più esterne, soprattutto le linci…..poi un giorno (giustamente) tutto venne smantellato…ma quanti bei ricordi…..
Ancora mi risuona il grido: “Giallo!!!…Verde!!!…Rosso!!!…” e allora: “Dai mamma che ha gia cominciato…dai….”
Si tratta del Parco delle Cornelle e dello zoo di Berlino: di quest’ultimo mi ha particolarmente impressionato lo spazio che hanno a disposizione gli animali, pur garantendo (ai visitatori e agli animali stessi) tutta la sicurezza necessaria. Vi ricordate l’orsetto knut di cui hanno parlato tutti i giornali? Beh, oggi è un esemplare di orso bianco enorme e bellissimo, e l’area in cui passeggia e gioca non ha nulla a che vedere con la piccola gabbia dell’orso bruno citato da Ottavio (che negli ultimi tempi era anche da solo in gabbia, mi pare, a differenza di knut).
Rimango sempre contrario agli zoo, ma almeno che quelli esistenti siano delle aree ben attrezzate e se avete visto il Zoologischer Garten di Berlino penso che sarete d’accordo con me…
vi ricordate il noleggio bici dei giardini pubblici? all’entrata di via palestro? quanti ricordi !!
il trnino lo zoo il pony con il fotografo……
Vi ricordate le automobiline a pedale dei Giardini Pubblici e del Parco Sempione che erano la felicità domenicale di tutti i bambini? Divertimento e Sport, perchè sono state tolte? Forse che “pedalare” non è più di moda?
In quei temi passati si incominciava a pedalare molto presto ed era utile anche per formarsi un “concetto”: Se pedali…….
Un saluto a tutti.
Giulio…hai aperto una ferita….quei desideri della prima infanzia…ho pedalato anch’io sia al Sempione sia ai Giardini …e allora: “Per Natale….una macchinina a pedali” – “Seeehhhh”….Non so che idea avessero i miei…forse volevano proprio approfondire quel concetto: “Pedala…..” Pensare che mio zio che lavorava, più o meno in quell’ambiente, aveva in cucina un orologio con la reclame di una ditta di automobiline….E ogni volta che si andava a casa sua…..
Oggi i bambini hanno le macchinine col motorino…altro che pedali….Ma hanno lo sguardo dei bambini seduti sui trenini dei parchi…il primo giro sorridono e salutano…poi tutti trisssstiiii….per questo forse ce ne sono poche in giro e quelli che ce le hanno le abbandonano poco dopo, non ci si diverte più (magari anche le pile costano) e invece noi…….quelle volate, quelle sterzate…quelle occhiatacce del padrone delle macchinine…..Poi mi regalarono gli “schettini”….Napoleone III ha visto molte mie acrobazie dalla sua collinetta….
E si,Ottavio…..Napoleone III ha visto anche me scendere dalla sua collinetta con gli “schettini”. La mamma era solita sedersi sulla prima panchina del bel viale che all’interno del parco porta verso la Triennale. Nella sua borsetta portava sempre il panino con la marmellata, due formaggini “Tigre” e un cerotto che spesso diventava provvidenziale.
In corso Garibaldi, poco dopo la via Laura Mantegazza, c’era il negozio dei “ricambi” per gli “schettini”e articoli Sportivi e da Pesca: ruote in metallo (le meno costose ma rumorose), quelle in “fibra”, (silenziose ma più costose), ed infine quelle, più ambite e scorrevoli, in legno; Il regalone di Natale erano proprio gli “schettini” con le ruote di legno per scorazzare sul vialone lucido che proveniva dall’Arco della Pace. E si, Ottavio, noi abbiamo potuto….., ma i nostri nipotini che cosa ricorderanno? Il mio non è un lamento, il Mondo deve cambiare ma, che cosa resterà nel loro cuore che valga la pena di raccontare ad un amico, forse la copertina di qualche DVD?
Un saluto, Giulio
Volendo… sono stato fortunato…traslocando in periferia ho potuto godere di qualche anno supplementare di strade deserte…..ed eravamo sempre almeno in quattro con gli schettini…e poi in casa…con cacciavite, la chiave inglese e il grasso per le sfere….e le ruote nuove: “Ma t’he mis sotta el giornal?”…un frucco…e frrrrrrrrrrrrrr….sì…girano bene e allora via in strada…..quante volate e curve e salti….quante cadute…ma a serom de gomma!!! Ci si rialzava e via ancora….poche discese…nel sud di Milano, ma la vecchia Casa del Fascio…con la scalinata e il corrimano largo di marmo…si saliva….si scivolava ed in fondo…un bel salto…:”Io sono andato più in là!!!” “No..io!!!”… povere ginocchia….solo verso i quindici anni sono tornate lisce…..Era un pensiero fisso: “Ottavio vieni che ci son venuti a trovare i…con….” “Ahh… va bene…un ultimo giro e arrivo!!” E via…..”Ma sono già andati via?” – “Sì tre ore fa!!!”…..Eravamo proprio fanatici……
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Io mi ricordo che allo zoo (forse all’ingresso?), c’era un orso di cemento bianco fatto a scivolo (scivolo che non scivolava…), dove noi bambini giocavamo.
Parecchi anni dopo, ho ritrovato quell’orso in via Petrella, accanto al casotto di accesso al nuovo parcheggio di via Benedetto Marcello.
Ho ritagliato due foto da google maps, ma non so come pubblicarle.
Non è stato restaurato e non è stato rovinato dai vandali, ma solo dal tempo.
Qualcun altro se lo ricorda?
Ricordi, quanti ricordi legati ai Giardini e allo Zoo! Mia mamma si armava di un seggiolino pieghevole, di una rivista, la merenda per me nella borsa, quasi sempre pane e formaggino e via…. Salivamo sulla filovia, non ricordo il numero, e una volta a destinazione apriva il seggiolino, si sistemava e leggeva mentre io mi arrampicavo su quelle che mi sembravano montagne rocciose. Prima di tornare a casa ci fermavamo ad ammirare la fontana. Qualche bambino fortunato aveva le barche con il motorino, ma erano poche! Erano tante le barchette di carta, quelle sì. Bei tempi! Però, se sem chi a cuntasela vor dì che ghe sem anca mò e che la nostra memoria la funsiona…
Ciao a tuc.
Annamaria.
emozionante rivedere questi posti dove noi ormai vecchi giocavamo da bimbi io abitavo in via Pisacane e i bastioni di porta Venezia erano il punto dove costruivo con l’immaginazione la mia futura casa e famiglia assieme agli altri compagni di gioco che meraviglia quei tempi ora è triste vedere certe cose che accadano li
Allora: nato 62 frequentato i giardini pubblici dai primi mesi ai 14 anni almeno dalla carrozzina alle macchinine a pedali, solo una volta credo perchè mi hanno cercato fino a notte fonda i ghisa prima di ritrovarmi, felice e inconsapevole sia dell’ora che del patema della nonna e le imprecazioni del noleggiatore ;-))
Poi bici Saltafoss ne ho fatti fuori di copertoni, ginocchi e gomiti in fondo al parco verso piazza della Repubblica e i bastioni :-))
Le barchette si facevano con le foglie, ho insegnato a farle ai figli, poi mi ricordo un negozio di riparazioni bici in via fatebenefratelli con un signore già anziano allora che quando gli portavo la bici dopo aver cercato di sistemare la camera d’aria bucata col bostik mi diceva “ghe vour la solution” ed io non capivo poi però sono cresciuto lui non c’era più ma aveva lasciato il segno ed ora la soluzione ce l’ho anch’io.
Stefano
Ciao ragazzi , quanti bei ricordi mi rispecchio nei vostri commenti. Ho passato l’ infanzia da nonna abitavo davanti hai giardini pubblici , mi ricordo l’ orchestra che suonava i giri sulla carrozza la pista dove mi divertivo con i schettini e le macchinine a pedali le adoravo. Lo zoo gli elefanti ed il suo guardiano i soldini e spagnolette che si mettevano nella proboscite ed io ero sempre sbalordita che distingueva le monetine che dava al guardiano…è poi i pesciolini alle foche , l” orso , i pinguini , le scimmie , la giraffa ed i felini e tanti altri animali era stupendo un mondo meraviglioso , quanto giocare e poi la fontana le barchette che costruivo con le foglie e quando l’ acqua spruzzava c’ era un fuggi fuggi e la centrale del latte ! Parlo dei primi anni 50 ho tanti ricordi anche del naviglio con i lavatoi avevo una zia che abitava sul naviglio e mi capitava spesso di andarci e l’ aiutavo a lavare . Quante cose sono cambiate del mio Milano e mi assale un velo di nostalgia
Rispondo a Lena, riguardo all’orso di cemento dello zoo.
E’ vero! Anch’io ci giocavo da piccola, quante volte l’ho usato come scivolo che non scivolava! L’avevo dimenticato e poi l’ho rivisto con grandissima gioia tra via Petrella e Benedetto Marcello. Lo chiamano l’orso Marcello, ma è l’orso dello zoo. Se non era allo zoo dalla sua apertura nel 1923, avrà comunque una settantina di anni. Un vero e preziosissimo reperto.